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STORIA: I MAESTRI: Una storia del Cristianesimo

24 Novembre 2016

di Indro Montanelli
[dal “Corriere della Sera”, sabato 24 maggio 1969]

Non è vero che il fascismo è stato foriero solo di disa ­stri. Qualcosa di buono, magari suo malgrado, lo ha fat ­to. Togliendo per esempio la cattedra a Panfilo Gentile, inabilitandolo al giornalismo, insomma riducendolo alla di ­soccupazione, gli consentì di concentrarsi per un paio di decenni su un’opera sulle ori ­gini del Cristianesimo che mi sembra, in tutta coscienza, di poter considerare la più alta vetta mai scalata dalla sag ­gistica italiana in questo cam ­po: un’opera da reggere co ­modamente il confronto con quelle di Loisy, e con ciò ho detto tutto.

Pessimo amministratore di se stesso, instancabile e impenitente dilapidatore del pro ­prio ingegno come dei propri quattrini â— quando ne ave ­va â—, Gentile pubblicò que ­sto libro subito dopo la guer ­ra, cioè in un periodo in cui critici e lettori avevano ben altro per la testa. Io ne sentii parlare anni dopo, ma inva ­no tentai di procurarmene una copia. Erano andate al macero dopo aver inutilmente atteso, sui banchi dei librai, qualche amatore. Lo stesso Gentile aveva perso l’unica rimastagli, e non c’è da me ­ravigliarsene da parte di un uomo che in qualunque Paese bene ordinato sarebbe da un pezzo finito in tribunale per vilipendio del proprio ta ­lento. Lo dico senz’ombra di paradosso. A Gentile sono mancate due cose: l’Accade ­mia e la galera. Le meritava entrambe.

L’opera quindi può consi ­derarsi una novità, e bene ha fatto Rizzoli a stamparla in un bel volume rilegato (Gen ­tile, Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, 350 pagg., L. 3500) che ha visto la luce proprio in questi gior ­ni. Oltre al resto, stavolta è ben scelto anche il momento. Mai, come in questa arruffata epoca post-conciliare, c’è stato tanto bisogno di chiarezza sull’essenza dell’ispirazione cristiana e le sue fonti. E Gen ­tile della chiarezza è il più alto paradigma vivente.

Ci affrettiamo a dirlo per sgombrare il campo dagli equi ­voci e liberare il lettore dai timori. Questo libro, certo, non è fatto per gli aficionados dei fumetti o per i maniaci del sesso. Si rivolge a chi ab ­bia qualche interesse a un certo genere di problemi. Ma non richiede una preparazione da specialista. Chiunque sia in possesso di quei fondamentali punti di riferimento che già il liceo basta (o bastava) a darci, può leggerlo. E chiun ­que cominci a farlo, andrà sicuramente sino in fondo sen ­za tentazioni di rinunzia. An ­che se ogni tanto inciamperà in qualche termine inconsue ­to, la limpidità del contesto gli consentirà di venirne facil ­mente a capo. Gentile non è un divulgatore di Storia. Ne è un grande iniziato. Ma la formazione cartesiana, la pro ­fonda familiarità coi saggisti e memorialisti francesi, e la lunga milizia giornalistica, hanno affinato in lui quello stile « parlato », quel dono di colloquio diretto col letto ­re, di cui i nostri storici sono, salvo rarissime eccezioni, disperatamente vedovi. Per mano a lui non c’è pericolo di perdersi nemmeno in quel ­la terra di nessuno senza pre ­cisa segnaletica, in quell’incer ­to, oscuro, dedalico crocevia di messaggi e di attese che segna la transizione fra l’èra pagana e quella cristiana.

*

Quanto nella Rivelazione di Gesù ci sia stato di originale e quanto di derivato, è un problema che seguita a impe ­gnare a fondo gli studiosi. Ma non c’è dubbio che quando Egli nacque, già da un pezzo era in atto quel fenomeno che gli specialisti chiamano « sincretismo », cioè una compenetrazione e contaminazione di fedi diverse. Era il frutto della loro coabitazione nel ­l’ambito dello stesso Impero. A tutte le genti che via via conquistava, Roma imponeva le proprie leggi e la propria lingua, ma non i propri Dei. Anzi, non solo lasciava che ognuno seguitasse a riverire i suoi, ma glieli accoglieva nel proprio olimpo concedendo loro ampia facoltà di proselitismo. In questa torre di Babele le tradizionali divinità naturistiche persero a poco a poco i loro connotati soprat ­tutto per le influenze corrosi ­ve e corruttrici dei culti orientali. Quelli ellenistici già anticipavano il monoteismo con la loro concezione di una unica Divinità, ente perfettissimo, librato al di fuori del tempo e dello spazio sopra il Creato, sua imperfetta emanazione.

A questo fenomeno non si era sottratta nemmeno la re ­ligione più resistente e coriacea: il Giudaismo. L’epistola ­rio paolino fornisce la prova che anch’esso aveva subìto degl’influssi ellenistici. Ma a limitarne la portata c’erano due cose Anzitutto, l’immen ­sa superiorità dell’ebraismo, già armato com’era di libri, ­di statuti, di leggi, di regola ­menti, che facevano di esso un « sistema » compiuto e compatto. Eppoi, il suo carat ­tere strettamente nazionale. Il Dio ebraico, Jahvè o Jeovah, non ha pretese universali. Unico e assoluto si presta po ­co a traduzioni, ricezioni e coabitazioni. Solo a Israele si è rivelato per bocca di Mosè, e solo con la spada dei Re israeliti di discendenza davi ­dica attuerà i suoi piani di redenzione del mondo.

Sostanzialmente, Gesù ri ­mase fedele a tale concezione. Questo, lo sappiamo, è uno dei punti più dibattuti e com ­battuti dall’apologetica cristia ­na, che al Verbo di Gesù at ­tribuisce una portata del tutto originale e rivoluzionaria. Ma noi crediamo che il punto di vista di Gentile, che poi è quello della più agguerrita critica storica, sia giusto, quando dice che Gesù non intese affatto rompere questo esclusivismo ebraico e parla ­re a tutta l’umanità. Inizial ­mente, Egli si considerò sol ­tanto un predicatore, un agi ­tatore apocalittico, che non voleva fondare una nuova re ­ligione per tutti, ma sempli ­cemente sottrarre quella tradi ­zionale all’immobilità canoni ­ca, a quella specie di ierocrazia cui l’aveva ridotta la sco ­lastica rabbinica. Anche quando si persuase, o fu persuaso dai suoi Discepoli, della pro ­pria qualità di Messia, se ­guitò a considerarsi tale solo per gli ebrei. « Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele » dice Egli stesso. Appunto per accreditarsi presso di loro co ­me discendente di David, si attribuì come patria Betlem ­me â— che di David era la città â—, mentre in realtà era nato a Nazaret. E gli Apo ­stoli furono dodici perché do ­dici erano le tribù d’Israele, presso le quali essi dovevano svolgere la loro proselitica missione.

*

A riconoscere la portata universale del suo Messaggio, fu Paolo, questo ebreo della Diaspora di sangue purissimo, ma di formazione culturale el ­lenistica. Egli appare in que ­sto libro non solo come il grande ideòlogo, ma come il vero fondatore della Dottrina. E’ lui che dà alla morte di Gesù il senso dell’immolazio ­ne sacrale, a differenza degli altri Discepoli che ci vede ­vano soltanto un avvertimento premonitorio. E’ lui che attri ­buisce al martirio sulla croce il significato di un’espiazione dei peccati di tutti, non sol ­tanto degli ebrei. E’ lui che nelle sue famose epistole ne dà l’annunzio ai Gentili, chia ­mandoli a condividere la fe ­sta della Redenzione e la speranza del Regno. E’ lui insomma che trasforma quella che in origine era solo una eresia ebraica in una Rivelazione universale.

Qualcuno forse rimprovere ­rà a Gentile di avere fatto di Paolo un personaggio più grande dello stesso Cristo. Ma l’obiezione non vale perché il confronto non si pone. In realtà queste due figure si muovono su due piani diversi. Gesù è il Messia che parla per ispirazione, fuori di ogni au ­tocontrollo critico. Non c’è nulla di straordinario, e tan ­to meno di diminutivo, nel fatto ch’egli stesso non si ren ­da conto della portata del suo Verbo. Paolo è soltanto un uomo, ma di tale statura in ­tellettuale da elevarsi netta ­mente al di sopra degli altri Discepoli, sebbene fosse tra loro l’ultimo arrivato e l’uni ­co che non avesse conosciu ­to di persona il Maestro. Ciò lo poneva in una condizione d’inferiorità nell’organigram ­ma della « vecchia guardia », custode dell’ortodossia. Ep ­pure, egli seppe vincerne il gretto spirito xenofobo dila ­tando al mondo un messag ­gio destinato soltanto a una nazione, quale gli altri Apo ­stoli avrebbero voluto che re ­stasse. Su questo punto la po ­lemica fra Paolo e i suoi con ­fratelli, « popolani senza istru ­zione », fu molto più dura di quanto dicano gli Atti. Se finalmente Pietro e Giacomo si decisero ad accettare la con ­versione dei Gentili senza ri ­chiederne preventivamente la circoncisione, cioè l’ebraizzazione, fu solo dopo molte ri ­luttanze e perché travolti dai trionfali risultati ottenuti dal ­l’apostolato di Paolo in Gre ­cia e Asia Minore.

Lo spazio purtroppo non mi concede di seguire fino in fondo, cioè fino a Teodosio, la straordinaria avventura di questa rivoluzione, l’unica che abbia veramente sconvolto la sorte degli uomini perché ha inciso non tanto nelle loro istituzioni, quanto nella loro coscienza. Gentile è uno dei pochissimi autori che abbia ­no saputo renderla evidente anche a un lettore come me, piuttosto digiuno di cristolo ­gia. Non avesse scritto altro, questo libro basterebbe ad as ­sicurargli un posto di pri ­missimo piano nella saggistica italiana di tutt’i tempi.

 


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Bart