STORIA: Il processo a Maria Antonietta (Vienna, 2 novembre 1755 – Parigi, 16 ottobre 1793)11 Aprile 2019 (da “I grandi processi della storia” – Edizioni di Crémille – Ginevra 1970) Hermann (è il presidente del Tribunale e Fouquier-Tinville il pubblico accusatore. Ndr) insiste: « Non vi siete servita di nessun agente segreto per comunicare con le potenze straniere, e in particolare con vostro fratello? Non era forse De Lessart quest’agente segreto? â— Mai, lo giuro ! » In quest’aula, di cui non si riescono a distinguere né i muri né il soffitto, dove s’infiltra un freddo umido, le parole del presidente e della Regina risuonano in modo lugubre. Avvolto nel mantello Fouquier-Tinville ha l’immobilità della tigre che tende l’agguato alla preda. Ma al di sotto di lui, nella sala, c’è gente che si agita. Chi è? Chi sono queste persone che non vogliono farsi vedere? Robespierre, Collot d’Herbois, gli uomini del Comitato che in quel momento regge le sorti della Francia, venuti, sembra, a dilettarsi dell’agonia d’una regina? Non si sa. Hermann, dal canto suo, continua a rivolgere le domande preparate dal pubblico accusatore. Quest’interrogatorio è, si potrebbe dire, la prova generale di ciò che sarà il processo. Maria Antonietta si sente di volta in volta accusata d’aver insegnato a Luigi Capeto l’arte della dissimulazione, d’essere stata l’ispiratrice dei veto, d’aver organizzato la fuga di Varennes. Ogni volta la Regina risponde facendo in modo di non citare nomi di persone che sarebbero immediatamente arrestate e condannate. Ecco che Hermann arriva alla giornata del 10 agosto 1792. « Cosa pensate di questa giornata â— chiede, sempre molto educatamente â— di questa giornata in cui gli Svizzeri, per ordine del comandante del castello, hanno sparato sul popolo? â— Quando si cominciò a sparare io non ero nel castello, risponde la Regina. Non so proprio come sia potuto succedere, so però, aggiunge con forza, che mai è stato dato l’ordine di sparare. » Dietro al tribunale e nella sala aumenta il mormorio. Fouquier-Tinville s’agita nella poltrona. E’ chiaro che nessuno crede a Maria Antonietta ; mentre invece ella dice la verità, come i testimoni che erano presenti quel giorno proveranno, sia nel corso della deposizione, sia, più tardi, nelle loro memorie : Luigi XVI aveva apertamente proibito di sparare sugli assalitori del castello. L’origine dei fatti del 10 agosto deve essere ricercata soprattutto nel manifesto di Brunswick, proclamato a Coblenza il 15 luglio 1792. In questo manifesto Brunswick, in nome dell’Austria, minacciava di morte tutte le guardie nazionali ed intimava a Parigi di rispettare le Tuileries « sotto pena d’esecuzione capitale e di immediata repressione ». Quando vengono a conoscenza di questo testo i Federati, che stanno per partire per la frontiera, decidono di rompere definitivamente « il primo anello della catena controrivoluzionaria », cioè di uccidere il Re. L’Assemblea invece esita. Troppe cose la legano al passato e, soprattutto, le si chiede di distruggere una Costituzione che è opera sua. Le sezioni popolari non hanno più queste remore : dopo aver invitato i deputati a proclamare la deposizione del Re, impongono e fissano un termine : la mezzanotte del 9 agosto. Nel frattempo fanno distribuire dieci cartucce a ciascuno dei cinquecento soldati del battaglione dei Marsigliesi, giunti a Parigi il 29 luglio attraverso la porta di Charenton, coperti di polvere, ma in buon ordine e cantando a voce spiegata l’inno di Rouget de Lisle. Anche alle Tuileries ci si prepara al combattimento. Si richiamano dai sobborghi, dove li aveva inviati un ordine della Legislativa, gli Svizzeri in numero di 6000, come dirà più tardi Napoleone, testimone oculare del 10 agosto. I deputati, dal canto loro, continuano a tenere riunioni. La sera di giovedì 9 agosto stanno ancora discutendo su un punto controverso : il Re deve abdicare o no? La seduta è sospesa per la cena… e non sarà più ripresa. Frattanto nei due campi ci si dà incessantemente da fare. Si possono sentire i carpentieri lavorare nella lunga galleria del Louvre : segano il pavimento in modo da dividere il Louvre dalle Tuileries. I poliziotti percorrono in pattuglie i cortili del castello e prendono posizione. Da parte degli insorti i quartieri di Saint-Marcel e di Saint- Antoine sono in piena effervescenza : assemblee popolari scelgono gli uomini che guideranno l’insurrezione. Scende la notte, ma il caldo soffocante di questo giorno d’estate non diminuisce. Dovunque le finestre sono aperte e le candele che si consumano l’una dopo l’altra danno a Parigi in rivolta l’aspetto d’una città in festa. Ben pochi riescono a dormire, sdraiati su letti da campo posti sulle terrazze delle Tuileries, o nelle case dei sobborghi. Si aspetta… Si aspetta mezzanotte. Ma l’ora fatidica fissata dalle sezioni passa e non succede niente. Come mai? Ben presto si viene a saperlo. Verso le 0,45 risuona il fragore d’un colpo di cannone da Pont-Neuf. Immediatamente tutti gli uomini del castello sono in piedi e ciascuno occupa il posto a lui assegnato. Ma ben presto ci si rende conto che il colpo di cannone era solo un segnale, infatti, quasi subito tutte le campane della si mettono a suonare. Le prime sono quelle delle chiese che si trovano ad est dell’Università. Risponde quella di Saint-Antoine. Ed ecco ora il rintocco di Saint-Gervais e di Saint-Jean, poi quello di Saint-Laurent ; infine a sud si sentono le campane dell’enorme torre dell’abbazia che, nove secoli prima, avevano suonato per annunciare l’arrivo dei Normanni. Persino Notre-Dame partecipa a questo spaventoso concerto. A tratti si può indovinare, più che udire, il suono d’una tromba o il rullare d’un tamburo : nelle vie di Parigi si chiama a raccolta. Nel castello, la Regina è distesa divano posto di fronte alle finestre che danno verso “ Intorno a lei ci sono la cognata, Madame Élisabeth, e qualche dama d’onore ; nessuno riesce a dormire ; parlano bassa in un’attesa ansiosa. Il caldo è soffocante. a Allo spuntare dell’alba Maria Antonietta si alza ed incarica una dama d’onore d’andare a vestire il delfino, poi si accosta alla finestra. La sorella del Re la raggiunge e le due donne guardano il giorno sorgere sui tetti e sui campanili che ora tacciono. Il cielo è terso. Nemmeno l’aurora porta con sé un po’ di frescura. Quando il sole appare laggiù in fondo, sopra i boschi di Vincennes, è rosso. «Sembra quasi che annunci un grande disastro, forse un incendio ! » mormora Madame Élisabeth. In quell’istante entra nella camera uno dei capi legione con la spada in mano. «Questo, dice alle due principesse, questo è il vostro ultimo giorno. Il popolo è più forte, che carneficina ci sarà… » La regina impallidisce. La cognata le afferra la mano. Ma la moglie di Luigi XVI sa conservare tutta la sua calma. « Signore, risponde all’ufficiale, salvate il Re, salvate i miei figli. ” E precipitandosi fuori dalla stanza, corre verso la camera del delfino che si è svegliato poco prima e si sta facendo vestire. Il bimbo comprende che sta per succedere qualcosa di molto grave e, guardando la Regina con aria stupita, domanda : « Mamma, perché dovrebbero fare del male a papà? E’ cosi buono !… » Poi il bimbo corre ad afferrare le mani di Maria Antonietta in lacrime. Ma la Regina ritrova ben presto il suo sangue freddo. Pensa che niente ancora è perduto dal momento che Mandat, comandante della Guardia nazionale di Parigi, è là per difendere il Re e la sua famiglia. Nel frattempo ritiene opportuno che il sovrano vada ad incoraggiare coloro che hanno l’incarico di proteggere il palazzo. Alle 6 si reca dal Re che ha passato la notte su una poltrona in una delle prime sale. « Luigi, gli dice, dovete mostrarvi a coloro che vi sono fedeli ! â— Voi credete? » risponde il Re di Francia con voce stanca. Ma ubbidisce e ben presto esce sul balcone. Immediatamente si levano delle acclamazioni. Chiedono che discenda, che venga vicino ai soldati. Acconsente. Quando compare sulla porta principale sembra talmente stanco, talmente turbato ed invecchiato che gli ufficiali più vicini ne sono scossi. Nonostante il caldo ha gettato sulle spalle un mantello viola, un mantello che ha il colore del lutto. Il viso, cosparso di chiazze rosse, sembra ancora più pallido sopra quel mantello. Il ventre è scoperto ed i capelli spettinati. Passa lentamente davanti ai soldati ; uno di essi non può trattenere il riso ; il Re lo sente, ma non reagisce. In silenzio ritorna nella sua stanza. La Regina, che ha visto ogni cosa, ha gli occhi pieni di lacrime. Mentre sta risalendo, apprende la notizia della morte di Mandat, ucciso all’Hí³tel de Ville con un colpo di fucile mentre stava lasciando gli insorti della Comune. La sua morte (a si che si abbandoni il piano difensivo. Gli Svizzeri lasciano sguarnito il ponte e la porta che conduce al castello. Alle Tuileries ci sono quattordici cannoni. Cinque si trovano nel cortile, pronti a sparare non appena la folla apparirà. Tre dominano lo spazio vuoto della grande piazza, altri due sono posti davanti alla porta principale, da dove ha inizio lo scalone che conduce agli appartamenti reali. Le guardie sono venute ad ammassarsi di fronte a questa porta ; ma davanti a loro ci sono ancora gli Svizzeri, mercenari pallidi ed impassibili, spesso con folte barbe. Rigidi nell’uniforme rossa e bianca, coi pantaloni aderenti, tengono il fucile dritto dinanzi a loro, pronti a sparare e a caricare. Hanno ricevuto quaranta cartucce, mentre di solito disponevano di dieci cartucce al giorno. Fra questi soldati di mestiere si può vedere anche qualche gentiluomo del Re, vestito da ufficiale della Guardia. Fuori la folla si raccoglie sulla piazza del Carrousel. Si possono udire ora gli urli e le grida. A turno, uno di quei popolani fa discorsi alla folla, ma la preferita è ancora Théroigne de Méricourt, un’amazzone vestita con l’uniforme nazionale, che sottolinea con ampi movimenti della sua sciabola da cavaliere gli incitamenti all’assalto. Dalla stanza del primo piano del castello, dove s’è rifugiato con i suoi, Luigi XVI sente il clamore. Gli ufficiali possono ora seguire con lo sguardo l’avanzare della folla che viene a picchiare contro le mura del cortile centrale. In questo momento Roederer, deputato di Metz all’Assemblea nazionale del 1789, ora procuratore generale della Comune, s’avvicina al Re. « Sire, gli dice, è necessario che voi lasciate ad altri il compito di difendere il castello. Andate a mettervi, con la Regina e i bambini, sotto la protezione dell’Assemblea. » Il Re riflette un istante, poi acconsente. Prima di partire domanda carta, penna e calamaio e là, sotto gli occhi degli ufficiali e di Roederer, scrive un biglietto indirizzato a un ufficiale Svizzero, il barone Durler, nel quale ordina di non sparare sulla folla. Poi dicendo semplicemente « andiamo », lascia la stanza, seguito dalla Regina, dai bambini, da Madame de Lamballe, da Madame de Tourzel (la governante) e qualche fedele. « Ritorneremo presto » assicura Luigi XVI agli ufficiali che incontra. Attraverso i giardini, fra i grandi alberi appena potati, il piccolo gruppo si dirige verso il maneggio. Il Re cammina con passo sicuro, dicendo di tanto in tanto : « Le foglie cadono presto quest’anno. » Il delfino trotterella accanto alla Regina che lo tiene per mano ; poi un granatiere della guardia, in uniforme blu, vedendolo stanco lo prende in braccio. La folla dall’altra parte della staccionata, guarda passare il corteo. Intanto un gruppo di sanculotti, abbattuta una cancellata giunge a manifestare tumultuosamente davanti alla porta dell’Assemblea, ma una ventina di deputati, compreso il pericolo in cui si trova la famiglia reale, riesce ad aprirsi un varco fra la folla e, circondando Luigi e gli altri, assicurano loro che sotto la protezione dell’Assemblea non avranno nulla di che temere. Nonostante la calca riescono tutti a raggiungere la sala ovale del maneggio. Immediatamente il Re viene condotto vicino a Vergniaud, il presidente, mentre la Regina e i bambini prendono posto dietro la tribuna, nel banco dei ministri. Luigi XVI rivolge un breve discorso all’Assemblea. Vergniaud gli risponde assicurandogli che avrà la protezione della legge ; lo fa condurre quindi, con la famiglia, in una specie di angusto sgabuzzino, ove si trova abitualmente il redattore del « Logografo ». In quel preciso istante alle Tuileries si comincia a sparare. Chi ha sparato per primo? Non lo si saprà mai ; infatti ciascuno dei due campi si palleggia la responsabilità dell’attacco. Appena sente i colpi d’arma da fuoco il Re grida indignato : « Avevo proibito di sparare ! » E immediatamente redige un secondo ordine, con scrittura malferma e quasi illeggibile . « Il Re, scrive, ordina agli Svizzeri di deporre immediatamente le armi e di ritirarsi nei loro accantonamenti. » Ma è troppo tardi : al palazzo è cominciato l’eccidio. L’ordine, consegnato a d’Herville, non sarà mai trasmesso perché quell’ufficiale, di sua iniziativa, decide di continuare il combattimento… Alle 10, migliaia di persone sono state uccise e la loro fine segna quella della monarchia. La domanda di Hermann fa rivivere alla Regina le ore terribili del 10 agosto. Rivede il Re, stanco delle incessanti battaglie per le quali non era tagliato ; sente di nuovo le urla di coloro che reclamavano la sua testa ; si ricorda delle più insignificanti parole di conforto dei fedeli che cercavano di aiutarlo. Ma il presidente del Tribunale rivoluzionario l’incalza già con una nuova domanda. Maria Antonietta stringe freddolosamente intorno alle spalle lo scialle nero, perché fa sempre più freddo in quell’oscura Aula Magna. « Durante il vostro soggiorno al Tempio, dice la voce nasale che tante volte ormai ha pronunciato la pena di morte, mediante la complicità e la corruzione di qualche ufficiale municipale al vostro servizio al Tempio, o per mezzo di qualche persona da questi introdotta nelle vostre stanze, avete ricevuto importanti informazioni di carattere politico ed avete intrattenuto rapporti con i nemici della Repubblica? » La Regina comprende immediatamente che si vuol farle pronunciare il nome di Michonis, il direttore delle prigioni. E’ lui che è venuto a prenderla al Tempio e l’ha accompagnata alla Conciergerie. Questo caffettiere è un tiepido repubblicano e già diverse volte ha usato la sua influenza per far liberare dei prigionieri. E’ noto che egli è venuto spesso a fare visita a Maria Antonietta nella sua triste cella per portarle della biancheria o qualche misero oggetto per la pulizia, di cui tanto sentiva la necessità. Michonis, come sostengono alcuni, è interessato forse soprattutto dal denaro? E’ possibile. Ad ogni modo la Regina rifiuta di denunciarlo, ma risponde semplicemente : « Durante i quattordici mesi in cui sono stata in prigionia non ho avuto in alcun modo la possibilità di venire a conoscenza di faccende politiche. Non ho avuto alcuna corrispondenza, del resto non avrei neppure potuto : dall’inizio di ottobre ci sono stati portati via penne, inchiostro, carta e matite. Non mi sono mai rivolta ad alcun ufficiale municipale, credo infatti che sarebbe stato inutile ; d’altra parte non ho visto nessun altro all’infuori di loro. » Fouquier-Tinville, esasperato da questa risposta, si volta verso Hermann. Questi comprende ed insiste : « La vostra risposta è in contraddizione con le dichiarazioni fatte dalle persone che abitavano ed abitano tuttora nello stesso luogo ». Un debole sorriso rischiara per un attimo il volto della Regina che scuotendo la testa risponde : « Non ci sono molte persone che abitano al Tempio. Ceravamo solo noi… Provino quello che sostengono, se possono; non c’è niente di vero in ciò che dicono. » Un attimo di silenzio permette al cancelliere, cui una guardia ha portato due candele nuove, di anno ¬tare quest’ultima risposta. Il presidente affronta ora un argomento nel quale si sente molto più a suo agio. La Regina se ne rende conto immediatamente, infatti la voce di Hermann è ora quella di un uomo sicuro di sé : « Da quando siete alla Conciergerie, non si sono forse introdotte diverse persone nel luogo dove risiedete ? Una di esse non vi ha forse fatto giungere un garofano contenente uno scritto? E voi non raccoglieste quel garofano, sollecitata dai ripetuti cenni che la stessa persona vi fece? » Questa domanda turba visibilmente Maria Antonietta. Coloro che la stanno osservando possono capire che nel suo animo si sta combattendo una battaglia. E’ disperatamente sola, di fronte ai suoi accusatori, che non riesce neppure a vedere : non c’è nessuno che la consigli, che la aiuti. Le ripugna la menzogna, ma sa bene che tutto ciò che dirà potrà costare la vita a coloro che hanno voluto salvarla. La decisione è presa in un lampo : « Sono entrate diverse persone nella camera in cui abito, sempre però accompagnate dalle guardie. Io, del resto, non le conoscevo. Come ho già detto una volta, è vero che qualcuno lasciò cadere un garofano, quando vennero ad interrogarmi alla Conciergerie, ma io gli prestai così poca attenzione che, se non fosse stato per i segnali, non l’avrei senz’altro raccolto. Del resto lo raccolsi solo nel timore che chi l’aveva lasciato cadere potesse essere compromesso, se qualcun altro l’avesse trovato. » Ma Hermann la spinge a parlare : « Non avete forse riconosciuto in questa persona la stessa che era al castello delle Tuileries il 20 giugno 1792, e che vi rimase accanto in quel giorno? â— Sì. â— E questa persona non si trovava forse alle Tuileries anche il 10 agosto 1792? â— No. â— Conoscete il suo nome? â— No. Se anche un tempo lo conoscevo, ora non me ne ricordo più. » Hermann allora si spazientisce : « E’ difficile credere che voi non conosciate il suo nome, dal momento che questa persona si è vantata di essere stata oggetto di grandi favori da parte vostra. Solitamente non si rendono favori eccezionali a persone che si conoscono solo di vista ! » Con voce stanca la Regina risponde : « E’ possibile che quelli che hanno concesso i favori lo dimentichino, mentre coloro che li hanno ricevuti se ne ricordino ; io però non ho mai reso alcun servizio a quella persona, non la conoscevo abbastanza. â— Avete risposto al biglietto trovato nel garofano? â— Bucherellando un pezzetto di carta con uno spillo, ho tentato, non di rispondergli, ma di convincerlo a non ritornare, nel caso si fosse presentata l’occasione. â— Potreste riconoscere questa risposta? â— Certamente ! » Hermann allora consegna a Fabricius un pezzo di carta ; questi lo presenta a Maria Antonietta che, senza toccarlo, lo riconosce come quello da lei usato per inviare il messaggio. Il presidente si fa riconsegnare il pezzo di carta ; poi prosegue : « Avete fatto qualche movimento quando vi si è presentata questa persona? » Maria Antonietta è visibilmente affaticata, però vuole giungere senza cedere fino alla fine di quest’interrogatorio che sembra più un elenco di accuse che l’istruttoria del suo processo. Ancora una volta risponde : « Dal momento che da tredici mesi non vedevo il volto di una persona nota è molto comprensibile che in un primo momento io sia trasalita non foss’altro che per il timore del pericolo che poteva correre chi venisse nella mia stanza. Poi ho pensato che potesse avere qualche incarico e mi sono rassicurata. » Ma Hermann non molla la presa : « Che cosa intendete dire con l’espressione : ho pensato che potesse avere qualche incarico e mi sono rassicurata? â— Dal momento che molte persone erano già venute nella mia cella, in compagnia degli amministratori, anche se io non le conoscevo, ho pensato che potesse avere qualche incarico, da qualche parte, alle sezioni o altrove e che allora non correva più alcun pericolo. I commissari di polizia avevano spesso con sé altre persone. Erano quasi sempre accompagnati da una, due o tre persone che non conoscevo. â— Quali sono, chiede allora Hermann, i nomi dei commissari che venivano più spesso a farvi visita? » Questa volta Maria Antonietta non esita : « Erano Michonis, Michel, Jobert e Marinot. â— Ed hanno sempre portato con sé persone che non conoscevate? â— Credo di sì, ma ora non ricordo bene… » Letto 715 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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