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STORIA: Il Risorgimento visto da “Il Conciliatore” toscano #6/33

4 Maggio 2008

[da “Il Conciliatore” toscano, giovedì 5 aprile 1849]

Firenze, 4 aprile 1849

La diplomazia Inglese e Francese che non volle o non seppe secondare pacificamente le cose d’Italia, né poté impedire il rinnovarsi delle ostilità, è chiamata oggi per la prova infelice delle armi piemontesi e tornare sul campo dei negoziati, ed a mostrare all’Europa quanta sia la sapienza politica del secolo nostro, e quanta la fiducia che possono aversi nella conservazione della pace.
E qui innanzi tutto convien premettere due punti sui quali l’azione diplomatica non offre occasione di dubitare.
Se Inghilterra e Francia hanno tacitamente, o esplicitamente concordate all’Austria quelle ragioni di possedere che essa traeva dagli antichi e recenti trattati, Inghilterra  e Francia hanno interesse diretto nel non voler che Austria possa, anche in seguito della vittoria, acquistare in Italia più di quel tanto che le concedono i trattati del 1815, e che possedeva prima che cominciasse la guerra.
Quindi l’Austria dovrà starsi contenta degli antichi confini, né li sarà in nessun caso consentito o che prolunghi l’occupazione militare oltre il tempo pattuito dall’armistizio, o che acquisti diritto a guarnigioni che non abbian l’appoggio di precedenti Trattati.
Su questo punto non ammettesi da noi possibilità di dubbio, si perché ogni nuovo acquisto dell’Austria offenderebbe il così detto Equilibrio dell’Europa, si perché ogni guarnigione che fosse consentita all’Austria oltre la Linea degli antichi confini sarebbe al tempo stesso contro Piemonte, e contro Francia, si perché nessuno in Europa potrebbe volere l’indebolimento del Regno Sardo.
Altro punto sul quale nemmeno possiamo ammettere ragione alcuna di dubitare si è, che malgrado l’esito infelice della Guerra, non avverrà che questo possa patirsi – detrimento nelle Costituzioni di libertà già ottenute dagli Stati Italiani.
L’Austria che per ragioni peculiari a se avversava in Italia la libertà, dovrà oggi suo malgrado subirla, e qualunque sieno per essere le sorti che preparano all’Italia la diplomazia, e la fortuna, la libertà in Italia è ormai assicurata, né vi è pericolo alcuno di vederla interrotta o retrocessa.
Non sarà questa per gli Italiani una lieve conquista, non sarà nemmeno una equivoca o spregevole garanzia di un migliore avvenire.
Su questi due punti l’opera della diplomazia parci sicura, né avverrà che nel fatto i nostri presentimenti restino delusi.
Ma a questi due punti l’opera della Diplomazia non può arrestarsi. Prescindendo infatti da ciò che Essa può fare rispetto agli Stati dell’Italia centrale, sul che oggi ci piace tacere, la diplomazia non può credere di aver provvisto a tutto quando abbia assicurato al Piemonte un trattato meno gravoso di Pace, o assicurato a tutta Italia il godimento delle Franchigie liberali.
Vi sono nella Storia universale dei Popoli certi momenti di universale commozione davanti ai quali la potenza artificiale dei ripieghi e dei sofismi si rivela impotente nel tempo stesso che la forza materiale sembrerebbe ad essi propizia e premettitrice di larghi trionfi.
Lo sviluppo delle Idee prepara questi momenti ai quali accenniamo, le passioni del tempo gli rende inevitabili, il trasmutarsi ne degli interessi accresce l’importanza.
Allora le relazioni politiche tra stato e stato si tur ­bano: il pericolo di collisioni si fa ogni di più temuto: insorgono prima le complicanze diplomatiche, poi i casi possibili di guerra. Non vi ha destrezza che valga, non vi è forza che giovi, non vi ha artifizio che basti; le Idee, le passioni, gli interessi del tempo si presentano inesora ­bili in qualunque combinazione, sopravvivano alle batta ­glie, ed anche dopo le disfatte osano manifestarsi più che mai imperiosi.
I Trattati di Pace dai quali sono chiuse queste epo ­che critiche della storia, ce ne danno la prova. Essi non sono come le sentenze nelle liti private, hanno l’indole piuttosto di transazioni. Se ciò non fosse sarebbero opera vana. Gli stessi trattati del 1815 furon transazione e non altro. Fatti contro la Francia, dovetter subire l’impero delle nuove idee che la Francia aveva diffuse nel mondo.
Se a queste che non sono finzioni fantastiche, ma resultanze di storia, vorrà pensare la diplomazia, essa dovrà persuadersi facilmente che un trattato di pace tra l’Austria ed il Piemonte non accomoda le cose d’Italia, né toglie all’Europa ogni cagione di guerra.
Le cagioni di guerra restan pur sempre: cagioni di guerra offre l’oriente, cagioni di guerra offre Alemagna, cagioni di guerra offre l’Italia, e la stessa vittoria dell’Austria altro non è che germe di nuove discordie, e pericolo all’Europa di nuove complicanze.
L’Europa non può restare adesso nelle condizioni nelle quali la posero i trattati del 1815, da quell’epoca in poi troppi fatti sonosi compiuti, troppi interessi son cambiati, troppe idee sono entrate nel dominio dei fatti, e nello spirito pubblico del tempo nostro. Una revisione dei Trattati del 1815 tutti la dicono inevitabile, tutti la consigliano come necessaria.
Non speri l’Europa di aver pace durevole se i trat ­tati del 1815 non sono modificati rispetto all’Italia. La vittoria di Radescki non ha spenta la idea nazionale, né più facile è divenuto per l’Austria il governare le provincie Italiane. Reggerle come paese di conquista non lo consente la morale pubblica. Renderle partecipi dei benefizj di libertà mal si concilia colle paure che l’Austria avrà qui perpe ­tue.
Queste sole considerazioni pare a noi che bastino per mostrare la convenienza che le grandi potenze d’Eu ­ropa nello interesse dell’Austria, e nell’interesse della pace pubblica nell’interesse della moralità debbano modi ­ficare i trattati del 1815 rispetto all’Italia.
Parrà strano a prima vista questo consiglio  a chi si fermi a considerare che a noi non arrise questa volta la fortuna delle armi: ma quelli invece che poterono farsi un più chiaro concetto del tempo nostro, non saranno maravigliati se noi persistiamo nell’affermare che la di ­plomazia mal provvede ai veri interessi dell’Europa se non pone nel calcolo della pace il sentimento di nazionalità che non restò spento nell’infausta giornata di Novara.

(Corrispondenza del Conciliatore).

Palermo 27 marzo 1849.

Vi dirò brevemente l’andamento della mediazione termi ­nata già da jeri sera col ritorno de’ due plenipotenziari a Napoli.
I due Ammiragli con buona parte delle rispettive flotte presentaronsi a Palermo il 6 corrente. Chiesero la nostra bandiera, inalberarono su i loro vascelli, spararono il consueto saluto, e furono salutati dai nostri forti. Accolti dal venera ­bile nostro Presidente e dal Ministero che vennero a visitare, chiesero poter presentare alcuni documenti contenenti pro ­posizioni onorevoli, (dicean essi ) e tali ch’essi stessi avean assunto portare ai Siciliani. Li presentarono. Il Governo, per prima cosa domandò del carattere di una cotal mediazione, della quale sentiva per la prima volta officialmente parlarne. Si rispose esser questa amichevole, non coercitiva , e ispi ­rata dal desiderio della pace. Posto al chiaro questo primo articolo, si conobbero i documenti e le fraudi dell’atto di Gaeta del 28 febbrajo, e si vide gli ammiragli non esser al ­tro che meri portatori della volontà assoluta del Re Napole ­tano. Il Governo ricusò formalmente di presentar quelle carte al Parlamento, tenendosi fermo sull’illegalità della for ­ma, non entrando per nulla nella sostanza. Stretti gli am ­miragli il 18 e 19 corrente scrissero che farebbero ciò sen ­tire a’ loro Ministri in Napoli, ma che intanto non potendo assumere su di loro la responsabilità del come sarebbero inter ­pretate dal Re di Napoli e dai ministri delle due potenze le obiezioni del Governo Siciliano alla illegalità della forma di quei documenti, né potendo frenare le truppe del Borbone se questi stimasse rompere l’armistizio, ne denunziavano la cessazione e lo spirare del termine di esso dopo dieci giorni a contare dal 19 marzo, quante volte il re ed i ministri delle Potenze non potessero stare a quelle obiezioni. Questo Go ­verno rispose immediatamente, che considerava come denunziata la cessazione dell’armistizio fin dal giorno 19 marzo, e perciò esser nel pieno diritto di ricominciare anch’esso la guerra all’alba del 29 marzo, nel modo medesimo che poteasi ricominciare dal Borbone, e presentatosi al Parlamento con quella parte di corrispondenza, che riguardava soltanto ed esclusivamente l’armistizio, ebbe piena approvazione della sua condotta.
Gli Ammiragli, e più il Francese, cominciarono allora a traggiversare, ma invano. Il 23 marzo giunsero a Palermo i due plenipotenziari Temple e de Reyneval. Gli ammiragli annunziarono formalmente al Governo di Sicilia l’arrivo di quelli, e credendo aver che fare con gonzi, rimisero a no ­me de’ loro ministri, e come proposte direttamente dalle potenze, le proposizioni medesime contenute ne’ primi docu ­menti, a dir breve, una specie di errata corrige dell’atto di Gaeta. Il Governo non potendo far più obiezioni alla forma, il 24 marzo presentò al Parlamento queste proposizioni di ­rette dalle due Potenze, dicendo solo ch’eran le stesse, che gli ammiragli per le loro mene avean fatto conoscere a tutta Sicilia; ma le due Camere all’unanimità, ad acclamazione, e senza né anco l’onore di una discussione, decretarono il ri ­fiuto di tale ultimatum, e consentirono alla ripresa delle osti ­lità pel giorno 29 marzo. Il Governo diede atto agli ammi ­ragli di tale deliberazione del Parlamento, ed in seguito di altre chiacchiere i plenipotenziari e gli ammiragli si congedarono ieri 26 marzo.
Tale è stato l’andamento della così detta mediazione, e parmi che non abbia duopo di comenti per dimostrarne la sconcezza. Vi aggiungo ora quel che adoperarono gli ammiragli per dar pubblicità all’atto di Gaeta, che fecero essi stessi ristampare, avvertendone questo Governo, il quale rispose loro esser in Sicilia per legge libera la stampa, e che perciò stampassero e pubblicassero a lor piacere ciò che volevano. E stamparono e fecero circolare per mezzo de’ loro consoli le concessioni del re di Napoli, e spedirono intorno l’Isola il vapore della Repubblica Francese l’Ariél con due uffiziali uno francese e l’altro inglese a fare la propaganda dell’atto di Gaeta. Ma furono male accolti ovunque, perché dovunque ebbero a vedersi stracciato quell’atto infame, ed un grido universale di tutte le popolazioni di guerra, guerra li seguì da per tutto.
Codeste cose non parranno credibili, ma pur troppo son vere, e l’Europa sbalordirà nel vedere tale strana ed incon ­cepibile condotta della Francia e dell’Inghilterra in Sicilia nel 1849.    
Noi l’abbiam detto, ed all’alba del 29 marzo faremo la guerra. Iddio aiuterà la nostra causa perché è giusta e san ­ta, e noi coll’aiuto di Dio e colle nostre armi, che non son poche, e coll’entusiasmo del nostro popolo che è impossibi ­le impossibilissimo descrivere adeguatamente, noi vinceremo, e l’Italia crederà una volta ciò che è, e ciò che sa fare Sicilia. Per noi l’attuale è questione di vita o di mor ­te, questione di onore; e colla vita e coll’onore non si tran ­sige, o l’una o l’altro ad una volta, o l’annientamento e i nostri figli benediranno la nostra memoria, e il nome di Si ­cilia sarà nome glorioso ed immortale, e segno delle adora ­zioni di quanti sentono essere uomini, e non bruti.
La nostra rivoluzione in questi ultimi giorni è tornata a rivivere con tutta la potenza e con tutto l’ardore di gen ­naio 1848. Il popolo nostro non grida che indipendenza, e noi che lo conosciamo sappiamo pur troppo che non griderà altro che questa magica parola durante la guerra. Al fine di questa sarà quello che la Provvidenza ha destinato.

NIZZA, 31. – Ieri promettemmo i ragguagli sul breve sog ­giorno di Carlo Alberto in Antibo. Però dobbiamo tacerne molti, perché alcuni riguardi d’alte convenienze c’impediscono di ma ­nifestare i grandi pensieri d’amor nazionale che agita nel pro ­fondo della sua mente il Martire della indipendenza italiana.
Prima della sera del 26 Carlo Alberto giunse ad Antibo con un solo cameriere, ed il corriere. Nel passaporto è nominato conte di Barge, ufficiale superiore piemontese in missione. Scese ad un umile albergo, e si rinchiuse a scrivere. L’arrivo d’alcun messo delle autorità di Nizza, l’affrancazione all’uffizio della po ­sta d’alcuni plichi per alti personaggi della famiglia reale di Savoja, il mistero che circondava questo incognito, e più di tutto le lacrime che sfuggivano frequentemente dagli occhi del suo ca ­meriere fecero concepire il sospetto che l‘incognito fosse Carlo Alberto. In breve il sospetto divenne certezza, e tutta la città si commosse. La gente si accalcava sotto le finestre della locanda gridando Viva Italia! Viva Carlo Alberto! Onore al coraggio sfor ­tunato !
La generale batte: la guarnigione, e la Guardia Nazionale si mettono sotto le armi, e il corpo degli ufficiali chiede d’esser presentato al Re. Il suo dolore, e la sua riservatezza sono espu ­gnate dal sentimento d’ammirazione che i francesi hanno pel valore. Carlo Alberto riceve la ufficialità. È indescrivibile la su ­blime maestà della sventura, e d’un gran pensiero! Carlo Al ­berto non era mai stato cosi venerabile nella reggia. Sparso an ­cora della polvere del campo, rialzava dignitosamente la sua fronte come per mostrare che la sventura non lo aveva atterrato. Con la eloquenza del cuore che possiede a sì alto segno, con l’accento d’un grande animo straziato ma indomabile cominciò a narrare il valore infelice degli italiani nella battaglia di Novara. Quando scese a dire che aveva abdicato piuttosto che segnare l’infamia d’Italia, l’ammirazione dei circostanti non ebbe più li ­miti, e tutti proruppero in gridi d’evviva all’Eroe dell’Italia.
Ma egli riottenne di nuovo il più profondo silenzio, escla ­mando come un Crociato inspirato «Io mi ritiro, ma non abbandono la causa dell’indipendenza italiana. L’Austria è certa di ritrovarmi sempre al momento decisivo nelle prime file, come semplice soldato. Invano ho cercato morire ancor questa volta. Dio serba il mio sangue perché si sparga con qualche frutto per quella causa che ho servito tutta la mia vita, e per cui voglio morire. No, no, la causa d’Italia non è ancora perduta » No, no, risposero tutti i valorosi ufficiali.
Allora i soldati del battaglione rispondono al di fuori Viva Italia! Viva Carlo Alberto! E gridano che vogliono vederlo. Il Co ­mandante e gli altri ufficiali lo supplicano a soddisfare il generoso desiderio di que’ prodi. Il Re si mostra: e le grida cessano: un sentimento nuovo di ammirazione scorre per tutti quei cuori va ­lorosi: le lacrime scorrono tacitamente pei solchi delle guance ab ­brunite dal sole d’Affrica. Poi tutto il battaglione, tutta la mol ­titudine scoppia ne’ più alti e più magnanimi saluti ed augurj al grande Italiano.
Un consolazione degna di lui scende sulla sua anima nel tempo stesso che il Parlamento di Torino decretava che aveva ben meritato della Patria. Qual coincidenza! Due Popoli rende ­vano giustizia ad un Re liberatore, tradito da’ Re, tradito da’ Governi anco repubblicani.
Alcuni vecchi che furono testimonj della partenza di Napo ­leone per l’Elba, sentirono gli antichi affanni, e fecero migliori augurj di ritorno. Voglia Iddio che si verifichino, e che un altro Marengo risani a un tempo i danni di Waterloo e di Novara.

(Pop. Nizzardo.)

CANNES, 27. – Quando vi arriverà la mia lettera, non sarà facilmente più una nuova per voi l’entrata in Francia del Re Carlo-Alberto. Arrivato questa mattina a Nizza, n’è partito per la frontiera dopo di essersi fermato circa tre ore col suo segretario all’Hí´tel d’York. Giunto ad Antibes, vi si è ugualmente fermato tre ore. Vi ha ricevuto il Coman ­dante della piazza, e dopo quel colloquio è partita una staf ­fetta per Draguignan e Toulon. Questa sera a 6 ore Carlo-Alberto era a Cannes, prendendo i cavalli per continuare il suo viaggio per l’interno.
Egli viaggia sotto il nome di conte de Barge. – II conte di Castagnetto è passato stamane per Nizza onde raggiungerlo, si dirigono entrambi verso il Portogallo.

(La Loubière.)

MARSILIA, 30 marzo. – Carlo Alberto era aspettato ieri sera a Marsilia. È certo che gli appartamenti erano stati preparati all’Albergo d’Oriente per questo Principe,
e per alcuni del suo seguito.          

(Sémaphore.)


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart