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STORIA: Il Risorgimento visto da “Il Conciliatore” toscano #1/33

19 Febbraio 2008
Potremo seguire da oggi su Parliamone – con pubblicazioni opportunamente intervallate – le vicende che percorsero la nostra Penisola nel 1849, in piena Prima Guerra di Indipendenza, grazie alle pagine de “Il Conciliatore” toscano e dello “Statuto”, che sostituì il primo quando venne chiuso il 21 maggio 1849. Si tratta di una raccolta di mia proprietà, che ci consentirà di rivivere come in diretta quei lontani avvenimenti. bdm
Premessa. L’elezione di Papa Pio IX (1846), le riforme nel Regno di Sardegna (dove Carlo Alberto abbandonò le posizioni legittimiste per tornare al liberalismo professato nel 1821) e nel granducato di Toscana, furono i prodromi delle rivoluzioni del 1848.
La I guerra d’indipendenza e il “decennio di preparazione”. L’Italia fu pienamente investita dalla scossa rivoluzionari del 1848-49, nel cui quadro si inserì anche la I guerra d’indipendenza. L’esperienza dimostrò che l’Italia non poteva “fare da sé”, come avrebbero voluto Carlo Alberto e  Mazzini, che cioè la forza militare del Piemonte e le rivoluzioni liberal-nazionali non avevano potenzialità sufficienti per cacciare gli austriaci e portare a compimento l’unificazione, ma occorreva inserire il problema italiano nel quadro della diplomazia europea, ricercando alleanze e prospettando una soluzione che garantisse al contrario libertà all’interno e stabilità ed equilibrio in Europa. Il conte di Cavour, con l’appoggio del re Vittorio Emanuele II, salito al trono di Sardegna nel 1849, fece del Piemonte (l’unico Stato nazionale della penisola) il punto di riferimento del movimento nazionale italiano, ancor più dopo che l’arroccamento di Pio IX su posizioni reazionarie dimostrò l’inconsistenza del disegno neoguelfo e le soluzioni repubblicane e democratiche rivelarono la loro debolezza interna e internazionale nei nuovi fallimenti dei tentativi mazziniani negli anni ’50. Repubblicani come D. Manin e lo stesso Garibaldi accettarono la soluzione sabauda sintetizzata nel programma “Italia e Vittorio Emanuele” aderendo alla Società Nazionale Italiana promossa da Cavour. La partecipazione alla guerra di Crimea (1854-55), permise la presentazione del problema italiano al congresso di Parigi (1856), presupposto degli accordi di Plombières 1858) tra Cavour e Napoleone III e dell’alleanza con la Francia (1859) contro l’Austria.
(da “Storia universale”, De Agostini, 1996)

Il Conciliatore fu un giornale politico-letterario) nato a Firenze e pubblicato negli anni 1848 e 1849, quando in Italia fervevano i movimenti rivoluzionari.
Non deve confondersi con il più famoso Il Conciliatore, nato a Milano molto prima, giovedì 3 settembre 1818, che ebbe anch’esso breve vita, fino al 1821, di cui, sul Sole 24 Ore di domenica 18 settembre 1988, un bell’articolo di Vittore Branca celebra la ricorrenza dei 170 anni dalla nascita.

Firenze, 31 marzo. (1849)

Il tempo delle illusioni   è passato, ed ora il tempo invece è venuto che la realtà dei fatti si rappresenti alla mente di ognuno, per trar profitto degli utili ammaestra ­menti che da la sventura, e per ricominciare il nuovo periodo nel quale colla chiusura infausta del primo va ad incamminarsi la causa nostra nazionale.
O i     popoli vogliono davvero armarsi a disperata difesa, e lo facciano subito e con quel coraggio dispe ­rato che non dà indietro in faccia a nessun pericolo. O questo entusiasmo sul quale tanto si è contato non esiste ed   è   impossibile eccitarlo con mezzi artificiali, ed allora cessiamo dalle iattanze, e prendiamo un partito che salvi quel meglio che è possibile. Qui non vi è strada di   mezzo: tanto il   Piemonte che l’Italia centrale sono a questo bivio terribile.
Lasciando il tema della disperata difesa, per la quale occorrono fatti e non parole, crediamo utili alcune avvertenze nel concetto di dover subire i danni della disfatta. Le recriminazioni sono   inutili adesso:   sono nocive invece e doppiamente nocive, screditandoci esse viepiù nel concetto degli   stranieri, e   serbando vivo   il fomite delle discordie fra noi. Quei soli sono   scevri   di colpa, quei soli hanno ben meritato dell’Italia, quei soli sono senza rimprovero che   perirono sui campi di   battaglia, o sopravvissero alla pugna per insegnare agli altri come si combatte per una idea, come si professano le dottri ­ne , come si ama la Patria.
Nel caso che sia resa impossibile la ragione delle armi, due pericoli devono evitarsi dagli Italiani.
Il pericolo di un scoraggimento che non sarebbe giustificato.
Il pericolo di una temerità che sarebbe inopportuna.
Corresi il primo pericolo da   coloro   i quali danno per spacciata la causa nazionale, e si credono autoriz ­zati di condannarsi all’inerzia.
Corresi il secondo pericolo da coloro che non renunziando neppure per brevi istanti a certe idee nelle quali ebber fede, dicono perduta la causa nazionale solo perché non prevalsero quelle idee che finora non riuscirono.
È debito nostro l’adoperarsi perché da questo doppio pericolo sia salvata adesso l’Italia.
La     Causa   Nazionale non   è perita,  solo perché     fu combattuta infaustamente questa volta   sui campi   delle battaglie. Il suo trionfo è differito, ma è certo; e se non avessimo quelle prove che a noi danno la fede nell’avvenire, e nel progresso dell’umanità, le prove ce le danno quelli stessi (citiamo i giornali inglesi) che questa volta ragionando sui fatti predicevano, or sono   vari giorni, come certo ed immancabile il sofferto disastro.
La causa nazionale non è perita, perché se l’esercito che la sosteneva è stato battuto, non è stata distrutta l’idea nazionale, e quest’idea rinvigorita dal battesimo del sangue, rimarrà sempre più scolpita nelle menti e nei cuori, come memoria dei   sacrifìzi patiti, come speranza per nuovi cimenti, come sacramento di non lontana vendetta.
La causa nazionale non è   perita, perché intanto la Italia è entrata nel calcolo delle combinazioni politiche dell’Europa, su cui preme, come incubo notturno, la nostra sventura.
La infelice riuscita della lotta, questa sola differenza produsse, che se fino ad ora credemmo fare della causa nazionale l’iniziamento di un nuovo ordine di cose in Europa, ne dovrà invece essere la conseguenza.
Il trionfo della causa nazionale non sarà forse l’opera esclusiva del movimento italiano spontaneo ed iniziatore, sarà opera invece del movimento europeo al quale la causa stessa per nodi indissolubili è ormai legata.
E il movimento dell’Europa non sarà per lungo vol ­gere di tempo trattenuto, ed in questo movimento sono riposte ormai le nostre certe speranze.
Se adunque non è possibile riscattare colle armi i danni della sconfitta, la condizione delle cose consiglia a profittare delle lezioni della esperienza, ed a volgersi a quello che è possibile a tutti i Popoli nella sventura, che è debito sacro per chi non dispera nell’avvenire della causa nostra.
È possibile a tutti i Popoli nella sventura il saperla sopportare con coraggio e con dignità. Quindi tregua alle ciarle inutili, tregua alle frasi sonore, tregua ai sofismi, tregua alle accuse. Evitiamo per lo meno il ridicolo delle iattanze impotenti, evitiamo la pompa di progetti cui non corrispondono i fatti.
È poi debito sacro per chi non dispera dell’avve ­nire della causa nazionale, il render meno gravose le conseguenze della disfatta, salvare dal naufragio quel più che si può di quanto avevamo guadagnato finora, il prepararsi in silenzio a trar partito dai nuovi eventi, l’ac ­comodarsi ai tempi per aspettare una migliore fortuna.
Quando il nemico non ottenga un pollice di più del sacro suolo d’Italia, quando le instituzioni di libertà sieno salve, quando per esse la influenza austriaca non si estenda in Italia, quando al vincolo che nasce dalle sventure altro se ne aggiunga che agli Stati d’Italia con ­sigliano l’esperienza del passato ed i pericoli dell’avve ­nire, non sarà senza frutto per noi la perduta campagna, né potrà dirsi che la prima fase del nostro risorgimento non sia assicurata.
A questo pensino coloro cui stanno a cuore gli inte ­ressi d’Italia: a questo pensino quanti, sebbene di par ­tito diverso, non voglion rinegare la causa nazionale: a questo pensino quanti sentono il bisogno di stringersi insieme in questo momento di comune pericolo. Mentiremmo a noi stessi se volessimo suggerire un diverso consiglio.

[da “Il Conciliatore”,   domenica 1 aprile 1849]

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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 19 Febbraio 2008 @ 17:27

    E’ un interessante documento, che ci porta al clima dell’epoca. Mi ha colpito molto, oltre, ovviamente, al contenuto, il linguaggio del giornalista, autore dello scritto. E’ un linguaggio moderno, agile, chiaro e, nel contempo, sostanzioso. Non ha alcunché da invidiare (anzi!) ai giornalisti attuali.
    Credo, caro Bartolomeo, che tu abbia iniziato un cammino importante e originale, attraverso queste significative documentazioni, che più direttamente ci riportano ad un nostro passato, da cui non possiamo staccarci. Sono, infatti, fermamente convinto che, riassaporando a fondo eventi storici, abbiamo sicuramente la possibilità di capire ancor meglio l’attualità. Ricordare e rileggere il passato aiuta, senza alcun dubbio, la nostra maggior consapevolezza storica.
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 19 Febbraio 2008 @ 18:56

    Mi dài l’occasione, Gian Gabriele, di confermare il carattere formativo di questa insolita rivista d’arte, presumo unica nel web.
    La presentazione, qui, di documenti che considero importanti può aiutare a recuperare un percorso che, sopratutto in letteratura, si è un po’ smarrito.
    Sto selezionando alcune lettere indirizzate a Prezzolini quando era direttore della Voce, che dànno il clima dei primi anni del ‘900. Molto interessanti.
    Come è interessante, a mio avviso, e il tuo giudizio me lo conferma e mi rallegra, ripercorrere gli anni immediatamente precedenti l’Unità d’Italia, entrando nel clima delle guerre d’Indipendenza. Ci saranno articoli di cronaca, ne “Il Conciliatore”, che racconteranno le gesta di alcuni grandi nomi della nostra Storia, in presa diretta, con lo spirito, le attese, le delusioni di quei giorni.

    Mi sto impegnando per fare qualcosa di speciale e, con la collaborazione dei vostri articoli, voglio sperare che la rivista sia apprezzata da lettori altrettanto speciali. Non è facile infatti star dietro a una rivista che evita la facile strada di proporre temi suscettibili di pettegolezzi e chiacchiericci. Qui occorre impegnarsi nella lettura, perché ciò che si richiede al lettore è di apprendere una lezione da coloro che sono ormai considerati da tutti dei grandi Maestri. Per imparare, che è la prima conquista che un uomo, un intellettuale ad esempio, deve conseguire.
    Grazie di nuovo a te, Gian Gabriele, per la costante attenzione.

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