STORIA: LETTERATURA: I MAESTRI: Donna Franca23 Ottobre 2018 di Leonardo Sciascia A Venezia, nell’autunno del 1897, D’Annunzio annota va nel suo taccuino: « Una donna â— una signora sicilia na, Donna Franca â— passa sotto le procuratie: alta, snel la, pieghevole, ondeggiante, con quel passo che gli antichi Veneziani chiamavano ap punto alla levriero. Subita mente rivive nella mia imma ginazione una cortigiana del tempo glorioso: Veronica Franca. Ella è bruna, dorata, aquilina e indolente. Un’essen za voluttuosa, volatile e pene trante, emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ar dente, con uno sguardo che promette e delude. Non la vo lontà ma la Natura l’ha crea ta dominatrice. Ella ha nelle sue mani d’oro ‘ tutto il Be ne e tutto il Male ‘. Ripenso a voi, o Gorgon inarrivabile, ‘ voi che tanto avrei ama ta ‘ ». Gorgon era il nome che aveva dato a una « nobil don na » fugacemente conosciuta nell’estate del 1885 e alla quale aveva dedicato quattro poesie della Chimera: « occhi grandi », « attitudine d’indo lenza », figura che « ondeggia va alta ne ‘l passo »; la si gnora siciliana che dodici an ni dopo gliela ricordava era Franca Jacona di San Giulia no, da qualche mese sposata all’armatore Ignazio Florio. E probabilmente il ricordo di queste due donne si fonderà, una ventina d’anni dopo, al l’immagine di Elena Sangro, diva del cinema muto che, se male non ricordiamo, ebbe qualche dimestichezza col poe ta; e non sappiamo quanto la Sangro somigliasse alla inarrivabile Gorgon, ma mol tissimo somigliava a donna Franca. * Nobile per nascita, borghe se per matrimonio, Franca Florio in quell’anno sorgeva come la first lady dell’aristo crazia e della borghesia ita liana e tra le prime di quella ristretta società internazionale che allora trascorreva, impre vidente e svagata, presa da quella « dolcezza del vivere » che prima dei grandi rivolgi menti conoscono coloro che ne saranno travolti, dai grandi alberghi alle corti europee, dalle sale da giuoco agli ateliers di Boldini e di Helleu, dagli ippodromi alle prime teatrali e di assise; quella stessa società che ai nostri anni abbiamo visto ridursi, piuttosto squallidamente, alla sola disponibile corte del principato di Monaco. Onassis al posto di Ignazio Florio, Elsa Maxwell invece di D’Annun zio. Quattro anni dopo (quat tro figli dopo), donna Fran ca si faceva ritrarre appunto da Boldini, Il pittore era stato chiamato a Palermo, splendidamente ospitato dai Florio. Palermo era allora una pic cola capitale del liberty: già prima che questo nuovo stile si affermasse in Europa, gli architetti e gli artigiani paler mitani ne avevano qualche presentimento, ne lasciavano rameggiare qualche linea dal le imperanti linee neoclassi che; e alla fine del secolo le forme dell’art nouveau erano, è il caso di dire, in piena fioritura. C’era l’architetto Er nesto Basile che costruiva le ville dei Florio e disegnava i mobili di Ducrot; c’erano i suoi seguaci, i suoi competi tori, i suoi decoratori, i suoi mastri del ferro battuto; c’era un formidabile disegnatore co me Aleardo Terzi (buon pit tore anche) che moltissimo produceva nel campo della pubblicità e della grafica editoriale: ché allora a Palermo c’era qualcosa da (come si diceva) reclamizzare e c’era un’attività editoriale in cui primeggiava il Sandron, indi menticabile editore di quella « collezione settecentesca », di retta da Salvatore Di Giaco mo, assunta poi dal Mon dadori. * Boldini si trovò dunque a Palermo in un’atmosfera che gli era del tutto congeniale. Tranne le ore, e non saranno poi state tante, in cui donna Franca posava e lui dipinge va, era tutto un rutilio di ri cevimenti, giuochi, gite, belle donne, belle cose. Il passeggio delle carrozze nella via che si intitolava alla Libertà e che riusciva a dare passabili illu sioni parigine; splendide mat tinate tra gli aranceti o al ma re dell’Arenella; serate tra gli intatti incanti settecenteschi dei palazzi nobiliari. E c’era una luminosissima primavera. Donna Franca posava vesti ta di pesante velluto nero, « con grandi traforature e ra beschi di passamaneria sulla gonna e sulle maniche ». Po sava forse con eccessiva re galità, per come il marito committente voleva fosse ritratta; Boldini non poteva, come D’Annunzio, rendere la volut tà nella regalità; la voluttà per Boldini non poteva stare in trono: doveva scendere in platea, muoversi al ritmo leggero e immediato del caffé-concerto e non assimilarsi a quello so lenne delle procuratie, arriva re quasi ad accennare quella « mossa » che mandava in de lirio i pubblici meridionali. E nel ritratto donna Franca ave va come un accenno di « mos sa »: « tutto il corpo, che pog giava sensibilmente sull’anca destra, aveva un qualcosa di particolarmente voluttuoso ». Racconta Dario Cecchi, nella sua biografia di Boldini, che Ignazio Florio andò sulle fu rie: « non intendeva affatto ve der ritrattata la propria mo glie in una posa serpentina », voleva il ritratto della regina di Palermo e non quello di una bella donna ancheggiante. Boldini certamente promise che avrebbe corretto il ritrat to secondo il desiderio del ma rito; e si fece infatti mandare a Parigi la tela, che ritoccò, velò e ridipinse obbedendo al le contestazioni del commit tente ma, a quanto pare, con una certa trasandatezza. Trent’anni dopo, il dipinto faceva parte della collezione del barone Maurizio di Rothschild, dove i tedeschi lo tro varono e predarono. Finita la guerra, tornò alla collezione Rothschild, ma dimezzato: la parte inferiore era stata taglia ta. Si era così realizzato una specie di avvenimento magi co: per mano del predatore tedesco, Ignazio Florio aveva per sempre eliminato quella posa serpentina, quell’ancheggiare, quell’accenno di « mos sa » che poteva venir fuori to gliendo velature e ritocchi. Una soluzione radicale: quella cui forse si sarebbe lasciato andare vedendo per la prima volta il ritratto, se il rispetto per un artista tanto famoso a Parigi non lo avesse trattenuto. Nella casa degli eredi di Vincenzo Florio, fratello di Ignazio, c’è una vecchia foto grafia del dipinto di Boldini. Anche tra le cose del cognato, che forse non l’amava, donna Franca domina. « Non la vo lontà ma la Natura l’ha creata dominatrice ». Ma Vincenzo Florio, uomo sereno, arguto, indifferente al corso della for tuna, aspettava al varco della vecchiaia la dominatrice. Sa peva disegnare, ad ore perse disegnava e dipingeva tutto quello che gli veniva sotto l’occhio. Ed ecco che un gior no, su un foglietto di carta po co più grande di un biglietto da visita, disegna a matita un volto di vecchia. Le linee con vergono come verso un punto invisibile, in basso, fuori del foglietto: cascano, insomma; e cascano in caricatura i tratti imperiosi, la remota maestà di quel volto. « Franca come si ritirò ieri sera »: una masche ra disfatta, che sta per scio gliersi nello sciogliersi delle sarciture, delle creme cosmeti che, delle ciprie. Dopo una serata in società, a Parigi o a Roma o a Venezia; o forse dopo una prima al teatro Mas simo di Palermo. E si può im maginare lo sgomento della donna, ad un certo punto del la serata, quando si accorge che il volto pazientemente e sapientemente ricostituito co mincia a disfarsi e a cascare; la fuga; il ritorno a casa. E il cognato pronto a coglierla sul punto dell’umiliazione, della disfatta, della fine; a conse gnare a un foglietto di carta l’immagine di « Franca come si ritirò ieri sera ». E cinquan t’anni prima, Gabriele D’An nunzio…
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