STORIA: LETTERATURA: I MAESTRI: Giovannino Guareschi internato nel lager nazista
7 Novembre 2018
di Giovannino Guareschi
(da “Il grande diario”)
Dei suoi anni trascorsi come ufficiale italiano prigioniero nei lager nazisti, Giovannino Guareschi ci ha lasciato un diario, redatto al suo ritorno a casa. Per la verità , nel volume citato più sopra sono contenuti i resti di questo diario, ossia i fogli e i taccuini che lo aiutarono a scriverlo, rinvenuti dai suoi studiosi. Poiché Guareschi lo distrusse: “Fu un lavoro faticosissimo e febbrile: ma, alla fine, avevo il diario completo. Allora lo rilessi attentamente, lo limai, mi sforzai di dargli un ritmo piacevole, indi lo feci ribattere a macchina in duplice copia, e poi buttai tutto nella stufa: originale e copia.”.
Quale terribile pasticcio, figlio mio. Ed è talmente tragico che sembra persino umoristico e questo disorientamento era la vera tragedia italiana, quella che mi diede dapprincipio un senso d’angoscia sì che disperai della rinascita perché non potevo più credere negli altri della mia “classeâ€. Ma poi imparai a credere in me stesso e mi riconciliai con la vita e la ritrovai degna d’essere vissuta ancora pure nella nostra povera terra.
Terribile pasticcio, figlio mio. E se mi chiederai il mio giudizio sull’operato di coloro che abbandonarono i compagni nei Lager e passarono dall’altra parte, io non ti risponderò con un fiero atto d’accusa. Ti dirò invece che noi eravamo allora abbandonati da tutti. Tutti si dimenticarono di noi. Nessuno ci rivolse mai una parola, nessuno dimostrò d’accorgersi della nostra cupa situazione. Avevamo bisogno di qualcosa per coprirci, avevamo fame, eravamo senza notizie di casa nostra, molti soffrivano né potevano curarsi per completa mancanza di medicinali: nessuno si sentì di mandarci un pezzettino di pane, una pasticca per la tosse, che significassero un qualsiasi interessamento.
Abbandonati da tutti. La Croce Rossa non ci considerava evidentemente vittime della guerra. In un anno noi ricevemmo dall’YMCA (Young Men’s Christian Association) un football e cinquanta dischi di Bing Crosby e dal governo repubblicano, nostro nemico, tre sigarette «Trestelle ». Non esisteva il “nostro†governo?
Abbandonati da tutti, anzi peggio: perché quando cominciò ad arrivare la posta fu un’invasione di lettere che invocavano il Duce, che ci ordinavano di tornare a fare il «nostro dovere ». Mogli che accusavano gli internati di aver dimenticato i figli.
«Divertiti ma pensa che hai una famiglia » scrisse una moglie.
Abbandonati da tutti, come cani: e chi non possedeva una sufficiente forza di volontà , chi non poteva ancora possedere una radicata convinzione politica, cedette alle pressioni e alle lusinghe, o fu atterrito da questo buio abbandono e passò all’altra riva.
Quante defezioni, quante tragedie si sarebbero potute evitare. Ma nessuno si ricordò di noi, quand’era tempo.
Terribile pasticcio, figlio mio. E se tu mi chiederai perché io non ho aderito io ti risponderò semplicemente: «Perché sì ».
Perché si vuole bene ai figli? Perché sì.
Perché si vuole bene alla propria madre? Perché sì.
Perché non potevo aderire all’idea fascista repubblicana e al nazismo ora che m’era concesso di scegliere?
Perché sì.
Ci sono delle cose, grazie a Dio, che non si possono spiegare. Se ci sono, sono nate con noi e noi neppure sappiamo di possederle. Ma ci sono e indirizzano la nostra volontà negli istanti in cui al ragionamento debbono subentrare i princìpi morali.
Ripensandoci sopra con calma, posso dirti che allora ho risposto di no in quanto inconsciamente ero spinto ad agire secondo il mio dovere di soldato e di cittadino e secondo il mio tornaconto personale.
Che se poi tu, leggendo queste mie note, fossi tanto irrispettoso da pensare che tuo padre è rimasto nei Lager esclusivamente perché gli conveniva, non potrai trarre la scettica conclusione che forse vorresti. Perché, figlio mio, quando il tuo utile si avvera a danno degli altri, ciò è immorale, ma quando il tuo utile si identifica con l’utile comune, ciò è morale.
Ed è pure sacrosanto che, come dicono gli inglesi, l’onestà è un ottimo affare.
Dal che risulta che tuo padre non è un furbone di tre cotte, ma un galantuomo qualunque.
Questo forse ti dispiacerà per ragioni di prestigio familiare e anche per il fatto che, di conseguenza, io non potrò lasciarti un soldo d’eredità . Ma anche tu farai come me, figlio mio: lavorerai (ora si può dire perché la questione razzistica è scaduta) come un negro.
Però troverai il tempo di leggere queste mie noterelle e se, quando scoppierà la prossima guerra, tu avrai la ventura di essere, come tuo padre, prigioniero, la lettura ti avrà giovato.
Una sola cosa mi devi promettere solennemente: di non scrivere anche tu un libro sulla prigionia.
Tuo padre
Sandbostel, 10 ottobre 1944
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