STORIA: Montanelli e Giulio Cesare20 Ottobre 2021 (Da Indro Montanelli: “Storia d’Italia) Non essendo Montanelli uno storico di professione, fa meraviglia la conoscenza così particolare della Storia, che dimostra le sue molte letture e i suoi severi studi. Nel momento in cui Catilina cadeva, giungeva a Roma Metello Nepote, luogotenente e avanguardia di Pompeo, sbarcato a Brindisi di ritorno da un seguito di brillanti vittorie in Asia Minore. Aveva anticipato il viaggio per concorrere alla carica di pretore e, una volta eletto, favorire una nuova candidatura di Pompeo al consolato. Il primo obbiettivo lo raggiunse coi voti dei popolari, ma si trovò accanto come collega Marco Catone, rappresentante dei più intransigenti conservatori, i quali, dopo la vittoria su Catilina, credevano di essere ridiventati i padroni della situazione. Essi non videro perché dovevano appoggiare le ambizioni di Pompeo, il quale non avrebbe chiesto di meglio che di diventare il loro campione. Se l’avessero scelto come tale, forse si sarebbero salvati, o per lo meno avrebbero ritardato la propria disfatta, visto il prestigio di cui Pompeo godeva. Ma la maggior parte erano invidiosi di lui, della sua ricchezza, dei suoi successi, e pensarono di non averne bisogno. Ancora una volta una sola voce in Senato fece «stecca » sul coro, appoggiando Pompeo: quella di Cesare, anche lui pretore. L’Assemblea quel giorno fu tumultuosa” Cesare, destituito insieme con Nepote, fu salvato dalla folla che venne a proteggerlo e che voleva sollevarsi. Egli la calmò e la rimandò a casa. Per la prima volta il Senato si accorse che quel giovanotto rappresentava qualcosa e si rimangiò la destituzione. Caio Giulio Cesare aveva allora ventisette anni e veniva, come Silla, da una famiglia aristocratica povera che faceva risalire le sue origini ad Anco Marzio e a Venere, ma che, dopo questi opinabili antenati, non aveva più dato alla storia di Roma personaggi di grido. C’erano stati dei Giuli pretori, questori, e anche consoli. Ma di ordinaria amministrazione. La loro casa sorgeva nella Suburra, il quartiere popolare e malfamato di Roma, e qui egli nacque chi dice nel 100, chi nel 102 avanti Cristo. Non sappiamo nulla della sua infanzia, se non ch’ebbe come precettore un gallo, Antonio Grifone, il quale, oltre al latino e al greco, gl’insegnò forse qualcosa di molto utile sul carattere dei suoi compatrioti. Pare che nella pubertà fosse afflitto da mali di testa e attacchi di epilessia, e che la sua ambizione fosse allora quella di diventare uno scrittore. Fu calvo molto presto e, vergognandosene, cercò di rimediarvi coi «riporti », tirandosi i capelli dalla nuca alla fronte. Perdeva molto tempo ogni mattina in questa complicata operazione. Svetonio dice ch’era alto, piuttosto grassottello, di pelle chiara, d’occhi neri e vivi. Plutarco dice ch’era magro e di mezza taglia. Forse hanno ragione ambedue. L’uno lo descrive da giovane, l’altro da uomo maturo, quando di solito ci si appesantisce un po’. I lunghi periodi di vita militare dovettero irrobustirlo. Fu sin da ragazzo un eccellente cavaliere, e usava galoppare con le mani incrociate dietro la schiena. Ma camminava molto anche a piedi alla testa dei suoi soldati, dormiva nei carri, mangiava sobriamente, il suo sangue si serbava sempre freddo e il suo cervello lucido. Di viso non era bello. Sotto quel cranio pelato e un po’ troppo massiccio, c’erano un mento quadrato e una bocca arcuata e amara, incorniciata da due rughe dritte e profonde, e col labbro di sotto che sporgeva su quello di sopra. Tuttavia fu sempre fortunato con le donne. Ne sposò quattro e ne ebbe infinite altre come amanti. I suoi soldati lo chiamavano moechus calvus, l’adultero calvo e, quando sfilavano per le vie di Roma in occasione di un trionfo, gridavano: «Ehi, uomini, chiudete in casa le vostre mogli: è tornato il seduttore zuccapelata! ». E Cesare era il primo a riderne. Contrariamente a una certa leggenda che lo riveste di una seriosa e sussiegosa solennità , Cesare era un perfetto uomo di mondo, galante, elegante, spregiudicato, ricco di umorismo, capace di incassare i frizzi altrui e di rispondervi con mordente sarcasmo. Era indulgente coi vizi degli altri, perché aveva bisogno che gli altri lo fossero coi suoi. Curione lo chiamava «il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti ». E una delle ragioni per cui gli aristocratici l’odiarono tanto era ch’egli seduceva regolarmente le loro spose, le quali a dire il vero facevano a gara per essere sedotte. Fra esse c’era anche Servilia, sorellastra di Catone, che anche per questo gli fu irriducibilmente ostile. Servilia gli era cosi devota che gli sacrificò anche la figlia Terzia, cui 160 lasciò il suo posto quando gli anni l’obbligarono a ritirarsi. Cesare ricompensò la generosa madre facendole attribuire i beni di certi senatori proscritti ad un prezzo ch’era un terzo del loro valore. E Cicerone ci ricamò sopra un giuoco di parole, dicendo che quella svendita era stata fatta Tertia deducta. Lo stesso Pompeo, per quanto più bello, ricco e, in quel momento, famoso di Cesare, si vide portar via la moglie da lui e la ripudiò. Cesare se ne fece perdonare, dandogli in sposa la figlia sua.
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