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TEATRO: I MAESTRI: Peter Handke: La realtà dietro le quinte

3 Ottobre 2011

di Alberto Arbasino
[dal “Corriere della Sera”, martedì 14 aprile 1970]

Hanno rapidamente attraver ­sato l’Italia, in questi giorni, le due « punte » più spiccate e si ­gnificative della nuovissima drammaturgia tedesca: il Toller, e Peter Handke. Sarebbe arduo trovare due tendenze più dissimili, più incompatibili.

Toller è, contemporaneamen ­te, un testo fortemente « ideo ­logico » e « impegnato », e uno spettacolone del Teatro di Sta ­to del Wurttemberg più mira ­bolante di una Aida a Verona. L’autore « taglia » in una svelta successione di quadri da ca ­baret tragico la vicenda pubbli ­ca e privata di Ernst Toller, giovane drammaturgo espressio ­nista coinvolto da protagonista negli aggrovigliati spasimi della Repubblica bavarese dei Soviet, e della Rivoluzione Rossa, a Mo ­naco, nel 1919. E il regista Pe ­ter Palitzsch monta con mezzi smisurati uno show rigorosa ­mente « storicistico ». Decine di scene, decine di personaggi: sedute di assemblee, canti in birreria, lezioni universitarie, tè danzanti, sommosse popolari, fucilazioni in massa. E un gran movimento, continuo, di scher ­mi multipli e piattaforme gire ­voli, di proiezioni e di passe ­relle, di rincorse e di su-e-giù. Ma la folta contaminazione cri ­tica di tante tecniche « datate », fra Piscator e Brecht, funziona con risultati impeccabili: intan ­to perché i connotati storici e stilistici del teatro di Toller sono precisamente questi; e poi, perché manca del tutto il com ­piacimento delle toilettes a fran ­ge o il narcisismo sul Kurt Weill.

Peter Handke discende invece dai «giochi » e dai «disimpegni » dell’avanguardia europea più spericolata e più disperata: il Gruppo di Vienna di quindici anni fa. I suoi interessi sono innanzitutto formali e sintatti ­ci. I suoi esperimenti si compio ­no soltanto sulle parole. I suoi drammi â— Gaspar, Insulti al pubblico â— si rappresentano unicamente in salette piccolissi ­me, senza tracce di scene o co ­stumi. Però viene acclamato, con enorme successo, come il massimo drammaturgo di lin ­gua tedesca nella nostra epoca. Eppure abbandona il teatro ela Germania e il successo, si tra ­sferisce a Parigi con la mo ­glie e l’infante, in un esilio stu ­dioso piuttosto simile a quello di Italo Calvino. E passa fra noi da solo, coi quattro fo ­glietti d’una conferenza im ­pervia.

Gli domando (come si usa) che cosa fa; e risponde di sen ­tirsi, attualmente, disturbato, un po’ confuso. Dove abita? A Montmartre. Come passa i giorni? « Nella azione di leg ­gere », e vedendo moltissimi film vecchi e nuovi, preferibil ­mente western popolari. Vuole davvero fare del cinema, come diceva poco tempo fa? «No, il mio atteggiamento verso il cine ­ma, è quello del consumatore, e per me esclude completamente quello dell’autore. Col teatro, è il contrario. Non lo ‘ consumo ‘ affatto, non ci vado mai! ». E come autore? « Vorrei scrivere ancora una sola commedia, e poi basta: tutta emotiva, senti ­mentale, abbandonata, come il sogno di un ubriaco; tutta di ­versa dalle precedenti, che era ­no invece molto costruite, rigo ­rosamente, addirittura come modelli astratti di commedia ». E come giudica questo Toller? « L’ho già scritto, anche su Die Zeit: non mi piace quello spet ­tacolo, perché mi pare un esempio tipico di due cose. Feti ­cismo per una tecnica antiqua ­ta fine a se stessa. Formalismo esasperato di chi non crede più a niente ».

Ma il discorso sul formalismo si fa presto tormentoso, e i con ­cetti sempre più imprecisi, non appena si ripercorrono le illu ­sioni di quei gruppi francesi, letterari e cinematografici (da Tel Quel ai Cahiers du Cinéma) che aspiravano nei mesi scorsi a trasformare marxianamente la realtà con strumenti squisi ­tamente formali… « Non mi pia ­ce parlarne, razionalizzando: non ho mai parlato a nessu ­no di concetti… » osserva qui Handke. « Preferisco tentare di trasformare il mondo con gli strumenti visionari del sogno, superando ogni impedimento o proibizione della realtà proprio come gli ubriachi e i sonnam ­buli… che trasgrediscono qua ­lunque interdetto senza accor ­gersene… ».

A che pubblico ritiene di ri ­volgersi? « E’ una domanda di sociologia? ». Si, di sociologia della letteratura. « Ecco, allora vorrei notare che fino a poco fa ritenevo impossibile conti ­nuare a scrivere storie, con la gente, i fatti, le trame… Eppure adesso vorrei molto farlo, e cre ­do che ci riuscirei bene, giacché si tratta di una questione non di letteratura, ma di comunica ­zione… Però posso solo immagi ­nare un pubblico come me, mol ­to simile a me… Non si scrive mai per le masse, ahimè, anche se si viene di lì: io sono figlio di operai, appunto. Però, se di ­chiarassi ‘ io mi rivolgo alla classe operaia ‘, direi una bugia, come fanno tanti, e mi senti ­rei poco onesto. Non mi pare possibile ‘dare l’Arte alla Classe Lavoratrice’ come proclamano sempre tutti i teatranti che manipolano Brecht per i piccoli borghesi seduti in giacca e cravatta nelle poltroncine di velluto rosso. E poi si sentono ideologizzati e impegnati! A me pare utopia intellettualistica, oppure malafede politica. Al proletariato si possono offrire feticci, come fa la televisione. Ma il teatro può offrire soltanto sogni a chi si trova nell’ingra ­naggio della produzione e po ­trà mutare tutt’al più la propria mente, ma non già la propria vita. E alla lunga, non potendo mutare la vita, non riesce più a cambiare nemmeno la men ­te… Non so se sia un punto di vista particolarmente ‘ disimpe ­gnato ‘, questo. Ma mi sembra più onesto chiamare le cose col loro nome; e ammettere per esempio che la nostra vita si può cambiare con la politica, e non già col teatro. Nemmeno quello impegnato ».


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1 commento

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Bart