TEATRO: I MAESTRI: Peter Handke: La realtà dietro le quinte3 Ottobre 2011 di Alberto Arbasino Hanno rapidamente attraver sato l’Italia, in questi giorni, le due « punte » più spiccate e si gnificative della nuovissima drammaturgia tedesca: il Toller, e Peter Handke. Sarebbe arduo trovare due tendenze più dissimili, più incompatibili. Toller è, contemporaneamen te, un testo fortemente « ideo logico » e « impegnato », e uno spettacolone del Teatro di Sta to del Wurttemberg più mira bolante di una Aida a Verona. L’autore « taglia » in una svelta successione di quadri da ca baret tragico la vicenda pubbli ca e privata di Ernst Toller, giovane drammaturgo espressio nista coinvolto da protagonista negli aggrovigliati spasimi della Repubblica bavarese dei Soviet, e della Rivoluzione Rossa, a Mo naco, nel 1919. E il regista Pe ter Palitzsch monta con mezzi smisurati uno show rigorosa mente « storicistico ». Decine di scene, decine di personaggi: sedute di assemblee, canti in birreria, lezioni universitarie, tè danzanti, sommosse popolari, fucilazioni in massa. E un gran movimento, continuo, di scher mi multipli e piattaforme gire voli, di proiezioni e di passe relle, di rincorse e di su-e-giù. Ma la folta contaminazione cri tica di tante tecniche « datate », fra Piscator e Brecht, funziona con risultati impeccabili: intan to perché i connotati storici e stilistici del teatro di Toller sono precisamente questi; e poi, perché manca del tutto il com piacimento delle toilettes a fran ge o il narcisismo sul Kurt Weill. Peter Handke discende invece dai «giochi » e dai «disimpegni » dell’avanguardia europea più spericolata e più disperata: il Gruppo di Vienna di quindici anni fa. I suoi interessi sono innanzitutto formali e sintatti ci. I suoi esperimenti si compio no soltanto sulle parole. I suoi drammi â— Gaspar, Insulti al pubblico â— si rappresentano unicamente in salette piccolissi me, senza tracce di scene o co stumi. Però viene acclamato, con enorme successo, come il massimo drammaturgo di lin gua tedesca nella nostra epoca. Eppure abbandona il teatro ela Germania e il successo, si tra sferisce a Parigi con la mo glie e l’infante, in un esilio stu dioso piuttosto simile a quello di Italo Calvino. E passa fra noi da solo, coi quattro fo glietti d’una conferenza im pervia. Gli domando (come si usa) che cosa fa; e risponde di sen tirsi, attualmente, disturbato, un po’ confuso. Dove abita? A Montmartre. Come passa i giorni? « Nella azione di leg gere », e vedendo moltissimi film vecchi e nuovi, preferibil mente western popolari. Vuole davvero fare del cinema, come diceva poco tempo fa? «No, il mio atteggiamento verso il cine ma, è quello del consumatore, e per me esclude completamente quello dell’autore. Col teatro, è il contrario. Non lo ‘ consumo ‘ affatto, non ci vado mai! ». E come autore? « Vorrei scrivere ancora una sola commedia, e poi basta: tutta emotiva, senti mentale, abbandonata, come il sogno di un ubriaco; tutta di versa dalle precedenti, che era no invece molto costruite, rigo rosamente, addirittura come modelli astratti di commedia ». E come giudica questo Toller? « L’ho già scritto, anche su Die Zeit: non mi piace quello spet tacolo, perché mi pare un esempio tipico di due cose. Feti cismo per una tecnica antiqua ta fine a se stessa. Formalismo esasperato di chi non crede più a niente ». Ma il discorso sul formalismo si fa presto tormentoso, e i con cetti sempre più imprecisi, non appena si ripercorrono le illu sioni di quei gruppi francesi, letterari e cinematografici (da Tel Quel ai Cahiers du Cinéma) che aspiravano nei mesi scorsi a trasformare marxianamente la realtà con strumenti squisi tamente formali… « Non mi pia ce parlarne, razionalizzando: non ho mai parlato a nessu no di concetti… » osserva qui Handke. « Preferisco tentare di trasformare il mondo con gli strumenti visionari del sogno, superando ogni impedimento o proibizione della realtà proprio come gli ubriachi e i sonnam buli… che trasgrediscono qua lunque interdetto senza accor gersene… ». A che pubblico ritiene di ri volgersi? « E’ una domanda di sociologia? ». Si, di sociologia della letteratura. « Ecco, allora vorrei notare che fino a poco fa ritenevo impossibile conti nuare a scrivere storie, con la gente, i fatti, le trame… Eppure adesso vorrei molto farlo, e cre do che ci riuscirei bene, giacché si tratta di una questione non di letteratura, ma di comunica zione… Però posso solo immagi nare un pubblico come me, mol to simile a me… Non si scrive mai per le masse, ahimè, anche se si viene di lì: io sono figlio di operai, appunto. Però, se di chiarassi ‘ io mi rivolgo alla classe operaia ‘, direi una bugia, come fanno tanti, e mi senti rei poco onesto. Non mi pare possibile ‘dare l’Arte alla Classe Lavoratrice’ come proclamano sempre tutti i teatranti che manipolano Brecht per i piccoli borghesi seduti in giacca e cravatta nelle poltroncine di velluto rosso. E poi si sentono ideologizzati e impegnati! A me pare utopia intellettualistica, oppure malafede politica. Al proletariato si possono offrire feticci, come fa la televisione. Ma il teatro può offrire soltanto sogni a chi si trova nell’ingra naggio della produzione e po trà mutare tutt’al più la propria mente, ma non già la propria vita. E alla lunga, non potendo mutare la vita, non riesce più a cambiare nemmeno la men te… Non so se sia un punto di vista particolarmente ‘ disimpe gnato ‘, questo. Ma mi sembra più onesto chiamare le cose col loro nome; e ammettere per esempio che la nostra vita si può cambiare con la politica, e non già col teatro. Nemmeno quello impegnato ». Letto 7603 volte. | ![]() | ||||||||||
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