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TEATRO: I MAESTRI: Shakespeare. C’è solo lui

17 Maggio 2016

di Giorgio Zampa
[da “La fiera letteraria”, numero 4, giovedì, 25 gennaio 1968]

Nel ’64 si ebbe notizia che Viscon ­ti avrebbe messo in scena al Festival veneziano dell’anno successivo II Mer ­cante di Venezia con Rina Morelli e Paolo Stoppa. Sarebbe stato uno strap ­po, finalmente, rispetto alla tradizio ­ne instaurata a Campo San Trovaso, nel ’34, con una regìa (Reinhardt), una traduzione (Paolo Ojetti), un’interpre ­tazione (Memo Benassi) destinate a segnare il livello massimo raggiunto in Italia da questa commedia.

Reinhardt aveva rotto con l’impo ­stazione dei mattatori, illustrata spe ­cialmente da Ermete Novelli. Forse quello che Visconti avrebbe fatto con uno Stoppa nella gabbana di Shylock è abbastanza prevedibile: una comici ­tà secca, con una voce querula e stroz ­zata, a scatti, un « mamma mia! » con ­tinuo tra scoppi d’ira impotente; nel ­la cornice di una Venezia… Guardi, Tiepolo, Longhi a consumo, costumi strepitosi; rievocate tradizioni del ghetto, gli ori appassiti, i legni lucen ­ti della Scuola di Spagna, un pezzo di qualche cerimonia giudaica; le incur ­sioni del Carnevale, che da Rialto si spinge al Canalazzo. Belmonte po ­trebbe essere solo giorgionesco, la Perfetta Sede, ove l’Armonia si sposa alla Grazia e alla Malinconia, velatu ­re squisite, note gracili; impressa con lo stacco e la leggerezza delle minia ­ture orientali, la favola dei tre cofa ­ni. Il principe del Marocco arriva su un purosangue vero, che nitrisce e si impenna.

Non è detto: una volta o l’altra, forse, Visconti ci mostrerà il suo Mer ­cante. Intanto dobbiamo contentarci di soluzioni più modeste, di vie di mezzo, quali l’attuale stagione inco ­raggia. Uno Shakespeare in periodi di letargo, non guasta mai. Montarlo costituisce un titolo di merito, andarlo a vedere non è sbagliato. Quanto ai co ­sti: le sartorie d’opera hanno risorse inesauribili, la scena fissa giustifica, in sede estetica, ogni sparagno, con un registratore si fa a meno degli or ­chestrali. Non rompiamoci la testa, non poniamoci problemi angosciosi, vediamo di non strafare; la macchina finisce col funzionare lo stesso, Sha ­kespeare è sempre Shakespeare.

I protagonisti sono tre

Dai tempi di Kean, almeno, in avan ­ti, il Mercante presenta un tranello che continua a fare vittime: quello del falso protagonista. In realtà, come tre sono le azioni che si intrecciano nella commedia: favola di Belmonte e innamoramento di Bassanio; vicenda del prestito tolto da Antonio a Shy ­lock; rapimento e fuga di Gessica da parte di Lorenzo: tre dovrebbero es ­sere i protagonisti. Che di fatto av ­venga diversamente, che Shylock ca ­talizzi l’intera azione, che per la profilatura e il pittoresco del suo ca ­rattere seduca interpreti d’eccezione, incoraggiando virtuosismi di ogni ge ­nere, dal tragico, attraverso il grotte ­sco, al comico, sembra essere nell’or ­dine delle cose; ma non è detto trat ­tarsi di legge immutabile. Commedia fornita di musica interiore come po ­che altre, dove il blank verse ha fi ­nalmente raggiunto, nell’affrancamen ­to da ogni schema esterno, una sciol ­tezza, una libertà da Shakespeare, pri ­ma, non ancora toccate, Il Mercan ­te di Venezia, sotto l’apparenza di una commedia d’intreccio, di movi ­mento, è in realtà un meraviglioso gioco tonale, determinato da alcune dominanti che non corrispondono a quelle affioranti dall’azione.

Rare sono le apparizioni di Anto ­nio, più rare ancora le sue battute; eppure le vibrazioni che emanano dal ­la sua assenza sono percepibili attra ­verso tutto il dramma che risulta co ­lorato, per così dire, alla sua mestizia, da una virile malinconia tanto più al ­ta quanto più taciuta. La sua dedizio ­ne senza limiti a Bassanio, intrepida, apprensiva, disperata e fidante, il sen ­timento che arcanamente lo lega al giovane di natura opposta alla sua, a un play-boy che non andrà, ammettia ­molo, di proposito a caccia di dote per cavarsi dai debiti e attaccare il cappello, ma batte, in ogni modo, am ­bienti dove le doti sono opime e ten ­ta, giocando tutto per tutto, la Lotte ­ria Reale: appartengono a una virili ­tà sublimata, comprensibile e apprez ­zata ai tempi di Shakespeare, secondo determinati ideali sociali e culturali, impregnano tutte le vicende, preci ­sandone il significato e graduandone il         rilievo.

La solitudine, la non-speranza, l’ipo ­condria del mercante dandy, non han ­no disseccato il suo animo, isterilito la sua umanità: da una sconsolata e lucida visione del mondo trae alimen ­to la sua inclinazione per il bel scape ­strato, ricevendo in cambio, quando è troppo tardi, inutili proteste di gra ­titudine. Fosse stato per Bassanio, Shylock avrebbe avuto la sua libbra di carne; la salvezza è portata, in extre ­mis, dal vero antagonista di Antonio. Porzia, amando riamata l’amico, riba ­disce per sempre l’isolamento del mer ­cante; la stessa prova dell’anello, che in un primo momento può sembrare a sfavore della donna, in realtà non fa che confermare il suo potere esclu ­sivo.

Nell’obbligo di obbedire alla volon ­tà del padre defunto, di accettare co ­me compagno di vita chiunque, mes ­so davanti ai tre scrigni, si comporti con più discernimento (quindi anche un noioso); maturata precocemente dalla solitudine e dal senso della re ­sponsabilità, Porzia esprime con accen ­ti limpidi, chiari, infinitamente più lie ­vi, ma non per questo meno intensi, di quelli di Antonio, un atteggia ­mento di rassegnazione di fronte alla vita. La mestizia del mercante si fon ­de, nelle sue ultime esalazioni, con la malinconia della donna che si sa bella e non libera, anche troppo con ­sapevole di sé, della sua perspicacia, della forza del suo giudizio. La ric ­chezza, lontano dal viziarla, l’ha re ­sa chiaroveggente, l’ha privata del sol ­lievo delle illusioni, l’ha resa esigen ­te rispetto alla sostanza dei sentimen ­ti sino quasi allo scetticismo, all’in ­credulità.

E’ su questo quasi che trova soste ­gno, che si sviluppa l’amore per Bas ­sanio, che si apre la fiducia alla vi ­ta. Il bel cittadino arrivato a lei gio ­candosi la pelle del suo migliore ami ­co, probabilmente svolgerà con garbo la parte del principe consorte; gli at ­tributi, li possiede tutti. Se una don ­na ha beni e denaro per giustificare la

presenza e le funzioni di un consorte leggiadro e squattrinato, chi può tro ­vare da ridire? Intorno a Porzia, al ­la sua precoce saggezza, alla sua « for ­tuna », i versi shakespeariani tessono un velo di malinconia, che non si di ­rada per tutta la durata della comme ­dia, anzi si accentua alla fine, in quel quinto atto volutamente manierato, sentenziante, lasciato lì come un’ap ­pendice.

Shylock comico o tragico

Tra questi accenti così diversi e armonizzanti, da cui il Mercante trae la sua musica più segreta, non è facile porre al posto giusto, equili ­brare la figura dell’ebreo amusicale per definizione, trovare spazio per la vita dura, crudele, governata dalla ne ­cessità del denaro, tra invidia e so ­spetto, avidità e diffidenza. In ciò ri ­siede la difficoltà maggiore del lavo ­ro, il punto più delicato della sua let ­tura. L’alternativa che da sempre si pone per Shylock comico o tragico, ebreo squittente, pavido, feroce quan ­do si sa immune da ritorsioni, attac ­cato alla lettera dellla- legge e per questo punito oppure individuo of ­feso, disprezzato, fatto oggetto di pre ­varicazioni, che non può difendersi per non attirarsi guai peggiori: la dupli ­cità di registri alla quale incoraggia, facendo insistere sulla caratterizzazio ­ne, aumentando d’arbitrio l’importan ­za effettiva del personaggio: non so se fino a oggi nessuno si sia opposto a questa presunta legge, abbia cercato di dare a Shylock la misura che gli conviene, facendolo assorbire dal suo ambiente, ponendo finalmente termi ­ne alla opinione tanto diffusa quan ­to errata che protagonista della com ­media sia lui.

Certo non ha fatto questo Franco Enriquez con la sua « Compagnia dei Quattro », nell’allestimento del Mer ­cante per il « Nuovo ». Mario Scaccia dà fondo a tutte le sue risorse per impersonare uno Shylock da melo ­dramma, che entra ed esce come se non avesse intorno nessun altro. Il pubblico applaude a scena aperta, ri ­de, ha quello che vuole. Porzia (Va ­leria Moriconi) fa vedere di essere una gran dama cambiando puntual ­mente abito a ogni quadro. Antonio (Paolo Ferrari) mostra una faccia scura e parla con aria triste. Di altri personaggi, di scene che vorrebbero essere di massa, meglio non dire. Il livello di Campo San Trovaso, sono passati trentaquattro anni, segna an ­cora un limite imbattuto.


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Bart