Travaglio: potevamo parlare di tutto, ma dei processi no12 Gennaio 2013 di Andrea Malaguti Travaglio, ha visto i numeri? Dopo la trasmissione il gradimento di Berlu sconi è schizzato in alto. «Non me ne può fregare di meno. C’è chi ha scambiato Servizio Pubblico per una sparatoria all’Ok Corrai. Che cosa dovevamo fare? Sputargli? Me narlo? Non era la resa dei conti ». Che cos’era allora? «Una trasmissione d’informazione. Dove abbiamo detto molte cose. Che suppongo chiunque dovrà tenere pre sente in questa campagna elettorale. Abbiamo tolto dal tavolo i due argo menti più utilizzati dal Cavaliere ». Cioè? «L’Imu e il complotto tedesco. Quan do Monti ha introdotto l’Imu, Berlu sconi ha prima condiviso e poi taciuto come ha dimostrato la Costamagna. E sulle banche tedesche è stata perfetta la Innocenzi a presentargli le smenti te sia della Bundesbank sia della Deut sche Bank. Io ho completato il quadro ». Leggo dai commenti al suo blog: me glio Giletti degli interventi di Travaglio. «La critica è sempre legittima. Bd è ov vio che non mi metto a parlare dei 120 sms positivi che mi sono arrivati dopo la trasmissione e nemmeno dei molti complimenti dei lettori. Ma in effetti una cosa che mi infastidisce c’è ». Quale? «L’idea che fosse tutto concordato. As surdo. La seconda volta che mi sono se duto al tavolo lui mi ha guardato e mi ha detto: parla di nuovo? E io: qualcosina da dire in effetti ce l’ho ancora ». Gli argomenti erano stati decisi prima. C’è un carteggio a dimostrarlo «Succede con qualunque ospite. Si sce glie un tema. In questo caso era: alla sua sesta campagna elettorale, quale credibilità ha ancora il candidato Silvio Berlusconi? Una formula che consenti va di parlare di qualunque cosa restan do fuori dal merito dei processi, valu tandone però l’impatto politico ». Perché i processi no? «Con l’ex premier ci sarebbero volute quaranta ore. Ne avevamo due ». Non sarebbe stato più efficace un con fronto botta e risposta? «No. L’uomo è un insieme inestricabile di bugie, vittimismo e logorrea. Una macchina spara-palle. Sarebbe stato inevitabile interromperlo a ogni frase. E poi, ad esempio, non sono esperto di economia. Per quello c’era Dragoni. Mi sono concentrato su quello che lui avrebbe potuto fare e dire in vent’anni ». Berlusconi però ha parlato dei proces si persi da lei. «È stato molto scorretto. E peraltro evidentemente non conosce la differenza tra cause civili e penali. Le mie condan ne sono per reati di opinione. Ma, a par te il fatto che io faccio il giornalista e rispondo a chi legge e non a chi vota, sono penalmente pulito. Berlusconi dif famatore di professione farebbe meglio a dirlo a sua zia. 0 a sua sorella ». Lo ha detto a lei. Aggiungendo anche che litigò con Montanelli a causa sua. «Una versione lunare. Ma non è stato l’unico momento in cui si è coperto di ridicolo. Parlando del conflitto di inte ressi è riuscito a dire che in questi anni non ha mai chiamato il centralino di Mediaset. E su Dell’Utri che è una bra va persona perché ha quattro figli. Così si potrebbe dire che il Padrino era un santo perché di figli ne aveva cinque. Parametro bizzarro ». Le ha dedicato anche la gag della sedia ripulita. «Non me ne sono accorto. L’ho scoperto a casa e ho capito i buu del pubblico ». Stupito dalla lettera ad personam? Che effetto fa il 76enne Berlusconi dal vivo? «Ha un’energia pazze sca. È in gran palla. La campagna elettorale lo rigenera. Del resto, come diceva Montanelli, è un piazzista senza pari. Uno che con la po litica vera si annoia perché non la sa fa re. Però mi sono anche immaginato che cosa sarebbe successo se invece della Costamagna e della Innocenzi avesse avuto di fronte Monti e Bersani. Presu mibilmente se li sarebbe mangiati ». Ecco perché ora possiamo perdonarlo Tutti sanno che io ho criticato aspramente Berlusconi sia per l’amicizia con Putin (che specie dopo le Pussy Riot spedite nel gulag mi sembra insostenibile) sia per la leggerezza maldestra con cui ha permesso che il suo stile di vita privato diventasse pubblico e si trasformasse in munizionamento quotidiano dei galeoni della smi si l. Ma ormai cosa fatta capo ha e amen. Adesso sia mo al dopo. E dopo aver visto il più grande show mediatico de gli ultimi vent’anni – Berlusconi contro tutti, tenen do testa a tutti e ridurli quasi sempre al silenzio – mi sono reso conto che ancora una volta l’unico leader nazionale capace di esercitare una leader ship carismatica è lui e non ce n’è altri. Monti ha avuto buon gioco ad entusiasmare il campo antiberlusconiano fin ché reggeva l’idea del confronto fra stili perbenisti, minimalismo con tro iperbole. Poi però anche quel confronto si è impallidito ed è ora poco più che una curiosità. Ho ascoltato ieri mattina a Radio Anch’io il meglio di Bersani in diret ta e, francamente, dopo tante rassi curazioni ispirate a un comunismo tecnico e senza pulsioni di scuola emiliana tra Ferrini e Crozza (con dentro l’uovo vendoliano) sono sta to colto da sonnolenza mentre gui davo e ho dovuto spegnere. Quel che è troppo ti manda in coma pro fondo e puoi finire nella cunetta. C’è un fatto che avevo già notato da Vespa e in altre trasmissioni in cui il Cavaliere si era presentato: nessuno riesce a salire sul ring con lui e tenergli testa. Ho visto colleghi, benché ricoprissero ruoli giornali stici rilevanti fra cui il direttore del- l’Unità, arrivare a belare, fare spal lucce come signorine imbronciate, obiettare monosillabi incomprensibili col sopracciglio levato, ma inca paci di fronteggiare il loro avversa rio: comparse da tappezzeria. Tan to che uno dice: va bene, Berlusconi è invadente ma bravo, non molla l’osso e sciorina dati, piazza colpi so pra e sotto la cintura, ma è possibile che non si trovi mai davanti a qual cuno capace di stargli di fronte con la schiena dritta, capace di ribattere cifre, argomenti, contestazioni, co me si usa nelle patrie democratiche dell’Occidente? Dei lemuri. Poi, finalmente, arriva Santoro. Caspita, tutt’altra musica: la filibu sta schierata con tutti i velacci e con trovelacci, ramponi da abbordag gio, filmati e corsivi, trappole e giri di chiglia, un altro mondo. C’era il capitano e il cannoniere, la ciurma e le sirene, la santabarbara fornita a dovere e, quanto a tensione, molti barili di rum. E allora si è capito che quello era finalmente il ring, quello era il match, è lì che gli scommettito ri della City vanno ai botteghini con rotoli di banconote e la lattina di birra in tasca. Il duello è stato combattuto all’ul timo sangue fino alla fine e lì si è vi sto finalmente il Cavaliere darne e prenderne, mettere al tappeto e rial zarsi, rispondere di fioretto e di pu gnale, fino al numero che ha fatto in cazzare come una belva Santoro, e cioè quello sulle condanne di Trava- glio. A me piace Travaglio perché è un altro che sa stare sul ring, ma an che lui generalmente ci sta da solo e se la canta e se la suona indisturba to, con raffinata strafottente elegan za, che però non prevede contrad dittorio. Berlusconi ha reso a Travaglio la pariglia: gli ha letto la lista delle sue condanne, lunga come un serpente a sonagli e Santoro ha perso la testa, si è messo a strillare che ogni buon giornalista ha molte condanne per diffamazione, praticamente un bla sone, il che non è assolutamente ve ro, anche se alcune condanne capi tano a ciascuno di noi, ma come ec cezioni, ameno che tu non sia un di rettore e paghi per le castronerie scritte dagli altri. Politicamente Berlusconi ha se gnato un punto vincente in assoluto quando è riuscito a spiegare agli italiani perché questo Paese è ingovernabile con l’attuale Costituzione e poi quando ha retto botta a tutte le bordate che gli sono state portate senza risparmio di munizioni. An ch’io ero sempre rimasto imbaraz zato dal noto filmato della telefona ta davanti alla Merkel stordita e in credula. Ma giovedì sera abbiamo avuto, assieme al filmato, la spiega zione di quella chiamata al turco che Berlusconi stava tentando di convincere a nome di tutti e di cui tutti, Merkel inclusa, aspettavano con trepidazione l’esito. Ed ecco che lo stesso filmato, le stesse facce, le stesse smorfie, assumono tutt’al tro significato. Berlusconi mi è sem brato semmai glissare sulla storia, sostenuta da Tremonti, della lettera europea fatta confezionare a Roma per fotterlo. Lo spettatore ha avuto l’impressione che ci fosse qualcosa di vero. Ma poi è stato lui, Berlusconi, a far andare in bestia Santoro, senza perdere la trebisonda. Poco mancava che Santoro lasciasse la propria trasmissione avendo perso il controllo dei nervi. E colgo l’occasione per di re che il Santoro dell’ altra sera è sta to il miglior Santoro che abbia visto: astuto, ben preparato, ipnotico, ve lenoso con calma, le idee chiare sul filo conduttore, ma con la presun zione di poter dirigere anche lo spar tito suonato da Berlusconi, il che era impensabile. Ma ciò che è emerso, ciò che ha convinto, ciò che certamente porte rà nuovi punti al Cavaliere (tutta l’Italia era incollata su La7 che non ha mai visto tanti spettatori per un talk show) è la sua leadership politi ca unica: unica perché senza com plessi, competente nel fornire e or ganizzare dati, scattante nelle rispo ste, pervasa da folate di umorismo un po’ sadico e ben funzionante, in somma convincente. Io ho visto e sentito persone che odiano Berlu sconi, che fìngono il malore e la nau sea solo a sentire il suo nome, rico noscere che «quello ha una marcia in più », «ha sempre una risposta a tutto », «è uno con due palle così ». Se non fosse stato questo l’effetto di Berlusconi da Santoro, non si sareb bero accalcati su una rete minore quasi dieci milioni di italiani. Qui c’è poco da discutere: se co me mattatore unico Berlusconi do mina la scena, poi da lottatore uni co messo in mezzo da una intera gang sembrava uno di quei supereroi da fumetto giapponese che cal ciano e mollano cazzotti piroettan do nell’ aria e camminando sui soffit ti. Mala leadership che ha saputo di mostrare va molto oltre il match: si è trattato diuna esibizione di vera leadership politica, quel tipo di leader ship che i presidenti americani co me Bill Clinton (il miglior oratore americano) sciorinano alle conven tion quando vincono e poi per una vita vendono alle università di tutto il mondo. Qui Filippo Facci elenca le condanne di Marco Travaglio ( e qui). Mafiando e occultando Ci sono cose che più le nascondi e più si vedono. L’11 gennaio, leggendo i giornali, lampeggiava l’occultamento di quanto era avvenuto a Palermo. Qui un mafioso, un disonorato, un assassino, uno la cui parola vale quel che vale, ovvero meno del niente che è lui, ha detto: la trattativa fra Stato e mafia c’è stata e la sinistra comunista lo sapeva. Il punto è questo: se avesse detto che la trattativa ci fu e che Mangano, lo stalliere di Arcore, ne era al corrente, ci avrebbero aperto le prime pagine. Invece ha detto che lo sapevano i comunisti. E la notizia è sparita. Dissolta nel nulla. Con tanti mafiologhi a parlare d’altro, comprese lettere anonime che sembrano scritte apposta per distrarre, tanto sono vuote e insignificanti. Questa volta la faccio breve, anche se si tratta di storia lunghissima. L’unica scuola che riconosco è quella di Giovanni Falcone: i pentiti non sono credibili, se non portano o si trovano riscontri e prove. Vale sempre e per tutti, non a seconda di chi accusano. Quando un noto pm di Palermo, ora leader politico con simbolo familiare, pendeva dalle labbra del giovin Ciancimino noi lo prendevamo in giro e dimostravamo che raccontava balle. Avevamo ragione noi. Come è noto Falcone non fece carriera, non gli furono affidate responsabilità nazionali nella lotta alla mafia e fu isolato e sconfitto. Da chi? Da Luciano Violante ed Elena Paciotti. Di sinistra, non so se comunisti (oramai son tutti pentiti), ma entrambi magistrati ed entrambi eletti nelle liste del fu partito comunista. Alla procura di Palermo si trovava Piero Giammanco, amico dei democristiani e che la sinistra aveva appoggiato per quella nomina, preferendolo a Falcone. Giammanco si preoccupò di complicare il lavoro anche di Paolo Borsellino, fin quando una bomba lo cancellò. Sulle bombe del 1993 ho scritto e riscritto. Abbiamo dimostrato, dapprima irrisi e solitari, che la catena che porta alla sospensione del 41 bis, quindi ad un piacere fatto ai mafiosi, parte da monsignor Curioni, capo dei cappellani carcerari e molto influente emissario del Vaticano, passa per Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, che fa fuori Niccolò Amato, capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, e fa mettere al suo posto Alberto Capriotti – segnalato da Curioni –, imponendolo ad un tremulo e inutile professor Conso, tanto bravo e buono quanto illuso d’avere deciso lui di sospendere il carcere duro ai mafiosi. Ebbene, se quella è la contropartita della trattativa, fu pagata dal governo di Carlo Azelio Ciampi, sostenuto dalla sinistra. Mi dispiace per Beppe Pisanu, ma la sua tesi non regge: o fra questi fatti c’è un nesso, e allora la trattativa coinvolse quei vertici politici, oppure non c’è, nel qual caso non c’è neanche la “tacita intesa”. Che la pratica mafiosa potesse essere liquidata con il silenzio assenso è idea troppo ridicola per essere presa in considerazione. Siccome il pubblico ministero che rappresenta l’accusa, a Palermo, argomentava che per “sinistra”, così come da dichiarazioni rese da Brusca, deve intendersi quella democristiana, incarnata dagli imputati Nicola Mancino e Calogero Mannino, il Brusca medesimo, quello che svelò il “papello”, chiede la parola, per dichiarazioni spontanee, e afferma: 1. non sono stato io a dirlo per primo, ma Totò Riina; 2. non parliamo di sinistra democristiana, ma dei comunisti. Cioè quelli che, in quegli anni, avversavano Falcone e Borsellino, nonché appoggiavano il governo che concesse la fine del carcere duro. Quindi, gli imputati di Palermo o sono troppi o sono troppo pochi. Cosa ne deduco? Io nulla, perché senza riscontri le parole di Brusca sono escrementi. Ma quando i giornaloni con la coscienza sensibile, quelli che hanno opinionisti davvero seri e preparati, cogitabondi cultori dell’interesse collettivo, si danno tanta cura per ammucciare le cose che accadono, ecco, ne deduco che qualcuno dovrebbe vergognarsi. Vescovi contro la Cassazione “I bimbi non vivono bene coi gay, hanno bisogno di mamma e papà” Durissime reazioni alla sentenza della Corte di Cassazione che ha detto sì all’adozione da parte delle coppie gay. Durissima la replica della Cei che, sulle colonne del suo quotidiano L’Avvenire sottolineano, in un articolo scritto dal giurista Carlo Cardia che la decisione: “lascia stupefatti quando cancella tutto ciò che l’esperienza umana, e con essa le scienze psicologiche, ha elaborato e accumulato in materia di formazione del bambino”. “Siamo – denuncia l’editoriale – di fronte ad una concezione che attinge il suo humus culturale alle forma illuministiche più primitive, nega ogni preziosità dell’esperienza umana e ritiene che anche per la dimensione della paternità e della maternità il gener umano possa ricominciare daccapo, perchè l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca”. Pericolo reale. Per la prima volta in Italia – sottolinea il quotidiano dei vescovi – una sentenza della Sezione civile della Cassazione afferma che questi principi che ciascuno di noi vive e sperimenta nella famiglia d’origine, e nelle relazioni con i propri figli sono frutto di un mero pregiudizio e che non è affatto necessario per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia composta da madre e padre, essendo tale considerazione non fondata su ‘certezze scientifiche o dati di esperienzà”. In questo modo, secondo Avvenire, il bambino viene “privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre”. “Si intravede in questo modo – rileva l’articolo – un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esistenza che condiziona per sempre la crescita successiva”. Per Avvenire, “il bambino non è oggetto da utilizzare o manipolare con sperimentazioni estranee alla sua propria dimensione familiare, ma è persona con diritti originari che devono essere tutelati e garantiti dalla società e dalle leggi che lo governano”. “Dobbiamo essere sinceri, e riconoscere – conclude infine – che siamo di fronte al pericolo reale che si rechi un grave vulnus a quanto di più prezioso l’umanesimo religioso e di ogni tendenza laica ha realizzato sino ad oggi, che riguarda la cura e la tutela delle nuove generazioni per un futuro sempre più umanizzato della società”. L’ADDIO ALLA MELATO. Arbore: “Vi racconto la mia amata Mariangela” Ecco l’addio all’amata Mariangela che Renzo Arbore, suo compagno prima negli anni ’70 e poi dal 2007 ha affidato al “Sole 24 Ore”. Da questa mattina, sabato 12 gennaio, è aperta la camera ardente (guarda la gallery) per l’ultimo saluto all’attricemorta l’11 gennaio a 71 anni. I funerali si terranno nel pomeriggio nella Chiesa degli artisti in Piazza del Popolo a Roma di Renzo Arbore La nostra è stata una vita di complicità, di amore, di sorrisi, di ammirazione. Mariangela era una donna straordinaria, una ragazza eccezionale, unica. La sua caratteristica più forte era la nobiltà interiore, quasi un paradosso in un panorama che al giorno d’oggi spesso si vede di fronte a noi. Il suo carattere e la sua forza d’animo erano certamente anche il frutto della sua famiglia: il padre era un “ghisa”, un vigile urbano di Milano, un uomo dalla personalità davvero intensa, e la madre era una casalinga: vivevano in quelle case di ringhiera tipiche di certi quartieri del capoluogo lombardo, luoghi dove nasce una sana saggezza popolare. Ecco Mariangela arrivava da lì, da questo mondo di straordinaria umanità. E’ stata lei a farmi conoscere Milano, e farmene innamorare. E devo a lei una maturità che allora ancora non avevo. Arbore-Melato: storia di un amore, guarda la gallery Devo dire che ho in qualche modo “rubato” da lei dei “codici” essenziali: dare di sé sempre il meglio, non perseguire mai l’interesse personale, avere in ogni momento presente invece l’interesse di chi si ha davanti con lo scopo di arricchire l’interlocutore. Questa era Mariangela nella vita privata, questa era lei nella sua vita da artista. Accettava di fare lavori difficili e talvolta impopolari con la stessa naturalezza, professionalità e dedizione con cui raccoglieva grandi successi attraverso cult-movie che hanno fatto la storia del cinema italiano. La sua caratteristica di artista era la versatilità: poteva essere Medea diretta da Luca Ronconi, o la poliziotta del film di Steno, o la ragazza madre in Caro Michele di Monicelli. La prima volta che l’ho vista fu nella sua iniziale apparizione televisiva, quando uscì da una valigia che era portata da Pippo Baudo, e si mise a ballare il rhytthm and blues come se avesse sempre quello nella vita. E’ il primo ricordo che ho di lei, ma l’incontro tra noi avvenne poco tempo dopo, al teatro Sistina, dove eravamo per una premiazione: in quel momento nacque un grande amore che è continuato fino ad oggi. Il ricordo di Mariangela Melato: una diva indimenticabile: guarda la gallery E’ stato un privilegio avere accanto una grande artista che è ben diverso da avere vicino un’artista: la grande artista coglie i bagliori dell’arte nelle sfumature. Un altro ricordo è la sua emozione quando andavamo a sentire le canzoni napoletane. Non quelle suonate da me, ma Roberto Mutolo: ascoltava con animo di bambina. Tutti quelli che l’hanno conosciuta, dall’impresario al portiere dove abitava, dal regista al panettiere, tutti hanno sempre parlato di lei con ammirazione, e sono certo che lo faranno per sempre. Tutti siamo stati innamorati della sua grazia.
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