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VARIE: Brexit e Italexit

17 Febbraio 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Lo dico subito. Non sono tra coloro che auspicano l’uscita dell’Italia dalla UE. Quando nacque ne fui un sostenitore, e ancora lo sono.
Soltanto con una aggregazione di Stati omogenei per storia e cultura è possibile reggere e contrastare il dominio di Stati assai grandi, come gli Usa, la Cina e la Russia, i quali, in pratica, ci stanno invadendo allo scopo non solo di trarre un guadagno economico da tale dominio, ma soprattutto di trasformarci in Nazioni dipendenti dalle loro strategie. Chi risulterà vincitore tra questi giganti è ancora presto per dirlo, la sfida è appena cominciata, ma il risultato sarà mortificante per chi soccomberà.
Solo un’aggregazione forte, immaginata con la UE appunto, potrà consentire una difesa che non cancelli del tutto la nostra storia.
Però questa aggregazione forte stenta a nascere, anzi, di più, si vanno consolidando in essa tendenze di segno opposto, in realtà disgregatrici.
La volontà di diventare Stati guida e dominanti, nonché il desiderio di trarre vantaggio economico a favore dei più forti e l’inasprimento delle debolezze degli altri sono alcune di queste tendenze, divenute sempre più evidenti e corruttrici.

I Paesi del Nord, tra cui primeggiano Germania e Francia, sono i fautori e beneficiari di questa tendenza dominatrice, mentre la Grecia e, ahimè, l’Italia sono le vittime più insigni. Si tratta di Nazioni che hanno creato la civiltà dell’Occidente intero. Senza di esse chi sa che cosa di terribile saremmo diventati. Diritto, arte e bellezza hanno trovato nella Grecia e nell’Italia la loro culla. Solo per questo meriterebbero di occupare un posto speciale nella UE.
Ciò che manca alla UE, e la condurrà alla estinzione se questa mancanza persisterà, è la solidarietà verso i Paesi membri più deboli.
Si risponde, ma gli altri Stati non possono farsi carico (soprattutto economicamente) delle debolezze generate dall’incapacità dei Paesi deboli.
Sbagliato, poiché lo spirito della UE, almeno quello delle origini, è stato proprio l’aiuto agli Stati che ne avessero avuto più bisogno. Al momento dell’entrata nella UE la situazione di ogni Stato è stata esaminata, conosciuta nella sua completezza e accettata. Non è possibile, perciò, che una volta che uno Stato debole è stato accettato, si persegua verso di esso, una politica di severità tale da generarne il continuo indebolimento.
Uno Stato debole che si trovi in questa situazione è giocoforza che tenti di liberarsi dal giogo, prima protestando, poi uscendo da un’aggregazione che ha deciso, consapevolmente o meno, di impoverirla sempre di più, fino all’aggiogamento perpetuo, se non all’estinzione di fatto.

Perciò, quando si dice (e mi pare che tutti i partiti italiani siano d’accordo) che la UE deve cambiare, si vuol dire che il principio della solidarietà deve diventare dominante e ispiratore di ogni sua decisione.


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Bart