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VARIE: La paralisi del governo

17 Febbraio 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Ormai non v’è, anche tra i fanatici dell’attuale maggioranza, chi non veda che il governo è sostanzialmente fermo, afferrato per la gola da una incompatibilità forte tra i partiti che lo sostengono. Nonostante alcuni esponenti continuino a dire che si stanno preparando cose utili al Paese, niente riesce a concretizzarsi in decisioni legislative. Sono tutte buone (o, per altri, cattive) intenzioni, in pratica sterilizzate.
Il capo dello Stato, nonostante si dica che segua la situazione, appare inerme e lontano dal prendere una qualche decisione, secondo quanto gli consentirebbe la Costituzione. Traccheggia, come si dice a Lucca, e questo atteggiamento non fa altro che logorare e peggiorare le cose di giorno in giorno, come ciascuno di noi può verificare.
Lo spettacolo della continua e aspra lite e contrapposizione in seno alla maggioranza tra PD e M5Stelle rischia di inasprire gli animi dei cittadini, già molto critici sul sistema partiti del nostro Paese, il quale sembra sempre più avviarsi su di una traiettoria opposta a quella dell’interesse pubblico. Se non fermato, il processo potrebbe generare nella nostra comunità malessere e irritazione tali da rischiare che diventino strutturali e permanenti.

Come può un capo dello Stato lasciar correre, lui che ha il dovere di garantire la trasparenza e la correttezza della nostra democrazia?
Nel vedere l’attuale orribile spettacolo di immobilità, è giocoforza che il pensiero corra allo scorso agosto, allorché la Lega di Matteo Salvini si ritirò dalla maggioranza proprio per evitare una situazione come questa, causando la crisi di governo.
La motivazione che addusse fu che la intervenuta continua litigiosità e l’inconciliabilità di trovare obiettivi comuni avevano creato un’immobilità tale che la Lega non poteva accettare, poiché dannosa al Paese.
Oggi, alla luce dell’attuale ingovernabilità, come non darle ragione?
Si disse, e ancora lo si racconta in giro, che la Lega fuggì dalla responsabilità di affrontare la legge di bilancio su cui pesava un carico da novanta, ossia trovare i soldi per neutralizzare i 23 miliardi di aumento dell’IVA, nonostante che la Lega e Salvini stesso avessero garantito che se si fosse andati subito ad elezioni (su cui contava avendo avuto, si dice, l’assenso del PD di Zingaretti) la Lega avrebbe avuto già pronta la legge di bilancio da far discutere al nuovo Parlamento. I tempi, sebbene ristretti, c’erano tutti.
Però Mattarella preferì dar vita ad un nuovo governo mettendo insieme una maggioranza parlamentare (non più presente, com’era già noto, nel Paese reale) che vedeva al proprio interno due partiti che fino al giorno prima se l’erano date di santa ragione.
L’errore di tale decisione è diventato visibile, oggi, a tutti.

L’ho già scritto altre volte. Mattarella dovrebbe chiamare il presidente del Consiglio e suggerirgli di rimettere il mandato per poi affidare ad altro governo la gestione dell’ordinaria amministrazione fino all’esito delle salutari elezioni politiche anticipate, da calendarizzare una volta conosciuto l’esito del referendum sulla riduzione dei parlamentari e sbrigate le conseguenti necessarie modifiche ai collegi.
A tal proposito, mi preme ripetere che non sono d’accordo con la legge proporzionale che si vuole reintrodurre, dopo che essa (io cittadino testimone) dette cattivi frutti nella prima Repubblica, quando si registrarono governi di brevissima durata, anche sotto un anno. L’Italia ha bisogno invece di una legge fortemente maggioritaria che consenta la governabilità al partito che risulti vincitore delle elezioni.


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Bart