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VARIE: Torno sulla laicità dello Stato e il rispetto delle leggi

4 Marzo 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Quando mi accingevo a scrivere il libro “La politica su Facebook†ebbi a discutere sull’importanza, in una democrazia libera (non in una dittatura), di rispettare le leggi dello Stato e non le proprie convinzioni morali.
A ciò era stato costretto da alcune posizioni secondo le quali una legge si può non rispettare se non corrispondente ai propri canoni morali. Una frase che mi colpì, e che mi è rimasta impressa nella mente, è la seguente: “Rispetto la legge, ma alle mie condizioniâ€. Chi la scrisse, ancora ieri, precisava: “Il rispetto delle leggi alle mie condizioni, mi è sempre parso ovvio, si riferiva ai miei principi morali, e di nessun altro tipo.â€. Ed era ed è proprio questo il motivo della mia contestazione, non ancora messa a fuoco dal mio interlocutore. Dunque, si tarda a comprendere, nonostante che il principio sia netto, chiaro, e vorrei aggiungere, lapalissiano.
In uno stato laico, libero e democratico (è importante ripeterlo), la legge è morale per definizione (una moralità laica diversa da quella religiosa), e ad essa non si possono opporre, se si vuole essere cittadini di quello Stato, principi morali di altra derivazione. Ad esempio, è profondamente errato per un cristiano infrangere la legge, ove questa non corrisponda ai dettati del Vangelo. Egli può adoperarsi, attraverso un suo partito di riferimento, per modificarla, ma fin tanto che essa resta legge dello Stato, va rispettata. Criticata ma rispettata.
Soltanto negli Stati religiosi (come quelli islamici, ad esempio), la legge deve conformarsi sempre ai dettati del testo sacro.
Lo Stato laico non è così, e costruisce la sua moralità attraverso le leggi uscite da un libero dibattito parlamentare e approvate dagli organi preposti a renderle esecutive (il Parlamento e il Presidente della Repubblica).
Una volta pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale (affinché siano note a tutti) il cittadino dovrà da quel momento riferirsi ad esse e non certo alla propria personale morale e/o ai testi religiosi cui si ispira.
Perché sono ritornato sull’argomento?

Perché voglio riferire di un brano letto nel libro di Giampaolo Pansa, “Il Regimeâ€, che esprime chiaramente questi concetti attraverso testimonianze importanti.

Ecco il brano:

“Galante Garrone, infine, volle citare Kant, filosofo tra i più grandi dell’età moderna: «In Che cos’è l’Illuminismo, Kant sosteneva che al funzionario, al militare, a chiunque sia inserito in un particolare meccanismo statale o professionale, deve essere riconosciuto il diritto di ‘fare pubblicamente uso del proprio intelletto’, di ‘parlare in persona propria’ ».
Non ritenne necessario, invece, far ricorso a Kant uno dei magistrati firmatari dell’appello che aveva tanto irritato Cossiga. Era il dottor Tamburino, personaggio già incontrato in questo racconto. L’avevo rivisto a No- gara, in provincia di Verona, un comune «rosso » in una zona bianca, dove il sindaco, Paolo Andreoli, m’aveva convinto ad andare per un dibattito sull’informazione e la guerra. Tamburino stava tra il pubblico. Ci abbracciammo dopo molti anni. E gli strinsi la mano per ciò che aveva scritto, proprio quel giorno, il 4 marzo, su Panorama.
Era, la sua, un’equilibrata risposta a Cossiga. Ma c’era un punto, in quella pagina, che metteva a fuoco, con grande chiarezza, uno degli effetti della guerra. Voglio ricordarlo, poiché affrontava un tema che tra poco vedremo ritornare, e da una tribuna insolita. Disse Tamburino: «Risorge minaccioso, ma anche ridicolo, il corteo che accompagna da sempre le guerre: corteo di censura, di intolleranza, di persecuzione. Si scambiano la maggioranza parlamentare e la volontà del governo per verità incontrastabili. Viene presentato come ‘tradimento’ qualunque conflitto di opinioni, conflitto che è la sostanza della democrazia. Il giudice giura osservanza alla Costituzione e alle leggi. Ciò gli impone di applicarle imparzialmente. Non di condividerle, non di rinunziare a criticarle e, tanto meno, di aderire a una determinata decisione politica neppure tradottasi in legge. Né il giuramento né la professione scelta gli impongono la rinunzia totale al suo essere cittadino, e dunque alla dimensione politica, soprattutto dinanzi a fatti radicali che toccano tutti e ciascuno, la vita e la morte ».â€.

Dunque, chiunque, può criticare la legge (e aggiungo: e battersi per modificarla), ma nessuno la può infrangere per rispettare un proprio canone morale. La frase, ad esempio, che ho riferito: “Rispetto la legge, ma alle mie condizioniâ€, è, dunque, irricevibile.

Riuscire a capire questo concetto fondamentale sta alla base della convivenza civile all’interno di uno Stato democratico. Diversamente si finirebbe nell’anarchia e nella personalizzazione dello Stato, a proprio uso e consumo. Il che non è consentito a nessuno.


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