di Dino Buzzati
[dal “Corriere della Sera”, domenica 25 maggio 1969]

Una volta esistevano la sfin ­ge, l’ippogrifo, l’echidna, il cinghiale caledonio, il tritone, il babau, il gatto mammone, il basilisco. Oggi non esistono più. Tuttavia anche a noi è dato incontrare, di quando in quando, fenomeni molto stra ­ni e mostruosi. Per esempio:

LA LEPRE GIGANTE â— E’ stata avvistata, a quanto sembra, l’autunno scorso, nel ­l’alto Alpago, provincia di Belluno. Non erano tanto le dimensioni a suscitare meravi ­glia, perché l’animale non su ­pererebbe, stimato a vista, il metro e mezzo di lunghezza, quanto la capacità di assume ­re la posizione eretta, poggia ­to sulle zampe posteriori; e so ­prattutto il fatto che il leprone imbracciava un minuscolo schioppo a due canne. Tre soli cacciatori, del resto assai at ­tendibili, hanno incontrato la bestiaccia e, sbalorditi, non si sono azzardati a spararle; né onestamente gli si può dare torto. Ma grandi sono stati lo scandalo e la indignazione ne ­gli ambienti venatori, i quali giudicano sleale, anzi delittuo ­so, l’atteggiamento così minac ­ciosamente contestatorio as ­sunto dalla lepre gigante. Ché, se l’esempio si diffondesse, e anche le marmotte, i conigli selvatici, le volpi, i ricci, i ghiri, le pernici, le quaglie e gli altri volatili stanziali o di passo, si mettessero a girare armati, sia pure a solo scopo di legittima difesa, il mondo si troverebbe sovvertito, e do ­ve finirebbe la sovranità del ­l’uomo?

IL CAPO â— E’ dirigente di una grande industria, ha passato i sessant’anni, ogni mattina si alza alle sei, esta ­te e inverno, alle sette è già in fabbrica dove rimane fino alle otto di sera e oltre. An ­che la domenica va a lavora ­re, pur se lo stabilimento e gli uffici sono deserti; ma un’ora più tardi, ciò che egli considera quasi un vizio. E’ per eccellenza un uomo serio, ride raramente, non ride mai. D’estate si concede, ma non sempre, una settimana di va ­canza nella villa sul lago. Non conosce debolezze di alcun genere, non fuma, non pren ­de caffè, non beve alcoolici, non legge romanzi. Non tolle ­ra debolezze neppure negli al ­tri. Si crede importante. E’ importante. E’ importantissimo. Dice cose importanti. Ha amici importanti. Fa solo te ­lefonate importanti. Anche i suoi scherzi in famiglia sono molto importanti. Si crede in ­dispensabile. E’ indispensabi ­le. I funerali seguiranno do ­mani alle ore 14.30, partendo dall’abitazione dell’estinto.

IL GENIO PERDUTO â— Se tra le migliaia di animali che vengono giornalmente tratti al macello, si trovasse un maiale, o un vitello, dota ­to di intelligenza mostruosa, pari, se non superiore, a quel ­la di Platone, di Leonardo da Vinci, di Einstein, come po ­trebbe rivelarla a noi, e così salvarsi? Come potremmo noi esserne informati? Tenuto pri ­gioniero nella stalla fin dalla nascita, sprovvisto completa ­mente di addestramento e di istruzione, non ha avuto la possibilità di apprendere nep ­pure i rudimenti della nostra lingua, così da poter eventual ­mente imitarla con grugniti, muggiti, o altro. Né i rozzi uomini preposti al suo alleva ­mento dapprima, quindi al suo trasporto, infine alla sua uccisione, sono in grado di av ­vertire quei minimi segni (bat ­titi regolari con le zampe, la ­menti ritmati, gesti di suppli ­ca) con cui il geniale quadru ­pede forse ha chiesto e chiede mercè. Meravigliose luci della natura che, se scoperte e curate, potrebbero arricchi ­re e forse salvare il mondo, vanno così miseramente e bru ­talmente distrutte.

IL PATITO SOCIALE â— E’ una creatura spiritualmen ­te eletta. Ama l’umanità con ­culcata e sofferente, partecipa con dedizione ai suoi dolori. Egli non è stato conculcato, anzi, la fortuna è stata prodi ­ga con lui, per aspetto fisico, salute, censo, posizione socia ­le. Ciò, intendiamoci, accresce il suo merito. Di notte stenta a prendere sonno, oppure si risveglia di soprassalto, op ­presso appunto da quel pen ­siero filantropico: le afflizio ­ni del popolo angustiato dal ­le ingiustizie. A motivo di que ­sto grande amore, egli è co ­stretto a odiare intensamente. E mentre ciò che ama è una massa indifferenziata e senza volto, ciò che egli odia sono invece delle persone precise, con nome e cognome, secondo lui complici, consapevoli o no, delle predette ingiustizie: ami ­ci. vicini di casa, colleghi, spe ­cialmente colleghi di successo. L’odio, si intende, è tanto più intollerante e velenoso quanto più egli è conscio della nobiltà dei propri sentimenti; e diventa il suo precipuo interesse quotidiano, consolazione, sostegno e scopo della vita. Tutto a causa del cosiddetto peccato originale che, salvo interventi contrari della grazia, porta l’uomo ineluttabilmente al male e alla perfidia, anche se si tratta di un uomo così altruista e moralmente elevato.

IL SAPONE MAGICO â— Un pubblicitario di talento, incaricato di pianificare una campagna promozionale per un nuovo tipo di sapone, pro ­pose, anziché i consueti im ­bonimenti iperbolici che pos ­sono colpire il pubblico ma non essere creduti per la stes ­sa loro esagerazione, il se ­guente slogan: uno, su dieci ­mila saponi X, procura un fa ­scino irresistibile. (Dopodiché si spiegava come il sapone magico fosse contraddistinto da uno speciale piccolo bollo d’oro). Bene. La stessa discre ­zione dell’annunzio lo rende ­va plausibile. La gente infatti ci ha creduto, questa fede, irraggiantesi da migliaia e mi ­gliaia di sconosciuti, conver ­geva su quelle pochissime sa ­ponette col bollino, e le sapo ­nette acquistavano un reale potere. Una di esse fu compe ­rata per puro caso da una ra ­gazza che faceva servizio a ore in casa di una mia cugina. Non si poteva dire brutta, ma scialba e insignificante sì; inol ­tre aveva un curioso naso sot ­tile a punta che la faceva as ­somigliare a un fenicottero. Quell’acquisto fortunato fece naturalmente le spese di una quantità di chiacchiere diver ­tite. In un minuscolo ambien ­te, la giovane cameriera di ­ventò per qualche tempo un personaggio. E, fosse una rea ­le virtù arcana della saponet ­ta, fosse la invincibile forza della suggestione, nel giro di un mese la squallida servetta si trasformò in un fiore deli ­zioso. Oggi è una delle foto ­modelle più pagate di Parigi.

LA NUVOLA â— La sera del 28 aprile scorso â— per motivi di ordine pubblico in Francia si è preferito insab ­biare la notizia â— sopra la modesta elevazione del Monte Gimont (Alta Marna), non lungi da Colombey-les-Deux- Eglises, fu osservata una gran ­de nube che raffigurava, con inconfondibile precisione, la testa del generale de Gaulle, quel giorno stesso ritiratosi per sempre dalla scena politica e trasferitosi alla celebre sua re ­sidenza di campagna. Il so ­praggiungere del buio impe ­dì registrazioni fotografiche e ulteriori osservazioni sul de ­corso del fenomeno. D’altra parte, poche persone notaro ­no il singolare spettacolo, poi ­ché la stragrande maggioran ­za degli uomini tiene gli sguar ­di fissi alla terra e non al cie ­lo. Si sarebbe potuto pensare a un caso di autosuggestione, se all’indomani, sopra una del ­le ultime propaggini meridio ­nali dei Vosgi, la nuvola-de Gaulle non fosse ricomparsa verso le undici del mattino: per circa dieci minuti la so ­miglianza fu perfetta, poi le sembianze si dissolsero. L’e ­spressione era solenne e malin ­conica, ma dolce; nessun ci ­piglio militaresco, nessuna ca ­parbia smania di rivincita. Ecco: quasi che il generale volesse compiere un’ultima ispezione alla sua patria, lo straordinario ammasso di va ­pori si è riprodotto successiva ­mente in varie contrade fran ­cesi: per esempio, sulle Montagnes du Lomont (Besaní§on), sul Puy de Dí´me (Clermont Ferrand), sul Signal de Sauvagnac (Limoges). La emi ­nente nube ha continuato il suo « tour » anche dopo la partenza di de Gaulle per l’Ir ­landa. Gli ultimi avvistamenti provengono dall’Ile-de-Re e da una zona di mare circa ottan ­ta miglia a nord-ovest di Brest. Qui il generale indossa ­va il berretto e si vedeva an ­che una mano che salutava militarmente. Come se fosse l’estremo addio prima del de ­finitivo trasferimento nel mito.

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