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Chi sfotte l’elettore

25 Febbraio 2013

di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 25 febbraio 2013)

Così fan tutti, ma alcuni di più. Si sa che in Italia i gior ­nalisti sono schierati: non contro il potere, ma con chi pretende di conquistarloLa tradizione della nostra stampa è questa: i quotidiani, specialmente, trascurano i fatti e si dedicano alle idee, alle opinio ­ni. L’esatto contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone.Dobbia ­mo rassegnarci, prenderne atto. Co ­sicché non ci stupiamo che Eugenio Scalfari, nel suo articolo-fiume della domenica sulla Repubblica, abbia scritto: solo la sinistra (Pd e Sei) può governare responsabilmente con l’aiuto dei centristi di Mario Monti; gli altri partiti, in particolare il Pdl e il Movimento 5 Stelle, non hanno le car ­te in regola.

Perché? Beppe Grillo e i suoi luogotenenti sono inesperti, parlano a vanvera, non sanno ciò che dicono e so ­prattutto ciò che fanno. Brave perso ­ne, ma senza testa: avrebbero biso ­gno di un tutor, altrimenti il loro desti ­no è andare a sbattere contro un mu ­ro. Silvio Berlusconi, poi, avrebbe già dato prove esaustive di inettitudine alla guida del Paese. Un elemento pericolo ­so. Ovviamente ho sintetizzato in mo ­do brutale il pensiero di Scalfari, ma i concetti da lui espressi questi sono.

Il signor Fondatore ammette che, conPdleM5S all’opposizione, non sarà f acile per gli illuminatissimi Pier Lui ­gi Bersani e Nichi Vendola (sia pure col supporto scientifico del Professo ­re) tenere dritto il timone della nave sotto la tempesta della crisi. Difatti i berlusconiani e i grillini rappresenta ­no all’incirca il 50 per cento degli elet ­tori: avranno quindi un peso negativo nella gestione della co sa pubblica. Per esempio, eserciteranno il cosiddetto fi ­libustering, cioè l’ostruzionismo, ral ­lentando così la marcia dell’esecuti ­vo.

Ma non è il caso di preoccuparsi. L’editorialista principe della Repub ­blica ha già ipotizzato una soluzione radicale. Dato che molti grillini e altret ­tanti berluscones, per quanto un po’ ottusi, hanno il senso della convenien ­za, passeranno prima o poi dalla parte dei vincitori e daranno loro una mano a cavarsela.

Le operazioni di voto sono in corso, si ignora il responso delle urne, ma Scalfari è in grado di regalarci un vatici ­nio basato sulla conoscenza delle mi ­serie umane. Assisteremo – afferma – a un tradimento di massa in Parlamen ­to. Gli eletti del centrodestra e del mo ­vimento estemporaneo capeggiato dal guitto ligure – infischiandosene di chi ha dato loro il consenso, gente sciocca o accecata dalla rabbia- si produrranno nel salto della quaglia e an ­dranno in soccorso della supposta maggioranza progressista.

Può anche darsi che ciò succeda, per carità, ne abbiamo viste tante e sia ­mo consapevoli che il pozzo del peg ­gio è privo di fondo. Ma quello che al ­larma è la scarsa considerazione che il giornalista filosofo e teologo ha degli aventi diritto di suffragio. Se votano a sinistra o per Monti sono provveduti, se invece votano Grillo o il Cavaliere so ­no stupidi, talmente stupidi da non battere ciglio qualora i propri rappre ­sentanti voltino la gabbana, redimen ­dosi agli occhi dei compagni. Quegli stessi compagni che nel 2011 si scanda ­lizzarono perché alcuni deputati del ­l’opposizione si trasferirono in zona berlusconiana. Domenico Scilipoti, proveniente dall’Italia dei valori, fu ad ­dirittura declassato da onorevole a in ­carnazione del male.

Constatiamo che la doppia morale non tramonta mai, anzi, se adottata da un guru di sinistra, diventa raffinata te ­oria. Vorremmo comunque tranquil ­lizzare il lettore circa le divinazioni di Eugenio Scalfari: lui non ne ha mai az ­zeccata una.


Il saluto del Papa è una preghiera
di Sarina Biraghi
(da “Il Tempo”, 25 febbraio 2013)

Umilmente straordinario. Normalmente immenso. Imprevedibilmente moderno. Ancora una volta, con la sua semplicità, Benedetto XVI ci sorprende con il suo ultimo Angelus. Ancora una volta nessuna enfasi ma soltanto la voglia di riportare alla «normalità » una scelta che pur lasciando il mondo basito ha compiuto secondo le leggi canoniche e in piena libertà, senza costrizioni né imposizioni. Ma c’è una spiegazione in più: quel gesto non è stata una «rinuncia » ma una «chiamata »: «Lascio non perché rinuncio, ma perché sono stato chiamato a fare altro ». Il Papa, dunque, non è malato e forse neanche stanco,né ci sono problemi nella Curia, malgrado Vatileaks. È la fede del teologo Ratzinger, sempre a servizio di Dio, non più umile servitore della vigna ma un monaco benedettino che «ora et labora ». Per la Chiesa. E mentre la gente ascolta e si commuove, il Papa mite e timido, al quale per un attimo s’incrina un po’ la voce, rassicura i fedeli dicendo che è chiamato a «salire sul monte » e che continuerà a «servire la Chiesa con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui l’ho fatto fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze ». E siccome la preghiera non è un isolarsi dal mondo spiega che continuerà ad essere vicino alla vicende terrene con le loro «contraddizioni ». Poi riecco Ratzinger, il teologo vigoroso che antepone Cristo a tutto, lanciare un paio di messaggi ai cardinali, quelli che tra pochi giorni eleggeranno il suo successore: intanto il trono di Pietro si può lasciare per tornare a pregare e meditare. E poi l’invito a ricercare la vera essenza della fede quando ribadisce il primato della preghiera «senza la quale l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo ». Insomma, la Chiesa non è governo e politica, ma fede, è un continuo «salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano ». Giovedì l’addio di Bendetto XVI. Un grande Papa che abbiamo «scoperto » e che ci mancherà.


L’eredita di Benedetto XVI, il “Piccolo” Papa
di Agostino Giovagnoli
(da “la Repubblica”, 25 febbraio 2013)

Con il dibattito sulle dimissioni di Benedetto XVI è già iniziato il dopo Ratzinger, in cui egli stesso si trova – involontariamente – coinvolto, con le sue parole minuziosamente analiz ­zate e interpretate. C’è chi sottolinea la stanchezza dovuta all’età e motivi di salute, ricordando i segni premonitori emersi du ­rante i suoi ultimi viaggi in Messico o in Li ­bano. E chi, invece, enfatizza le sue preoc ­cupazioni per le divisioni nella Chiesa. En ­trambe le interpretazioni sono compatibili con le parole di BenedettoXVI. È in atto però anche la tendenza a forzare entrambe, da un lato per orientare la scelta del suo suc ­cessore e, dall’altro, eludendo il problema di fondo posto dalle dimissioni: il futuro del papato.

È  forte, infatti, la sensazione che nulla sarà più come prima. Si è molto parlato, in particolare, di desacralizzazione del papa ­to. Secondo alcuni, Benedetto XVI lo avrebbe sottoposto al conformismo del nostro tempo, compresa quella dittatura del vita ­lismo che impone agli anziani di farsi da parte. Con le sue dimissioni, sostengono al ­tri, avrebbe avviato una “normalizzazione” o “banalizzazione” del ministero papale, sotto la spinta di una secolarizzazione or ­mai penetrata fino ai vertici della Chiesa. E anche chi ha parlato, invece, di profondo disinteresse e di coraggioso distacco dal po ­tere ha implicitamente equiparato il papa ­to ad un qualsiasi potere mondano, da cui un uomo spirituale non può non sentirsi estraneo. Molte interpretazioni diverse, in ­somma, tendono a legare mondanizzazione della Chiesa e declino del papato, che le inattese dimissioni del suo titolare rende ­rebbero un ufficio ad tempus simile a tanti altri.

Ma è difficile attribuire a BenedettoXVI la volontà di cedere alla logica del mondo e di ridimensionare il potere del papa. Egli, in ­fatti, ha motivato la sua decisione con una preoccupazione diversa: garantire che un incarico così importante per la guida della Chiesa sia svolto con il necessario vigore del corpo e dell’animo. Il suo intento, dunque, non sembra quello di ridimensionare il pa ­pato ma piuttosto di rilanciarlo, enfatiz ­zandone indirettamente l’importanza al di là di chi lo esercita pro tempore. Benedetto XVI, insomma, ha piuttosto desacralizzato se stesso che il ministerodi Pietro. È una dissociazione tra la persona e l’istituzione pie ­namente in linea con la concezione tradi ­zionale del papato, come confermano le ra ­pide modalità previste per la scelta del suo successore. In nessun altra istituzione poli ­tica o ecclesiastica di così grandi dimensio ­ni, infatti, è immaginabile l’elezione del massimo vertice nel giro di poche settima ­ne, come se la designazione dell’uno o del ­l’altro avesse un’importanza relativa. “Morto un papa se nefa un altro” si usa dire a Roma: ora il proverbio andrà cambiato, ma forse non di molto. Un’ulteriore confer ­ma viene da un altro messaggio implicito in queste dimissioni. La decisione ratzingeriana di lasciare è stata contrapposta a quel ­la wojtylana di restare fino alla morte, mal ­grado una malattia sempre più invalidante. Indubbiamente, la differenza è grande. Ma le parole di Benedetto XVI sul vigore del pa ­pa fanno subito venire in mente proprio il suo predecessore, cui a lungo il vigore non è certo mancato. Non è una “contraddizio ­ne” casuale: BenedettoXVI ha più volte par ­lato dell’altemarsi, nella storia, di “grandi” papi e di “piccoli” papi, iscrivendo se stesso tra i secondi e Giovanni Paolo II tra i primi. Pensando alle parole di Benedetto XVI, dunque, i cardinali dovranno cercare un papa vigoroso come Karol Wojtyla; medi ­tando, invece, sul suo gesto dovranno tro ­vare un papa umile come Joseph Ratzinger.

Chiunque sarà eletto, inoltre, dovrà ave ­re anche un’altra virtù: la simpatia. In pre ­messa al suo Gesù di Nazaret nel 2006 Be ­nedetto XVI scriveva: “Questo libro non è un atto magisteriale. Perciò ognuno è libe ­ro di contraddirlo. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione”. Un papa che si sottomette alla critica dei suoi lettori ha stupito molti, tanto più che al momento della sua elezioni era stato presenta ­to come un Grande Inquisitore. Anche dando le dimissioni, Benedetto XVI si è esposto alla discussione e alla critica. Ma tantissime reazioni mostrano che si è anche guada ­gnato nel tempo una crescente simpatia. Non è casuale chi è stato definito un “pa ­store tedesco” non abbia insistito sull’infallibilità del papa ma mostrato una simpatia sempre di più profonda verso tutti, ricevendo a sua volta sempre più simpatia da parte di tutti. È come se chi più ha denunciato i pericoli del relativismo contemporaneo, avesse anche intuito che alle origini di que ­sto ci sono molte soggettività ferite e smar ­rite, cosicché la via della carità è la strada maestra anche per indicare la verità. Ed è forse questo il più grande insegnamento la ­sciato al suo successore.


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Bart