PIM OCCHIGIALLI ovvero La rivincita della Trippona

di Mauro Cristofani
(La sua galleria di quadri qui)

Subito sotto troverete una recensione di Stefano Maleci sui racconti di questo autore

      Fu nel crescere che il ragazzo s’accorse di non essere come i suoi compagni, sfuggire ai loro sguardi sospettosi e chiudersi nella sua stanza era conquistare la salvezza. Ma quando la specchiera rifletteva l’ immagine d’un ragazzetto striminzito con gli occhi gialli di gatto e gli s’agitavano dentro le altre cose che non si potevano vedere, allora restava pieno di paura.
      Si chiamava Pim ma per tutti era Pim occhigialli, genitori conosciuti mai. Uno che diceva d’essergli parente era Nigo, vantandosi d’averlo sfamato e tirato su da riccone avaro qual era. Abitava in una casa che s’alzava tetra su un paese che era mezzo suo, lavoravano per lui più di trecento contadini e non s’era mai visto fare un gesto d’amicizia con nessuno. Aveva accolto Pim solo per sentire un po’ di chiasso nel casone semivuoto, ma lo teneva come una proprietà costosa convinto che un giorno sarebbe stata redditizia.
      Pim non gli voleva bene, l’ubbidiva, ma da lui mai un gesto d’affetto. Solo una volta un abbraccio o qualcosa che gli somigliava, e ne era rimasto impaurito. Negli anni s’era ingigantita la distanza con lui, che una cosa buona però l’aveva e cioè di non far caso ai suoi occhi di gatto.
      Il vuoto intorno procurava a Pim una condizione quasi disumana per un ragazzo nel fiore della vita, tutto solo in lotta coi propri desideri. Quando essi parevano bizzarri o disgustosi invocava per sé punizioni nell’anima e nel corpo senza conoscere bene quei peccati, nella comprensione del Cielo disperando.  

      Non aveva solamente occhi di gatto, Pim del gatto aveva le abitudini segrete gli istinti le voglie talvolta la felinità rapace. Cacciava i topi  li sbranava divorandoli poi fino all’ultimo ossicino, finché non vedeva spuntarsi lunghi baffi. Le cacce le faceva su in soffitta fra cataste di roba putrefatta, poi ronfava placato a pancia piena. A digestione fatta i baffi gli sparivano, ma negli occhi di gatto saettavano ancora tempeste di giallognole scintille.
      Anche di pesce era ingordo. Ma Nigo non lo faceva mai cucinare alla Palmira, donnastra che di giorno lo serviva in cucina e di notte per sfogo sessuale; era campagnolo da una vita e spregiava tutto quello che non era prodotto dalla terra.
      Pim rimediava frattaglie di pesce da Mary la Trippona, tenutaria dell’unica trattoria del paese. Mary era ferocemente detestata dalle mogli che imputavano al suo locale le assenze serali dei mariti, ma dei loro sberci lei se ne infischiava allegramente. E alla chiusura del locale non restava mai sola, c’era sempre un prescelto che l’aveva attizzata quella sera o un arrapato cronico sempre pronto a smaltire i bollori.
      La Trippona riversava su Pim un po’ del suo represso istinto materno. Aveva avuto tanti uomini era rimasta incinta tante volte e tanto volte aveva abortito, perché il padre del bambino era sempre il marito di un’altra. Con gli sfoghi di sesso si riempiva la vita, e mai un amore.
    Nel tempo aveva apprezzato sempre più i lati positivi della cosa, per esempio che dopo esser transitati nel suo letto quegli uomini sarebbero stati poi di sicuro insopportabili. Che se li sorbissero pure le   mogli, lei il meglio di loro se l’era già goduto.
      Con Pim gli piaceva ridere e scherzare, ma anche discorrere sulle cose profonde della vita. Lui l’aiutava in cucina, specialmente se erano in programma pietanzine di pesce.  

      Se fra i coetanei maschi schernire Pim era d’obbligo e difesa necessaria a sotterranei tenebrosi impulsi, giovinette smaliziate erano piene della curiosità morbosa di scrutare da vicino i suoi occhi di gatto. Lui non provava per loro la minima attrazione, ma era pronto a fingere un po’ d’interesse purché nessuna venisse a conoscenza della sua vita segreta.
      Comunque a parte Mary, agli umani Pim preferiva i gatti.
      Ce n’era tanti in paese, e tutti amici suoi. Il preferito era il più ubbidiente docile ai comandi e sovrastante i compagni per prontezza e furberia, un felino in cui potesse riconoscersi un po’. Con tale masnada Pim scorrazzava di giorno fra i campi in cerca d’insetti e di bestiole, di notte guidandola nelle chiaviche a far man bassa di topi. Allora il rumore del ciancicar di carni triturate risuonava negli antri puzzolenti dove avvenivano le sordide abbuffate, ritorni a casa barcollando e  il resto della notte passato a vomitare.
      Tremava poi nel veder nello specchio il suo sguardo allucinato, ma già era pronto per tornare al piacere. Funambolo in bilico su corde tese, si aspettava da un momento all’altro la caduta.
        Fu in un giorno luminoso che la sua strada incrociò quella di Alabina, occhi cinerini pelo setoso e la bandiera festosa della coda bianca. Capì subito che era una gatta ladra e bastarda, ma per lei lasciò la comitiva dei randagi e fecero coppia fissa camminando accanto come se fra loro non ci fosse disparità né di nascita né di statura. Da amante esperta lei gli leccava le narici e Pim in estasi non faceva più caso al suo afrore di fogna.
     L’idillio durò un’estate, poi Nigo s’ammalò e in breve fu alla fine.   Chiese a Pim di non farlo morir solo e Pim lo accudì fino all’ultimo, in fondo l’aveva sfamato e gli aveva dato un tetto.
      Dopo il funerale si fece avanti un notaio che lesse il testamento, Pim era l’erede di tutto. Una postilla imponeva di consegnargli “la chiave dello scrigno verde”, in dotazione del notaio stesso.
        La notizia fece il giro del paese, l’unica che ne gioì fu Mary la Trippona cioè la sola che gli volesse un po’ di bene. Però quegli stessi che prima lo trattavano da reprobo ora gli si scappellavano.  

      Via dal trambusto Alabina restava appartata negli angoli remoti del casone aspettando il momento giusto per rientrare in scena, ed   ecco arrivare quel momento. Si presenta tenendo fra i denti un topo cacciato fresco fresco in una fogna porgendolo all’amico con un gesto augurale e  un Miaoooo! così acuto da far tintinnare il lampadario di cristallo.
      Le orge ebbero inizio con boccali pieni di sangue, grandi momenti di splendore. Sulla tavola non mancava niente, fornitura lautamente pagata a un tale senza scrupoli che per denaro si sarebbe perfino cucito   la bocca.
      Ma era tutto così facile così a buon mercato, che la nostalgia d’avventura sopravvenne e Pim e Alabina tornarono alle eccitanti cacce notturne,  giù  nei budelli sotterranei dove topi si pascevano fra i densi liquami puzzolenti. Le vittime più appetibili venivano infilzate con un ferro appuntito, e già il divertimento era guardarle agonizzare lentamente.  

     Un giorno Pim si ricordò dello scrigno verde menzionato nel testamento e finalmente lo aprì. Dentro c’era un foglietto con la scritta Un gesto eroico ti farà rivivere la tua natura. Tutta la notte si rigirò quella frase nella testa chiedendosi se la sua vera natura fosse quella felina o quella umana, e quale gesto avrebbe dovuto compiere per svelarne il mistero.
      Alabina gli fu sempre vicino e come poteva tentò di consolarlo, ma quegli enigmi erano davvero fuori della sua portata.
      Seguì fra loro il tempo del distacco, mentre lenta moriva la stagione delle brume. Coi primi voli di rondini il freddo s’addolciva, dalla terra urgevano i germogli.
      Pim s’era chiuso in casa, pensieri assillanti l’avevan rammollito e svuotato d’ogni voglia. Rimasti senza controllo i contadini trascurarono i poderi e i paesani ci dettero dentro con le supposizioni più cattive fatte su di lui.
      Mary sinceramente preoccupata andò da lui e lo trovò ridotto a pelle e ossa. Saputa la ragione dei suoi mali disse:
      “Sono certa che quella frase sibillina non è altro che un’altra stravagante cattiveria di Nigo. Ma devi perdonarlo t’ha lasciato ricco, ora torna alla vita e all’allegria”.
      Nell’ombra, gli occhi cinerini della gatta Alabina ebbero un lampo.  

      Così Pim occhigialli tornò a far ingoiare un po’ di polvere ai paesani.        Cacciò i mezzadri che durante la sua assenza s’eran dati all’ozio ne assunse altri di paesi vicini e poiché un padrone deve avere un servitore personale, assunse un giovinetto senza casa né famiglia. Si chiamava Druno e non fu una buona scelta, perché gli fu sempre infedele.
      Con Alabina andava a gonfie vele, cacce notturne e eccitanti scorribande ripresero a ritmo serrato. Contenta d’averlo riportato in vita la Trippona diventava sempre più ciarliera, raccontandogli perfino ciò che aveva fatto intimamente con l’ultimo suo ganzo. Chiacchierava e lavorava lavorava e chiacchierava muovendo il corpo grasso fra le pentole e i fornelli, via via tracannando un buon bicchiere di vino.
      Pim aveva una gran voglia di vuotare il sacco e dire tutto di sé, tirar fuori le cose che aveva ferme alla gola e che rischiavano a volte di strozzarlo. Ma poi temeva che i suoi segreti nemmeno Mary l’avrebbe digeriti e non voleva rischiar di perdere l’unica persona amica.
      Le visite di Pim alla trattoria di Mary divennero sempre più frequenti e i preparativi per festeggiare la fine del gelo lasciavano abbastanza spazio alle mogli invidiose per malignare che fra i due ci fossero cose sporche. Ora per tutti la donna non era solo come l’accalappiatrice dei mariti ma in più una sudiciona che s’approfittava d’un ragazzetto ingenuo e assai bislacco.
      Ignara della tempesta che si stava scatenando, Mary vide svuotarsi in breve tempo la trattoria e dapprima non capì il voltafaccia. Vedendola depressa e scoraggiata, Pim le teneva compagnia fino a tarda notte e ciò naturalmente rafforzò le dicerìe su di loro.
      Coloro ch’erano stati gli avventori più entusiasti del locale esitavano a credere che davvero Mary se la facesse con uno steccolino spelacchiato che pareva senz’ossa e per giunto sfigurato da fattezze strane, sapendo che a letto si portava sempre maschioni nerboruti e bene in carne, quelli che la fottevano già con un’occhiata.
      Ma a uno a uno i frequentatori della trattoria dovettero cedere all’aggressività verbale delle mogli, che finalmente cantarono vittoria. Le più scatenate non eran tanto quelle che avevano sopportato nel letto mariti svuotati d’ogni voglia, quanto le cuciniere accanite che sapevano le pietanze fatte da Mary preferite ai loro piatti.
      Anche i contadini licenziati da Pim s’unirono compatti agli accusatori e aspettarono la resa dei conti. Insomma, la Trippona fu per tutti la mantide insaziabile che in mancanza di meglio si stava spolpando un tenero uccellino, nonché un’avida mignotta che tentava d’intortarselo per mettere le mani sulla sua fortuna.  

      Le mogli e tutti quelli che son sempre solerti a cospirare ai danni di qualcuno si riunirono, decidendo d’agire alla festa della Luce.
      Nella trattoria era più deserta che mai quel giorno Mary cercava di non perder l’ottimismo. Pim le ripeté ancora una volta di vendere tutto e trasferirsi a casa sua spiegando quanto ci avrebbero guadagnato tutti e due esclamando alla fine: “Avrò così tutta per me la migliore cuciniera del mondo!”, intanto guadagnandosi un suo stiracchiato sorrisino.
      In piazza si facevano i falò, spettri di fiamme rossastre rischiaravano il crepuscolo. La gioventù festeggiava pensando solo a finire la serata in bellezza, magari in qualche anfratto a far l’amore.
      Un gruppo invasato capeggiato dalle mogli si diresse verso la trattoria, eccitandosi con le propria grida e agitando le torce.
     Mary stava stappando una bottiglia per far l’ennesimo brindisi con l’amico, quando sentì l’avvicinarsi del frastuono se lo strinse a sé impaurita. Ma non ci fu tempo per pensare ad altro, l’orda degli scalmanati sfondò la porta e irruppe nel locale appiccicando il fuoco dappertutto. La trattoria avvampò e divenne un rogo, mentre quelli scappavano. La povera Mary vedeva crollare tutto ciò che possedeva e che era stato tutta la sua vita e inutilmente Pim la implorava di uscir da quell’inferno. Come un automa lo seguì ma poi tornò dentro tentando di salvar qualcosa, ma le macerie ardenti la respinsero bruciacchiandole le vesti e le carni e cadde a terra svenuta. Con fatica immensa Pim corse a soccorrerla e con uno sforzo davvero sovrumano per lui riuscì a trascinarla fino sulla strada, poi anche   suoi occhi gialli di gatto si velarono e precipitò nel nulla.  

      Quando rinvenne, Mary era china su di lui e sorrideva stringendogli le mani, ripetendo fra le lacrime che gli doveva la vita. Raccontò come giacquero entrambi senza conoscenza e con le piaghe sanguinanti, finché Druno li portò a casa e li curò. Peccato che dopo un gesto tanto generoso il servitorello sparì con una sostanziosa refurtiva.  

      Quanto tempo passò Pim non lo seppe mai.
      Si risvegliò nella sua stanza fra gli oggetti conosciuti e le sue cose più care, non provando alcun dolore anzi sentendosi soffice e leggero. Alabina corpo morbido ammaliatore gli era accanto, poteva intrecciar la propria coda con la sua…La coda! Di scatto si volse verso la specchiera e vide due micioni amorosi che stavan così stretti da sembrare un corpo solo, ed erano la gatta Alabina e quello che in un’altra vita fu il ragazzo Pim.
      Mary arrivò puntuale  con un vassoio colmo di golosità, topi e insetti ma preparati con uno speciale ricettario tutto suo.
      Fu così spiegato il senso della frase scritta da Nigo con saggezza inaspettata, davvero un gesto eroico aveva fatto rivivere a Pim la sua vera natura cioè quella felina. Con grande coraggio e in condizioni quasi disumane aveva salvato Mary dalle fiamme, e per questo premiato dalla sorte. Tornando ad essere un gatto felice, tale e quale com’era nella sua vita precedente.  

      Ma nell’ozio ben pasciuto e nelle comodità i due gatti finirono ancora una volta nella noia. La nostalgia d’avventura fu più forte d’ogni altra saggezza e se la svignarono, per non tornare più.
      Mary non ne fu sorpresa, erano due bestie e le bestie non possono sacrificarsi a vivere da umani.
      Cominciò la leggenda, c’era chi diceva d’aver visto i due gatti sopra i tetti sul campanile e persino sulle nuvole, ma nessuno seppe mai la verità. Quel che è certo, è che a volte di notte risuonava nel paese un miagolìo così acuto che sembrava venir dalle profondità abissali della terra. E in effetti, veniva proprio di laggiù.
 

Le foglie nel canneto
non cambiano colore
le grasse cuciniere
non mutano l’ardore

      Mary la Trippona restò così la sola proprietaria d’ogni avere, e a modo suo ne fece buon uso. Ma non sapeva fare vita da signora e sfaccendava per non perder l’abitudine, foss’anche per cucinare per i mendicanti.
      La trattoria le mancava, e le mancavano soprattutto gli avventori.
      Un giorno che vide uno di loro passare sotto casa, dalla finestra lo invitò e quello non si fece pregare. Fu una rimpatriata formidabile a cui ne seguirono altre, finché tutti i vecchi clienti della trattoria la sera tornarono dalla Trippona a far bisboccia. Se li ripassò tutti a uno a uno, e a nulla valsero le proteste delle mogli.
       Il suo corpo molle tornò a essere palestra per ogni esibizione e poiché molti di loro erano anche i suoi mezzadri, spesso dal suo letto   passavano direttamente ai poderi in una vitale girandola di cibo di sesso e d’operosità.
      Com’era finito Pim non lo disse mai a nessuno di loro nemmeno quando li sentiva galoppare su di sé, era un segreto che si sarebbe portata nella tomba.
      Passò il tempo Mary aveva sempre meno forze e morivano poco alla volta i suoi compagni d’avventura. Gli sfaccendati giovincelli del paese s’aspettavano prima o poi la chiamata, e lei scelse quelli che in ogni senso le riempivano gli occhi.
     Per la Trippona cominciò una stagione tutta nuova, si ringalluzzì e parve anche ringiovanire. Il giorno i ragazzi lavoravano per lei e a turno restavano la notte, tutti d’amore e d’accordo. Le proteste delle fidanzate rimpiazzarono quelle delle loro madri, e fra gelosie e arrabbiature tutto procedette secondo le vecchie abitudini.
      Mary campò quasi cent’anni, e si godette la vita fino all’ultima goccia.

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Commenti

2 risposte a “PIM OCCHIGIALLI ovvero La rivincita della Trippona”

  1. Avatar claudio grosset
    claudio grosset

    Certo che è veramente frustrante non poter ‘essere se stessi’, cosi nel mondo fiabesco di Pim Occhigialli, così anche ai nostri giorni: è la stessa cosa.
    Soltanto che nelle fiabe basta…un’ ‘incantesimo’ – predetto qui da un inaspettato oracolo (Nigo) – ed il problema è risolto. Nel caso nostro, nasce da un atto “eroico” in soccorso dell’Amica Mary, quindi encomiabile, che premia lo sfortunato dalla doppia natura uomo-felino a quella meno evidente ma più amata e sentita, quella bestiale! Eh… non quella umana!
    Poi si sovrappone alla vicenda di Pim, e prende ‘forma’, quella di Mary, La Trippona, come lo stesso sottotitolo ci annuncia. Una donna dai contorni e costumi boccacceschi, fattezze flaccide e grottesche – con “sfoghi di sesso…maschioni nerboruti…si riempiva la vita”-, un essere dalla marcata sensualità e quindi ‘quasi’ animalesca.
    Un analogia tra i due personaggi, una commiserazione dello status di ‘essere umano’: dice Mary “…le bestie non possono sacrificarsi a vivere da umani.”
    Poveri noi! Siamo così orgogliosi e fieri della nostra presunta ‘superiorità’ ed intelligenza… che, compiacersi e compiacere la natura che è ‘intorno a noi’ come ‘dentro di noi’, lasciandosi cullare anche un po’ dall’ istinto – ritenuto a torto o ragione, tipicamente… bestiale – forse si acquisterebbe in ‘Felicità’ o, perlomeno, in ‘Serenità’.

  2. Avatar Gian Gabriele Benedetti
    Gian Gabriele Benedetti

    Straordinaria forza narrativa sorregge una creatività che dà origine ad una storia di fiaba e di vita. I due mondi si intrecciano e quasi si confondono, suscitando una notevole “presa” nel lettore. Su un terreno metamorfico, il susseguirsi di immagini robuste, di simboli, di significati; l’intrecciarsi di istinti d’animali e umani, certe identità ferite, il fondersi di corporeità e di inarrestabili e non sempre edificanti abitudini, i rapporti conflittuali e qualche sprazzo di generosità ed altruismo costruiscono un panorama complesso, che si fa metafora dell’esistenza stessa.
    Si dipingono molte ombre tra qualche luce e tutto pare nel tempo e fuori del tempo, mentre s’aggira smaliziato lo scavo introspettivo dell’autore, capace di caratterizzare appieno i protagonisti.
    Vibrazioni altissime e a volte inquietanti si fanno tensione e divengono sigillo della fisicità comunicativa.
    Gian Gabriele Benedetti