ARTE I MAESTRI: Marino Marini. Pascoleranno in Boboli i cavalli di Marino2 Gennaio 2014 di Pier Francesco Listri Forte dei Marmi, maggio Di Marino Marini e della sua arte si sa tutto o quasi, tranne forse che nem meno un suo monumento sta in una piazza d’Italia. Vicenza rifiutò la sua statua ai caduti. Cavalieri, danzatrici e Pomone riempiono i musei americani, stanno a Rotterdam, all’Aja, a Zurigo, ma non qui dove le vedemmo qualche anno fa, improvvisamente quasi tutte insieme, nella grande mostra romana di Palazzo Venezia (tre miliardi di assicurazione, dicono le cronache) e fu una rivelazione per la maggior parte degli italiani. Marino Marini ha 67 an ni, anche se non li dimostra. E’ uno dei massimi scultori viventi e ora ha deciso di tornare a casa. Partì da Pi stoia, dove è nato, per studiare a Fi renze; gli sembrò meravigliosa ma in sufficiente a un’artista che comincia; allora si spostò a Milano, città più eu ropea, e di lì in Germania, poi a Parigi e a Londra. Poi anche in America. Da anni, sempre a Milano, lavora vi cino a piazza Montebello: in una casa qualunque; sotto, nel garage, senza una finestra, ha lo studio traboccante di pezzi unici, i suoi « numeri zero » come li chiama. Dieci città almeno gli facevano la corte, si disputavano l’occasione unica di un museo vivente con dentro l’arte fice che ci lavora ancora. Ha vinto Firenze. L’amministrazione comuna le della città e lo Stato italiano hanno offerto a Marino addirittura Boboli. In un cantuccio dello stupendo giardino c’è la villa del Cavaliere, ex-dependance di Cosimo de’ Medici, che, fra poco sarà casa sua. Poco sotto, fra le piante dell’ex-Reggia fiorentina Marino lavo rerà in un grande studio-cantiere; in torno, sistemate en plain air ci saran no le sue opere, che formeranno un museo all’aperto. Questa ospitalità singolare, ricam biata dalla donazione alla città della propria collezione da parte di Marino, dovrebbe essere la prima pietra di un museo di arte contemporanea di cui si discute da troppo tempo senza costrut to. Se ne occupano, con le autorità cit tadine, anche Carlo Ludovico Rag ghianti e il giovane architetto Lorenzo Papi. Sono andato a trovare Marino a Forte dei Marmi e gli ho chiesto per ché torna a Firenze. « Firenze è una città meravigliosa », dice. « La civiltà passata è ancora talmente presente che un artista che ci vive subisce uno sti molo estremo: la lotta di un personag gio vivo che deve creare forme nuove accanto a forme così perfette. L’archi tettura di Firenze è talmente assoluta che è difficile viverci senza distrugger ci dentro dieci volte al giorno ». « Ma lei starà chiuso in Boboli! ». « Farò un buco, farò una cantina, perché quel giardino è pericoloso, fini rei per guardare sempre un albero o la cupola del Brunelleschi… ». Marino lavora come lavorava Cara vaggio. Nel garage buio di Milano. Ma ogni tanto esce per le strade per cari carsi. « Esco continuamente », spiega, « per cogliere il rapporto tra quello che faccio e la figura umana. Se rien tro nello studio e ho una cattiva impressione distruggo il mio lavoro. Non mi sembra vivo come quello che mi circonda per la strada ». Nulla è più irreale della stilizzazio ne architettonica di Marino. Nulla, tuttavia, è più legato all’uomo e alla sua immagine. Cavalieri, danzatrici, guerrieri sono simboli. Lui dice che c’è dentro, in quelle strutture molto lontane che la critica chiama etrusche, la tragedia e lo spavento dell’epoca. Ma come sono nati gli archetipi della sua arte? « Mi ricordo », racconta, « che ero molto piccolo e giocavo sempre con piccoli cavalieri di cartone, con burat tini che avevano le facce dei miei ca valieri, o con certi cavallini, curiosi e semplici dall’occhio imbambolato. C’e ra un grande cassone pieno di questi burattini e io li tiravo fuori e li rimet tevo dentro. Quelle facce strane sono le facce delle mie statue… ». L’UOMO E’ CADUTO DI SELLA Si discute da anni sul significato dei cavalieri di Marino. Certo, sono una cifra viva, come le bottiglie di Morandi. Ma le bottiglie sono anche nella no stra vita, i cavalli non più, quindi il mito si carica di un anacronismo ammonitore. « Il rispetto delle cose », dice Mari no, « non esiste più. Si metteva l’uo mo a cavallo perché spiccasse sugli altri. Oggi non ci crede più nessuno: l’hanno sbattuto giù e gli sputano in faccia, ecco la tragedia… ». « Perduta l’ultima glorificazione del l’uomo, cosa resta all’artista che ne era il più alto sanzionatore? ». « Rimane la tragedia che io conti nuo a raccontare. Dopo la faccia im bambolata a cavallo, succedono delle faccende scomposte e la faccia dell’uo mo diventa un piatto. Il cavallo diven ta una cosa informale, un elemento di strutto, quasi un fossile, perché qual cosa è arrivato sulla terra e ha di strutto anche le forme estreme… ». « Ci restano, Marino, le sue danzatri ci ». « Quella è una storia diversa. E’ la parte del teatro. Il teatro rappresenta qualcosa sulla terra di vero e non ve ro; ma che potrebbe essere vero e que sto mi piace molto… delle possibilità curiose che consentono a ogni cosa di rinnovarsi e di essere improvvisamen te più autentica della realtà… ». Marino parla e guardo i due grandi gessi di cavalieri sistemati in questa stanza della villetta del Forte. Sul pri mo, Marini ha segnato una miriade di gocce verdi di colore, il secondo porta grandi striature rosse dipinte successivamente come suole fare, per una ra gione segreta che ora mi spiega. « L’emozione artistica », dice, « non mi arriva mai come forma, ma mi ar riva come colore. Ho bisogno di un rosso, di un verde che smuovano la fantasia, e su questo colore poi trovo una forma… ». « Che colore ha, Marino, la scultu ra? ». « Non ne ha. Ha il colore che gli dia mo noi. Le ho detto che è dal colore che io arrivo alla forma e questa for ma la porto all’estremo, e dopo ridi pingendola ancora, come lei vede su questi gessi, la faccio riscomparire perché dipingendola con dei colori ir reali la distruggo nella sua superficie, ma non nella sostanza vera. Insomma, la rimetto al posto dell’immaginazione, la ricancello perché ho avuto paura di essere stato troppo reale ». « Che cosa le indica dentro quelle che devono essere le dimensioni di quella certa scultura che va facendo? » LA SCULTURA PER I MUSEI « C’è una misura interna che è rego la a se stessa. Quando questa forma è arte diventa immensa e quindi non più misurabile. Quando è soprammobi le allora vuol dire che non è arte. Io sento la forma sempre come enorme, perché mi deve impaurire ed emozio nare. Poi la costringo nella mia visio ne, la dimensiono perché entri nella mia cubatura di uomo ». Si parla del nuovo modo di intende re la fruibilità dell’opera d’arte. La scultura per esempio non entra più nelle nostre case, è un fatto da museo, o al massimo da luogo pubblico. Mari no conferma che è finita una certa passione, una certa attesa intorno al l’artista. Dice che il mondo ha allarga to la sua cultura ma non l’ha appro fondita. D’altra parte è contento di po ter sfuggire all’imbecillità dei commit tenti privati. « Quando un personag gio », dice « mi ordina qualcosa su mi sura, mi frega, perché non arriva mai alla mia percezione, non può capire perché spiaccico una testa, e allora mi disturba. Preferisco rimanere libe ro… ». In America è stato per lui pro prio così. Non ha diffidenze per questo Paese che nel dopoguerra ha sanziona to la sua celebrità internazionale. Sembra strano che un popolo senza tradizioni figurative abbia capito di colpo il sangue etrusco, gotico, dei Pi sano che corre nelle vene dei suoi bronzi. « Là non c’è più storia », spiega « c’è un continente enorme e tu senti una enorme libertà e puoi dire qua lunque cosa perché tutto il mondo sta a guardare e vuol vedere cosa farai. Un artista europeo prova una strana sensazione. Non c’è un appiglio, non c’è niente, se non natura, cielo, alberi e boschi se, come me, ti butti nella campagna dei dintorni di New York. L’Europa è piena di racconti, piena di stimoli a cui ti puoi collegare. Là se non sei più che forte, ti perdi ». Marino, come tutti gli artisti veri, più che discutere i problemi li risolve o al massimo li propone. Quando gli chiedo cosa in fondo ha voluto dire con tutta la sua opera, risponde sem plicemente: « In un certo senso mi sembra di essere stato molto vicino al l’umanità ». Ci pensa un momento e aggiunge: « Febbrilmente continuo questo racconto ancora vicino all’uma nità, ma molto più libero e più spa ventato… ». Parla spesso di spavento. « C’è nell’aria qualcosa di non sere no. Gli uomini non si rispettano più, la scultura, che avevamo in qualche modo sistemato come arte monumen tale, ha perduto la sua vocazione di esistere… ». « Se non è epica, può essere apoca littica ». MI PIACE LAVORARE LA PIETRA « La mia certo », risponde Marino « rasenta l’Apocalisse. C’è dentro di me un mistero di tragedia che non rie sco a definire. Sento che è uno spaven to, ma debbo fermarmi a quel punto e cancellarlo e ridiscendere coi piedi sulla terra, cercando di disegnare una linea serena, ma che non lo sia trop po… Ho sempre pensato che se avessi mo orecchi e intelligenza si arrivereb be a sentire parlare i pesci. Non ci rie sce perché manchiamo di sensibilità ». « La sensibilità muta col tempo. Vi viamo in un mondo di macchine e di forme artificiali. Un certo tipo di arte d’avanguardia ne sta facendo una pau rosa indigestione in superficie. E’ un problema che la tocca? ». « Certo, viviamo in un mondo in parte artificiale, in un’epoca meccani ca, di cose curiose che succedono nei cieli. Ma la dinamica non è il contra rio dell’arte, può essere anzi che ag giunga qualcosa, forse nascerà un maestro. E’ evidente per esempio che la ricerca sulla materia come tale oc cupa molto gli artisti di oggi. Secondo Milano. Marino Marini nei suo studio. Il cele bre scultore da qualche anno è tornato al la pittura. Anche nei dipinti ritroviamo i suoi temi preferiti, cavalli e cavalieri apocalittici, me bisogna stare attenti che la mate ria non diventi un fatto assoluto, per ché è la sconfitta della fantasia. Ci so no però oggi anche artisti che hanno delle belle forme ma delle brutte ma terie, ghiaccie, morte. Mi piace poco lavorare una materia artificiale che non sia la pietra, il legno, il marmo o il bronzo. La plastica è una cosa già morta… ». Torniamo a parlare del suo mondo. E’ come una matassa di cui piano pia no Marino cerca il bandolo per sdipa narla. « Sono partito », dice « come un essere naturale, un personaggio che aveva amore alle cose che lo circonda vano e coglieva nella realtà, frutta o figura, la sua immediata bellezza. Poi l’epoca e la cultura mi hanno indirizza to in forme più espressive, direi più letterarie, o più malefiche. La mia arte ha toccato queste cose, fino oggi, a di ventare più tragedia. Ora ricerco la forma architettonica, cioè gli elementi di una architettura che non nega l’u manità ma la dimostra. Non abbando no mai la figura umana, anche quando la stravolgo. Mi chiede perché? Per ché penso che siamo degli animali na ti su questa terra e che non bisogna sputarci sopra. L’amore si fa sempre alla stessa maniera; è nella stessa ma niera che si nasce e si mangia… ». E Marino carezza il suo guerriero di gesso, uomo sul cavallo, fossile con temporaneo su cui è passato un cata clisma che ne ha stravolto l’immagine ma non la forma antica. Letto 3017 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||