ARTE: I MAESTRI: Ricordo di Longhi1 Ottobre 2014 di Franco Russoli Qgnuno, credo, conosce l’ec citazione ansiosa con cui si attendono i nuovi scritti di alcuni, pochissimi, maestri. In tale stato d’ani mo, nell’inquietudine felice di chi si aspetta una rivela zione che potrà aprire nuo ve prospettive alla compren sione della realtà che ten tiamo di indagare, e mette re in crisi idee e metodi che si ritenevano sino allora ac certati – così, sempre – ab biamo atteso gli articoli e i libri di Roberto Longhi. Si intenda bene: dalle sue pa gine non ci venivano impo sti messaggi dogmatici, né sistematiche teorie da appli care passivamente. Ma da lui veniva una continua lezio ne di coraggiosa libertà nel la ricerca, di indipendenza dagli schemi. Ogni volta Longhi ci dava l’esempio di come un immenso patrimo nio di cultura, strenuamen te raccolto, dovesse essere posto in diretto confronto con l’esperienza delle « co se », e come da tale verifi ca dialettica potesse nasce re l’illuminazione che scar dina le convenzioni. Tale comportamento era quanto mai lontano dalla si cumera senza problemi del conoscitore-attribuzionista a tutto o a mezzo servizio, come dalla presunzione degli infaticabili tessitori di astratte trame di problemi senza oggetto. Era invece l’atteggiamento di chi cerca d’identificare, nell’amorfa di stesa dei documenti e delle opere, i diversi e intricati momenti e percorsi della cul tura umana trasfigurata in linguaggio poetico. Le im magini dell’arte erano con tinuamente riportate a testi monianze di vita, recupera te dalla cristallizzazione no zionistica o estetizzante al flusso eternamente attuale della storia dell’uomo. La do te dell’intuizione doveva ope rare i propri miracoli entro il campo, condizionante, del la più ampia e faticosamen te controllata conoscenza, e far disciogliere così il lampo abbagliante dell’individuazio ne, del riconoscimento ap parentemente rabdomantico, nella luce diffusa e matu rante della meditazione sto rica. Questo accordo geniale di intuizione e di riflessione, che sulla pagina si offriva nei resultati affascinanti di un linguaggio inimitabile per la fusione del concetto nella creazione verbale, si cercava di coglierlo « sul fat to », quando avevamo la for tuna di assistere agli incon tri diretti di Longhi con l’opera d’arte, per musei o per mostre, e nelle visite a mo numenti e collezioni private. Raramente spettatori sono stati più attenti e sospesi, e ogni volta illuminati e sor presi non tanto dal tiro ag giustato dell’attribuzione ri velatrice, quanto dalla aper tura imprevedibile che essa forniva a nuove visioni pro blematiche, a più diramate «precisioni » storiche. Poteva sembrare distaccato, in una sua ironica sicurezza, Longhi, quando sogguardava le opere d’arte, e volgeva a noi gli occhi sorridenti, soc chiusi dietro il fumo della sigaretta sempre pendula dal labbro, sornione, in attesa (un grande attore di un film francese del tempo di Car nè, di Duvivier). Ed era te so, intento, molto più di noi tutti tremuli e confusi: ver tiginosamente elaborava i dati, collegava elementi stili stici e culturali, dipanava i fili più segreti di una tra ma che poteva apparire tut ta esibita, per rivelarne strutture ignote. L’indicazio ne a sorpresa, l’illumination che ci colpiva nonostante ne attendessimo ogni volta l’ar rivo, era poi data senza al cuna ricerca di effetto, ma gari come constatazione alla quale si fosse giunti insie me, talora come una bonaria o tagliente battuta di spiri to, nascondendone la porta ta culturale nell’estro di un gioco di parole. Un esercizio questo, che in lui assumeva carattere di metodo e di atteggiamento intellettuale quanto morale e poetico. Ci liberava così dalla sog gezione alle idee preconcet te, alle gerarchie prestabili te, invitando non alla pre sunzione dell’infallibilità, ma alla esigenza di rimettere sempre tutto sul tappeto, per giocare la mossa utile a far progredire e ad animare la partita del sapere e del com prendere. Insegnava come di sporsi mentalmente e spiri tualmente alla ricerca, non dava le regole di un sistema: ed era questa una vera at testazione di fiducia e di ri spetto verso la libertà e la qualità individuale degli al lievi. Chi ha creduto di ap plicarne passivamente le nor me, di plagiarne le mosse, ha deluso la sua aspettativa di maestro, ha meritato il suo compassionevole sarcasmo. Da lui si doveva imparare a essere se stessi, coscienti e responsabili nell’orgoglio co me nella modestia, mai re missivi ma pronti all’auto critica. Che poi le sue am missioni di errore, avessero la forza tranquillamente or gogliosa di folgoranti affer mazioni, e portassero ancora la carica di nuove ipotesi suggestive e di rivoluziona rie proposte, questo è pri vilegio del genio e del poeta. Letto 2037 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||