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ARTE: Il Cubismo: I MAESTRI: ROGER ALLARD: Segni di rinnovamento nella pittura, 1912 #3/8

7 Aprile 2009

[da Edward F. Fry: “Cubismo”, Mazzotta, 1967]

II passare la propria vita nel periodo in cui uno stile pittorico sta per originarsi, giusto sino alla sua disintegrazione e morte (sino alla soprav ­vivenza quindi, del pseudo-stile dei suoi epigoni) è la miglior scuola possibile per indagare le leggi che governano l’evoluzione nelle arti. Ora che l’impressionismo appartiene al passato, siamo in grado di met ­tere a nudo il suo rapporto storico non solo – come è già stato spesso fatto – con il periodo immediatamente precedente, ma anche con il periodo seguente, cioè con l’arte dei nostri giorni. Le indiscutibili analogie tra impressionismo, specialmente quello del ­l’ultimo periodo, e naturalismo costituiscono certo la ragione più profonda del perché l’impressionismo non sia riuscito ad originare un gran ­de stile. In altre epoche, grandi periodi artistici produssero delle scuole, e le forme dei maggiori innovatori crearono degli stili stabili. Ma i limiti angusti del principio impressionista diedero l’opportunità solo a tre o quattro grandi artisti di rivelare interamente la propria personalità. Se ­guirono delle sorprendenti involuzioni, quali il neo-impressionismo, mo ­vimento essenzialmente reazionario, che cadde alla fine nel preziosismo. Persine l’eredità di Cézanne fu fatta a pezzi, e le sue sofferte scoperte non ebbero importanza, sebbene in realtà l’arte di Cézanne sia l’arse ­nale da cui la pittura moderna ha tratto le armi con cui sgombrare il terreno dal naturalismo, dalla falsa letteratura e dal pseudo-classicismo. Ora la battaglia ha altri obiettivi.
Presentare questa preistoria del cubismo, fino al momento in cui si è espresso con opere d’arte, ci sembra importante come mezzo per op-porsi ai resoconti falsi e triviali che circolano sulle pagine di periodici e quotidiani e che tentano di creare al cubismo una cattiva fama. Che cos’è il cubismo? Anzitutto e principalmente la determinazione co ­sciente di ristabilire nella pittura la conoscenza di massa, volume e peso. Al posto della illusione impressionistica dello spazio, basata sulla pro-spettiva aerea e sul colore naturalistico, il cubismo ci dà piani, forme astratte in un preciso rapporto e proporzione reciproci. Così il primo postulato del cubismo è la disposizione ordinata delle cose – e ciò significa non cose naturalistiche, ma forme astratte. Il cubismo intende lo spazio come un complesso di linee, di unità di spazio, di equazioni quadrate e cubiche, di proporzioni.
Il   problema dell’artista è di portare un certo ordine in questo caos ma ­ tematico rivelandone il ritmo latente.
In questo modo di guardare la realtà, ogni immagine del mondo è il punto di convergenza di molte forze tra loro contrastanti. Il soggetto del dipinto, l’oggetto esterno, è un semplice pretesto: il soggetto del ­l’equazione. Ciò è sempre stato vero: ma per molti secoli questa verità fondamentale giacque nel dimenticatoio e oggi l’arte moderna sta ten ­tando di recuperarla.
Non è sorprendente il fatto che riesca tanto difficile ai nostri critici e amatori d’arte odierni ammettere che pittori e scultori sono giustificati nel trasformare l’immagine della natura in un mondo esatto e astratto dì forme, mentre in altri campi – la musica e la poesia – considerano già giustificata un’analoga astrazione? Camille Mauclair, per esempio, non vede nel cubismo che un sofisma scolastico tendente a un isteri ­limento del pensiero creativo. Egli dimentica che il piacere artistico coinvolge due esseri dotati di creatività: uno è l’artista che l’esegue, il principale animatore e inventore, l’altro è il fruitore, la cui mente trova il modo di riscoprire l’oggetto naturale. Più agli estremi opposti entrambi si danno da fare per conseguire il medesimo risultato, e più entrambi lavorano con intenti creativi.
Chiunque analizzi con attenzione le propri esperienze nella sfera del piacere estetico, avvertirà la verità di quanto detto. Se qualcuno nega a priori la possibilità di qualsiasi studio scientifico delle esperienze estetiche, gli si può replicare col domandargli se l’or ­dine sia la stessa cosa del disordine. Può – e deve – la mente umana cercare con sicurezza definizioni, distinzioni e teorie in questo campo come in qualsiasi altro? Questo non per negare che tutti i valori nel mondo, anche quelli estetici, siano relativi e mutevoli. Rimane qualche parola da spendere sulle forme espressive e sui mezzi che sinora sono stati usati entro il vasto sistema del cubismo a questo stadio iniziale del suo sviluppo.
Alcuni artisti hanno dematerializzato la loro immagine del mondo comin ­ciando a dividerla nelle sue varie parti; altri hanno cercato un sistema per trasformare in un dipinto gli oggetti, entro astratte forme cubiste, formule, pesi e masse.
Quindi apparvero le idee cinematiche dei futuristi, che al posto delle vecchie leggi europee della prospettiva fondarono una nuova prospet ­tiva, quasi fosse centrifuga, che non assegna più allo spettatore una posizione fissa, ma, per così dire, lo guida intorno all’oggetto; alcuni artisti fecero esperimenti con oggetti compenetrantesi, per intensificare la resa espressiva del movimento.
Naturalmente nessuna di queste idee, prese singolarmente o combinate tra loro, determina un canone per la creazione artistica: al contrario, la loro allarmante fertilità è un pericoloso sintomo di decadenza. Nessuna solida costruzione estetica può essere edificata su tali fonda ­menta. Notiamo lo stesso movimento in letteratura: un pressante stimolo verso la sintesi porta ad arbitrarie combinazioni teoretiche che trasci ­nano la poesia al pittoresco, proprio alle soglie del gusto aneddotico che il nuovo artista vuole evitare: un circolo vizioso. Così il futurismo ci sembra un tumore sul tronco sano dell’arte.
Mentre proclamiamo i diritti del nuovo e costruttivo movimento nell’arte, difendiamo la buona causa contro quella tendenza romantica che vor ­rebbe impedire all’artista creativo ogni pensiero e speculazione, consi ­derandolo semplicemente come un sognatore ispirato la cui mano sini ­stra ignora ciò che fa la destra.
Il primo e maggior privilegio di un artista è quello di essere cosciente artefice delle proprie idee.
Quanti geniali artisti contemporanei hanno sciupato le proprie doti col trascurare il proprio diritto ad operare secondo la propria coscienza.
I più integri hanno riconosciuto l’assoluta necessità di nuove leggi estetiche e della loro conoscenza.
II cubismo non è una nuova fantasmagoria dei cosiddetti « selvaggi », una danza di pellerossa intorno agli altari dell’« arte ufficiale », bensì l’anelito dignitoso ad una nuova disciplina.
Ciò rende inutile e superflua la vecchia questione su chi l’abbia sco ­perto per primo. Senza Derain, Braque e Picasso fecero i primi esperi ­menti formali sulla strada del cubismo: costoro furono poi seguiti dal ­l’opera più sistematica di altri artisti. L’intelligenza e l’energia di questi tre artisti ci inducono a dare maggior rilievo ai loro nomi in questo resoconto obiettivo, che si preoccupa non tanto di valutare dei talenti pittorici, quanto semplicemente di mostrare una parabola di sviluppo, che ha assunto una direzione molto precisa a partire dal Salon d’Automne del 1910. Quindi il Salon des Indépendants e il Salon d’Automne del 1911 misero a fuoco l’intero movimento e resero possibile parlare di un « rinnovamento » nella pittura. I critici ufficiali, che sinora si erano astenuti da un giudizio, condannano ora il cubismo in termini violenti e offensivi. Avevano trovato possibile tollerare le evoluzioni di pochi cubi; ma un movimento serio, che rappresenta una vera minaccia per l’esistenza dell’arte tradizionale, è una cosa completamente diversa. Né i nuovi pittori hanno tentato di togliere la polvere dai loro stanchi e vecchi occhi così da poter vedere con maggior chiarezza queste opere vigorose; e ciò li ha resi ancor più furibondi. Totalmente perplessi per la vitalità inesauribile e pulsante del nuovo movimento, i critici cercarono di respingerlo come un tentativo di gettar fumo negli occhi del pubblico.
Il loro successo è stato nullo. I nuovi pittori annoveravano nei loro ranghi talenti troppo notevoli per essere così facilmente messi in discussione. Mi riferisco a Le Fauconnier, le cui composizioni spaziali fine ­mente strutturate esprimono tutta la nobile riservatezza del suo tempe ­ramento nordico; a Metzinger; ad Albert Gleizes, che chiude il ricco mondo della sua immaginazione entro strutture logiche; a Fernand Léger, sempre alla ricerca di nuove vie per porre in rapporto tra loro le masse; infine a Robert Delaunay, un vero pittore che si è spinto più lontano di qualsiasi altro nel trascendere la superficie rabescata e nel rivelare il ritmo di profondità illimitate.
(« Die Kennzeichen de Erneuerung in der Malerei », Der Blaue Reiter, Monaco, 1912 (2′ ediz. 1914), pp. 35/40)  

Roger Allard (1885-1961), poeta, saggista e critico, fu uno dei primi e più ener ­gici sostenitori del cubismo. Nato a Parigi, trascorse parte della giovinezza a Lillà, dove pubblicò il suo primo volume di poesie nel 1902. Allard fu le ­gato per breve tempo all’Abbaye de Créteil nel 1907-8, dove probabilmente incontrò Alexandre Mercereau e Albert Gleizes, il quale illustrò un suo vo ­lume di poesie pubblicato nel 1911. Allard continuò a difendere i cubisti sino alla guerra mondiale; nel 1919 diresse la rivista Nouveau Spectator e nel decennio 1920-30 scrisse monografie su diversi pittori contemporanei, in par ­ticolare su Roger de la Fresnaye.
[…]
In questo articolo Allard si dilunga esaurientemente nel delineare lo sfondo storico per la sua disamina del cubismo. Egli ricorre a singolari metafore ma ­tematiche per spiegare come si era evoluto dal 1912 l’aspetto piuttosto com ­plesso dei dipinti cubisti. Tuttavia egli riconosce che il cubismo non è ma ­tematica e sente, come Metzinger (vedi testo 13), che l’artista deve confe ­rire un ordine estetico al suo complesso metodo. Allard trova che un simile ordine estetico sia sempre esistito nell’arte, nascosto forse durante la recen ­te storia della pittura, ma sul punto di riapparire come ha già fatto in musica e in poesia. Egli si fa così portavoce in un nuovo modo dell’idea ormai dif ­fusa del tableau-objet, l’opera d’arte autonoma.

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