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ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Boccioni, il mammista cosmico

8 Ottobre 2013

di Guido Ballo
[dal “Corriere della Sera”, domenica 18 gennaio 1970]

Spesso i più grandi ribelli sono in fondo dei ti ­midi. Boccioni, noto per le sue sconvolgenti affermazio ­ni volte al futuro, era inve ­ce un «mammista », attaccato alla madre nel modo più profondo: mentre era teso verso il rinnovamento, stava coi piedi sulla terra e proiet ­tava nel futuro sentimenti antichissimi, addirittura pri ­mitivi.
Questo apparente contro ­senso è il vero fascino della sua personalità: la quale era molto complessa, con un candore, alla fine, in cui ri ­solveva ogni dualismo.

Non ho avuto modo di in ­contrarlo, perché morì nel ’16, a trentasei anni, per una caduta da cavallo, e io so ­no di un’altra generazione; ma mi pare di averlo fre ­quentato sempre, di essere stato con lui e con Severini nello studio romano di Bal ­la a Porta Pinciana, quan ­do non sapeva ancora dipin ­gere (perché fino a 19 anni aveva studiato all’istituto tecnico), o di essere entrato nelle sue case, a Padova, dove la madre se ne stava silenziosa in un angolo, con la macchina da cucire sotto la finestra, la gabbia in al ­to, le mattonelle del pavi ­mento lavate di fresco, op ­pure a Porta Romana, nella periferia milanese, tra le ciminiere e le case in co ­struzione della « città che sale ». Non soltanto perché tutto questo è ritratto nei suoi quadri e nei suoi dise ­gni con una precisione di vita vissuta; ma perché dai diari e dalle lettere ogni cosa si anima di umori, di risonanza interiore. La pre ­senza della madre diventa per lui un punto fermo: per ­ché Boccioni era espansivo, parlava con entusiasmo, ma ci restava male se gli altri si mostravano indifferenti. Nelle lotte più accese, non temeva tanto gli avversari, amava la lotta aperta ed era pronto a battersi, ma i compagni di cammino, quan ­do cercavano di « fargliela » alle spalle; allora restava chiuso per diversi giorni, scontroso, depresso, e soltan ­to la madre e la sorella gli davano fiducia.

Nel 1906 fugge da Roma e va a Parigi e poi in Rus ­sia (dove però si ferma po ­chi mesi) perché l’ambiente degli amici â— compreso lo stesso Balla â— lo hanno de ­luso, amareggiato; e quan ­do, nel ’15, tutti diventano i futuristi dell’ultima ora attorno a Marinetti, si ritrae con sdegno e vuole assimi ­lare, da solo, « tutto un se ­colo di pittura », per mo ­strare che bisogna avere le carte in regola, sul serio. Con Carrà ha spesso degli scontri; col gruppo fioren ­tino attorno a Soffici non è andato, in fondo, mai d’ac ­cordo; Russolo era amico leale, e con Balla, quando riprende i rapporti durante la stesura dei manifesti, non ha più motivi di dissidio. Sironi gli scriveva con affet ­to e ne era ricambiato, ma anche lui era deluso e scon ­troso, parlava sempre di ma ­lattie e depressioni. Severi ­ni era amico, ma se ne sta ­va a Parigi.

Anche con le donne (con la famosa Ines, ritratta in quadri, in schizzi, in dise ­gni), è ossessivo: rivela in sostanza una insicurezza psi ­chica, che lo porta all’ana ­lisi spietata, e nello stesso tempo alla lucidità che non ammette gli abbandoni, a cui invece aspira per pro ­fonda esigenza affettiva. Ec ­co perché la visione neo-impressionista, alla quale lo ha avviato Balla, non può ap ­pagarlo: è una visione di ­staccata, contemplativa. E in lui c’è l’urgenza della par ­tecipazione totale, una radi ­ce più espressionista, intel ­lettiva; dopo l’accostamento a Previati, diventa amico di Romolo Romani e assimila il simbolismo allucinato di Mundi.

Giunge cosi alla Città che sale, dove la tecnica divi ­sionista si risolve in imma ­gine simbolica, in movimen ­to, e agli Stati d’animo; ritorna ancora al motivo della madre, perché gli ad ­dii alla stazione hanno co ­me vera protagonista la ma ­dre, che resta sola: la ma ­dre diventa poi Volumi oriz ­zontali, Materia, intesa nel modo più cosmico, ed è ri ­tratta da lui ogni giorno, deformata, abbellita, imbrut ­tita per renderla aggressiva, con amore, con nostalgia vi ­scerale.

Il dinamismo dunque, la compenetrazione dei piani, dei volumi, i treni in corsa, gli atleti in movimento, so ­no soltanto un aspetto del linguaggio di Boccioni, quel ­lo più legato alla vita mec ­canica e industriale del mon ­do di oggi; ma la vera spin ­ta è di carattere affettivo, è antichissima, addirittura pri ­mordiale. Per questo giunge alla serie dell’Antigrazioso, al Bevitore, alle varie figure deformate espressivamente: è mosso sempre dalla «Gran ­de Madre » cosmica, che cita in vari fogli di diario come una divinità, e quindi da una consistenza materica, vibrante con tensione ner ­vosa, tattile, da un senti ­mento primitivo che lo fa ritornare alle origini.

Non a caso i suoi atleti che camminano diventano dei mostri primitivi, dove il meccanismo da robot non è mai guardato con distac ­co, è rivissuto con partecipa ­zione espressiva, dall’inter ­no, come sangue, carne, vi ­ta: al limite però, sempre, di una definizione plastica dove i rapporti di piani con ­cavi e convessi, di positivo e negativo, sono dominati con lucidità mentale. La bot ­tiglia nello spazio, scultura rigorosissima, è la più mi ­surata nei rapporti della espansione delle forme; ma anch’essa fa sentire i valori segreti della materia.

Il fatto è che Boccioni, ac ­ceso e geniale esponente del futurismo plastico e pitto ­rico, pronto a scrivere ma ­nifesti e teorie con severità mentale, non rinunzia mai al senso misterioso della vita, dove materia e sensi, cor ­posità e idea convivono in un divenire cosmico. In que ­sta vitalità cosmica, ritorna sempre, come motivo di ba ­se, il sentimento per la ma ­dre: che, tra l’altro, era stata abbandonata dal mari ­to, cioè dal padre di Um ­berto, quando questi era an ­cora ragazzo; da qui la pro ­fonda partecipazione alla solitudine della madre, e un senso di colpa continua nel ­la identificazione del padre con l’uomo. La madre di ­venta dunque Materia, divi ­nità ancestrale del grande quadro dipinto nel ’12, già presurrealista (raccolta Mat ­tioli): da cui il futurismo boccioniano prende vita, di là da ogni schema, da ogni programma.


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Bart