ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Boccioni, il mammista cosmico8 Ottobre 2013 di Guido Ballo Spesso i più grandi ribelli sono in fondo dei ti midi. Boccioni, noto per le sue sconvolgenti affermazio ni volte al futuro, era inve ce un «mammista », attaccato alla madre nel modo più profondo: mentre era teso verso il rinnovamento, stava coi piedi sulla terra e proiet tava nel futuro sentimenti antichissimi, addirittura pri mitivi. Non ho avuto modo di in contrarlo, perché morì nel ’16, a trentasei anni, per una caduta da cavallo, e io so no di un’altra generazione; ma mi pare di averlo fre quentato sempre, di essere stato con lui e con Severini nello studio romano di Bal la a Porta Pinciana, quan do non sapeva ancora dipin gere (perché fino a 19 anni aveva studiato all’istituto tecnico), o di essere entrato nelle sue case, a Padova, dove la madre se ne stava silenziosa in un angolo, con la macchina da cucire sotto la finestra, la gabbia in al to, le mattonelle del pavi mento lavate di fresco, op pure a Porta Romana, nella periferia milanese, tra le ciminiere e le case in co struzione della « città che sale ». Non soltanto perché tutto questo è ritratto nei suoi quadri e nei suoi dise gni con una precisione di vita vissuta; ma perché dai diari e dalle lettere ogni cosa si anima di umori, di risonanza interiore. La pre senza della madre diventa per lui un punto fermo: per ché Boccioni era espansivo, parlava con entusiasmo, ma ci restava male se gli altri si mostravano indifferenti. Nelle lotte più accese, non temeva tanto gli avversari, amava la lotta aperta ed era pronto a battersi, ma i compagni di cammino, quan do cercavano di « fargliela » alle spalle; allora restava chiuso per diversi giorni, scontroso, depresso, e soltan to la madre e la sorella gli davano fiducia. Nel 1906 fugge da Roma e va a Parigi e poi in Rus sia (dove però si ferma po chi mesi) perché l’ambiente degli amici â— compreso lo stesso Balla â— lo hanno de luso, amareggiato; e quan do, nel ’15, tutti diventano i futuristi dell’ultima ora attorno a Marinetti, si ritrae con sdegno e vuole assimi lare, da solo, « tutto un se colo di pittura », per mo strare che bisogna avere le carte in regola, sul serio. Con Carrà ha spesso degli scontri; col gruppo fioren tino attorno a Soffici non è andato, in fondo, mai d’ac cordo; Russolo era amico leale, e con Balla, quando riprende i rapporti durante la stesura dei manifesti, non ha più motivi di dissidio. Sironi gli scriveva con affet to e ne era ricambiato, ma anche lui era deluso e scon troso, parlava sempre di ma lattie e depressioni. Severi ni era amico, ma se ne sta va a Parigi. Anche con le donne (con la famosa Ines, ritratta in quadri, in schizzi, in dise gni), è ossessivo: rivela in sostanza una insicurezza psi chica, che lo porta all’ana lisi spietata, e nello stesso tempo alla lucidità che non ammette gli abbandoni, a cui invece aspira per pro fonda esigenza affettiva. Ec co perché la visione neo-impressionista, alla quale lo ha avviato Balla, non può ap pagarlo: è una visione di staccata, contemplativa. E in lui c’è l’urgenza della par tecipazione totale, una radi ce più espressionista, intel lettiva; dopo l’accostamento a Previati, diventa amico di Romolo Romani e assimila il simbolismo allucinato di Mundi. Giunge cosi alla Città che sale, dove la tecnica divi sionista si risolve in imma gine simbolica, in movimen to, e agli Stati d’animo; ritorna ancora al motivo della madre, perché gli ad dii alla stazione hanno co me vera protagonista la ma dre, che resta sola: la ma dre diventa poi Volumi oriz zontali, Materia, intesa nel modo più cosmico, ed è ri tratta da lui ogni giorno, deformata, abbellita, imbrut tita per renderla aggressiva, con amore, con nostalgia vi scerale. Il dinamismo dunque, la compenetrazione dei piani, dei volumi, i treni in corsa, gli atleti in movimento, so no soltanto un aspetto del linguaggio di Boccioni, quel lo più legato alla vita mec canica e industriale del mon do di oggi; ma la vera spin ta è di carattere affettivo, è antichissima, addirittura pri mordiale. Per questo giunge alla serie dell’Antigrazioso, al Bevitore, alle varie figure deformate espressivamente: è mosso sempre dalla «Gran de Madre » cosmica, che cita in vari fogli di diario come una divinità, e quindi da una consistenza materica, vibrante con tensione ner vosa, tattile, da un senti mento primitivo che lo fa ritornare alle origini. Non a caso i suoi atleti che camminano diventano dei mostri primitivi, dove il meccanismo da robot non è mai guardato con distac co, è rivissuto con partecipa zione espressiva, dall’inter no, come sangue, carne, vi ta: al limite però, sempre, di una definizione plastica dove i rapporti di piani con cavi e convessi, di positivo e negativo, sono dominati con lucidità mentale. La bot tiglia nello spazio, scultura rigorosissima, è la più mi surata nei rapporti della espansione delle forme; ma anch’essa fa sentire i valori segreti della materia. Il fatto è che Boccioni, ac ceso e geniale esponente del futurismo plastico e pitto rico, pronto a scrivere ma nifesti e teorie con severità mentale, non rinunzia mai al senso misterioso della vita, dove materia e sensi, cor posità e idea convivono in un divenire cosmico. In que sta vitalità cosmica, ritorna sempre, come motivo di ba se, il sentimento per la ma dre: che, tra l’altro, era stata abbandonata dal mari to, cioè dal padre di Um berto, quando questi era an cora ragazzo; da qui la pro fonda partecipazione alla solitudine della madre, e un senso di colpa continua nel la identificazione del padre con l’uomo. La madre di venta dunque Materia, divi nità ancestrale del grande quadro dipinto nel ’12, già presurrealista (raccolta Mat tioli): da cui il futurismo boccioniano prende vita, di là da ogni schema, da ogni programma. Letto 5921 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||