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ARTE: PITTURA: I MAESTRI: I poderosi nitriti di Bruno Cassinari

28 Agosto 2010

di Dino Buzzati  
[dal “Corriere della Sera”, domenica 4 febbraio 1968]  

Una mostra importante di un artista importante.  
Alla galleria Cavour (piazza Cavour 1) Bruno Cassinari espone nove sculture e trenta ­sei dipinti, tutti recenti. Le no ­ve sculture sono cavalli, di cui uno con cavaliere in groppa. E cavalli figurano in trenta di ­pinti.  

Solo nel comprensorio nazionale esistono, di cavalli, vari reputati allevamenti. Ci sono gli statuari cavalli di De Chirico con la maestosa coda fi ­no a terra, che giganteggiano su deserte spiagge iperboree tra bianchi ruderi antichi. Ci sono i pazzi gaudiosi cavalli policromi di Aligi Sassu. Ci sono i cavalli, così bonari e nostrani, di Cesetti, che si ag ­girano in branco per i pascoli. Ci sono i nebbiosi cavallucci di Music che trottignano at ­traverso le forre dalmate.  

Ma i cavalli coi quali qui viene istintivo il confronto so ­no quelli celebri di Marino Ma ­rini. Si tratta di una somi ­glianza dovuta a due motivi: sia gli uni sia gli altri non portano criniera e hanno la coda, quando c’è, ridotta a un moncherino senza frangia; sia gli uni sia gli altri sono con ­cepiti in una sagoma compat ­ta e glabra, testa collo torace e posteriore sono fusi in una sola struttura dinamica, in certi casi rastremata al punto da far pensare ai remotissimi sauri da cui trassero origine i mammiferi, questo anche per ­ché le orecchie, o mancano del tutto, o sono retratte cosi da non formare sporgenza.  

Si avverte però tra i destrie ­ri di Martini e quelli di Cassinari una profonda e sostan ­ziale differenza, che li attri ­buisce a due mondi completa ­mente diversi.  

Prima di tutto l’essenzialità dei cavalli mariniani si ricol ­lega a un’aura di monumentalità arcaica, se non primor ­diale, mentre quelli di Cassinari sono senz’altro dei nostri giorni. In secondo luogo, men ­tre i primi, anche in cammi ­no, conservano una solenne e magica compostezza, oltre che un rigoroso silenzio, i secondi manifestano una irrefrenabile tensione interna, emettono po ­tenti e lamentosi nitriti. La equinità, per così dire, è sta ­ta dai due artisti portata al grado più intenso e alla sinte ­si più espressiva. Ma nell’uno è cristallizzata in una densa staticità da idolo, nell’altro si scioglie e scatena in allarme, trepidazione, orgasmo, paura, fuga (senza toccare la cruda tragicità dei cavalli di Picasso, sventrati e morenti, chiara re ­miniscenza delle corride).  

Direi insomma che ai caval ­li di Marini, che vivono in una Terra adolescente e pura, criniera e coda hanno ancora da spuntare; ai cavalli di Cassinari, invece, criniera e coda sono cadute in seguito a drammatici eventi. Chi o che cosa li ha denudati? Semplicemen ­te un’angoscia di tipo esisten ­zialista? O sono stati i pati ­menti? O un vento d’apocalis ­se? Oppure il riverbero di una esplosione nucleare? Ce n’è uno, grande, in bronzo, eviden ­temente disperato, che tenta un estremo galoppo ma  le gam ­be anteriori gli si piegano sot ­to. Un altro, che figura in due versioni, bronzo e gesso dipinto, è ancora in piena salute ma sta lì teso come un arco, dinanzi a un misterioso peri ­colo, pronto a scattare. Uguale spavento pervade quelli che galoppano, si rovesciano, si contorcono sulle originalissime tele acquarellate sulla base del rosso e del verde, fantasiose e pure di disegno come grafiti di preistoriche caverne.  

Ci sono anche sei quadri a olio, senza cavalli, del più for ­te Cassinari, ormai liberato da ogni lontano ricordo di influs ­si picassiani, definitivamente signore autonomo di un feudo creato da lui. I due più belli si presentano subito, laggiù in fondo, a chi scende la scala: a sinistra, tre smaglianti galli in un controllatissimo delirio dì colori, a destra una sontuosa figura di donna che sembra ab ­bia un fuoco dentro, tanto vi ­bra e si accende quel rosso car ­ne che è così tipico del pit ­tore piacentino.


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