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ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Pietro da Cortona, pittore e architetto

16 Settembre 2010

di Cesare Brandi
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 8 settembre 1969]

Questo centenario della morte di Pietro da Cortona non ha avuto la risonanza giu ­sta. Né ci si può meraviglia ­re, dove si sa quanto disat ­tenta, anzi disancorata, sia la nostra cultura. Per pensare a Pietro da Cortona, oggi, non basta il generico indulto che ha ricevuto il barocco, i prezzi che ha raggiunto, o quella specie di giubileo alla rove ­scia che i turisti realizzano a Roma, visitando, invece delle sette chiese, la Piazza San Pietro o la Santa Teresa, la Bea ­ta Albertoni o Sant’Ivo alla Sapienza; la Galleria Farne ­se o Palazzo Barberini.

Pietro da Cortona fu arti ­sta sommo solo nell’architet ­tura, in cui non piacque ai suoi giorni e venne criticato in seguito, fino al nostro tem ­po che l’ha riscoperto: e fu pittore, non già di seconda scelta, anzi di immenso respi ­ro, di incredibile capacità di sintesi, che, nel far grande, nelle vorticose folate di aria, di luce, di carne nuda e di drappi gonfiati come bandie ­re, creò qualcosa di irresisti ­bile, veramente la pittura del suo secolo, più del Caravag ­gio, più di Rubens, più di Ve ­lasquez: eppure non una grande pittura.

*

Il suo nome, legato, e vor ­rei dire, incatenato alla pit ­tura, ha lasciato per tre secoli in penombra la sua ar ­chitettura, dove invece con ­centrava tutte le finezze che sottraeva al pennello: col qua ­le raggiunse una sintesi, una totalizzazione indubbia, ma la cui qualità verbale, e dunque poetica, non è quella di un Rubens o di un Velasquez.

Pure, stupendi sono gli af ­freschi di Palazzo Pitti a Fi ­renze e della Galleria Pamphili a Piazza Navona, della Vallicella, di Palazzo Barbe ­rini, e anche quelli, di lui gio ­vanissimo, a Santa Bibiana a Roma; stupendi, e non solo perché il vortice luminoso in cui si dibattono, si sciolgono e si ingorgano, come non fu sen ­za influenza sul Bernini, trascinò tutta la pittura succes ­siva, fino a Padre Pozzo, vor ­rei dire fino al Tiepolo.

Certamente, se Pietro da Cortona fosse stato solo pitto ­re, e non avesse lasciato le poche e sublimi architetture che si vedono a Roma, il suo nome resterebbe ugualmente cruciale, le sue pitture ammi ­revoli; ma l’epiteto di decora ­tore lo inchioderebbe pur sem ­pre ad un livello che non è quello del Caravaggio, di Ru ­bens o di Velasquez.

Eppure la fusione che il Cortona realizzò in pittura, si trova ad una incandescenza maggiore che in Annibale Carracci, ad esempio, da cui per altro si partì: fusione di Tizia ­no e di Correggio, di grazia raffaellesca e di barbagli lumi ­nosi veronesiani.

Quell’imbarazzo della cita ­zione scoperta e antologica, che c’è sempre nella pittura sapiente e organizzata di An ­nibale e anche di Ludovico, scompare completamente nel Cortona, in cui la calata cro ­matica, le nappe di luce, le ombre trasparenti come acque morte, realizzano un’infusione pittorica totale: niente rimane asciutto in questa suprema zuppa inglese. Ma il Mancini, empirico finché si voglia, acu ­to tuttavia, annotò: « Disegna molto bene di penna, dura fatigha in vedere dal vero ». E’ un’annotazione illuminante, se si ricava quel che sottointende. Che poi è questo: la presenza determinata da un’immagine dipinta da Pietro da Cortona non è mai tanto cogente da doversi accettare, così su due piedi e subito, come una realtà assolutamente autonoma. Con un continuo rimando: al vero visto da Tiziano, da Correggio, da Paolo Veronese: meravigliosamente impastati, certo, sicché non se ne potrebbe ritrovare come residuo neanche un pezzetto sano, come invece accade nel florilegio di Annibale o di Ludovico Carracci.

*

Ma la sintassi ha distrutto la grammatica: se il perioda ­re è perfetto, la parola resta generica nella sua area seman ­tica. Non equivochiamo: quel ­lo è un volto, una mano, un piede, un fiore, un albero, un panno, un raggio di luce. Ma ad un livello appena superio ­re a quello in cui la parola si trova definita nel vocabolario rispetto a quello a cui sfol ­gora nella poesia. La parola pittorica di Pietro da Cortona sta sospesa così ad un palmo dal lessico ma ad un miglio dal cielo. Eppure è trascinata come da un meraviglioso ura ­gano, da una bufera serena.

Credo che questo intendes ­se dire, tradotto nei nostri ter ­mini, il Mancini, quando sot ­tolineava in lui toscano, erede diretto, attraverso il Commo ­di, di Santi di Tito e, dunque, del Pontormo, la mancanza di disegno presentificante: la dif ­ficoltà di vedere dal vero.

Eppure, su questa assenza fondamentale di « presentificazione », Pietro da Cortona non fu attaccato da nessuno, e perfino il Milizia, che ha scritto delle pagine atroci sul ­la sua architettura (ma quan ­to ingiuste, veramente esem ­plari per come debbono esse ­re tradotte puntualmente dal negativo al positivo) non du ­bitava affatto, in piena rea ­zione neoclassica, di ricono ­scerlo come il principe della pittura del suo tempo, così co ­me era stato principe dell’Ac ­cademia di San Luca.

Ma è giunto ormai il mo ­mento, perché dalla mortifi ­cazione che, durante tutta la sua vita, Pietro da Cortona aveva ricevuto per l’architet ­tura â— fino a scrivere, nel 1646, in una lettera a Cassiano del Pozzo: « l’architettura poi mi serve solo per mio trattenimento » â— esploda ora il suo massimo titolo di gloria. Con ciò non s’intende dimi ­nuire quello che è stato Pie ­tro da Cortona pittore: ma ri ­conoscere che l’architetto sa ­lì più in alto, molto più in alto. Sicché chi ha creato l’in ­terno dei Santi Luca e Martina, Santa Maria della Pace, e il divino tamburo della Cupo ­la di San Carlo al Corso, ha il diritto di assidersi in quel ­l’empireo dove si trova il Borromini e il Bernini: e nella stessa fila di poltrone.

La sua novità inoltre fu ta ­le che ha puntualmente anti ­cipato e Bernini e Borromini: al punto che, se, per il Ber ­nini, è palese come certi par ­titi derivino inequivocabil ­mente da lui (e il nipote Lu ­ca non ebbe torto a rilevarlo per i disegni del Louvre), in ­vece per il Borromini non si trattò che di convergenze de ­terminate da uno stesso am ­biente di cultura; resta il fat ­to che il primo ad avere co ­struito un’architettura baroc ­ca, il Casino del Pigneto, fu Pietro: non il Bernini ancora pienamente manieristico a San ­ta Bibiana, non il Borromini, di poco, ma sempre un po’ posteriore con un’opera, pur radicale, come il Chiostro di S. Carlino alle Quattro Fon ­tane.

*

Ma il classicismo che il Cor ­tona denegava così ampia ­mente nelle pitture era inve ­ro l’esteriore involucro che conservava alle architetture, e avrebbe dovuto farle passare assai più facilmente, nella co ­scienza dei contemporanei, delle pitture. Fu tutto il contrario.

Solo la lingua, apparente ­mente, era tradizionale: non c’è nulla, infatti, non solo nel ­le prime, ma anche nelle ulti ­me architetture del Cortona, che non provenga da una tradizione classica sia pure pre ­levata dal filone manieristico. Tutto è riconoscibile: niente è inventato. Anzi le audacie sin ­tattiche di certi manieristi era ­no state ben maggiori: di fron ­te all’incongruenza buontalentiana e vasariana di invertire i timpani rotti, cos’è l’audacia del Cortona di capovolgere le mensole, come nelle finestre alte di San Luca?

In un certo senso nessuna architettura del Seicento è più rispettosa del formulario classico di quella del Cortona. Dove non c’è Vitruvio c’è Michelangiolo: questa è la sol variante. Che dire Buontalenti o Palladio o Peruzzi, e ancora dire Michelangiolo.

Ma non è questione di codi ­ce: è questione di struttura spaziale. Ed è lì che il Corto ­na innova con un’audacia qua ­si pari al Borromini e forse superiore al Bernini. Il suo te ­ma spaziale è diverso da quello del Borromini e del Ber ­nini, e se, contrariamente alla pittura, in architettura non avrà seguito, resta il fatto che Cortona inaugura meravigliosamente questa epoca me ­ravigliosa che è stata l’archi ­tettura barocca.

Io non esito a designare, fra le più grandi emozioni che la architettura di tutti i tempi possa procurare, l’interno di San Luca, con quelle colonne « annicchiate » (che esaspera ­vano il Milizia), viranti sotto la Cupola come in una emis ­sione perenne di luce. Se ar ­chitettura immateriale vi fu mai, è questa.

Né spiace che sia nata da un lontano connazionale del Brunelleschi, né spiace che sia nata, quando da una base contrappuntistica si liberava ­no e l’armonia e la melodia, nella musica del tempo. Per ­ché la struttura spaziale del Cortona, nelle sue architetture, è come la struttura armo ­nica della musica, verticale cioè e stratificata, ma sempre dominata da una sinuosa, dut ­tile e ferrea linea melodica. L’armonia è quanto assiepa i meravigliosi coacervi delle sue architetture, queste file serrate di paraste e colonne, e cartigli, e pareti condensate in sottili sciaveri: la melodia è lo snodo impareggiabile, ma come se fosse l’armonia che la genera, invece di fungerle da accompagnamento. Ed ecco dove, l’architettura del Corto ­na, non è più manieristica; e diciamo pure che diviene ba ­rocca: ma soprattutto altissi ­ma architettura. Nel suo cen ­tenario, apertamente andava detto, dopo l’incomprensione dei secoli.


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1 commento

  1. Pingback by giorgio rotti « Эхо блогосферы — 9 Ottobre 2010 @ 11:53

    […] Bartolomeo Di Monaco пишет: Anzi le audacie sintattiche di certi manieristi erano state ben maggiori: di fronte all’incongruenza buontalentiana e vasariana di invertire i timpani rotti, cos’è l’audacia del Cortona di capovolgere le mensole, come nelle finestre … […]

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