ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Pietro da Cortona, pittore e architetto16 Settembre 2010 di Cesare Brandi Questo centenario della morte di Pietro da Cortona non ha avuto la risonanza giu sta. Né ci si può meraviglia re, dove si sa quanto disat tenta, anzi disancorata, sia la nostra cultura. Per pensare a Pietro da Cortona, oggi, non basta il generico indulto che ha ricevuto il barocco, i prezzi che ha raggiunto, o quella specie di giubileo alla rove scia che i turisti realizzano a Roma, visitando, invece delle sette chiese, la Piazza San Pietro o la Santa Teresa, la Bea ta Albertoni o Sant’Ivo alla Sapienza; la Galleria Farne se o Palazzo Barberini. Pietro da Cortona fu arti sta sommo solo nell’architet tura, in cui non piacque ai suoi giorni e venne criticato in seguito, fino al nostro tem po che l’ha riscoperto: e fu pittore, non già di seconda scelta, anzi di immenso respi ro, di incredibile capacità di sintesi, che, nel far grande, nelle vorticose folate di aria, di luce, di carne nuda e di drappi gonfiati come bandie re, creò qualcosa di irresisti bile, veramente la pittura del suo secolo, più del Caravag gio, più di Rubens, più di Ve lasquez: eppure non una grande pittura. * Il suo nome, legato, e vor rei dire, incatenato alla pit tura, ha lasciato per tre secoli in penombra la sua ar chitettura, dove invece con centrava tutte le finezze che sottraeva al pennello: col qua le raggiunse una sintesi, una totalizzazione indubbia, ma la cui qualità verbale, e dunque poetica, non è quella di un Rubens o di un Velasquez. Pure, stupendi sono gli af freschi di Palazzo Pitti a Fi renze e della Galleria Pamphili a Piazza Navona, della Vallicella, di Palazzo Barbe rini, e anche quelli, di lui gio vanissimo, a Santa Bibiana a Roma; stupendi, e non solo perché il vortice luminoso in cui si dibattono, si sciolgono e si ingorgano, come non fu sen za influenza sul Bernini, trascinò tutta la pittura succes siva, fino a Padre Pozzo, vor rei dire fino al Tiepolo. Certamente, se Pietro da Cortona fosse stato solo pitto re, e non avesse lasciato le poche e sublimi architetture che si vedono a Roma, il suo nome resterebbe ugualmente cruciale, le sue pitture ammi revoli; ma l’epiteto di decora tore lo inchioderebbe pur sem pre ad un livello che non è quello del Caravaggio, di Ru bens o di Velasquez. Eppure la fusione che il Cortona realizzò in pittura, si trova ad una incandescenza maggiore che in Annibale Carracci, ad esempio, da cui per altro si partì: fusione di Tizia no e di Correggio, di grazia raffaellesca e di barbagli lumi nosi veronesiani. Quell’imbarazzo della cita zione scoperta e antologica, che c’è sempre nella pittura sapiente e organizzata di An nibale e anche di Ludovico, scompare completamente nel Cortona, in cui la calata cro matica, le nappe di luce, le ombre trasparenti come acque morte, realizzano un’infusione pittorica totale: niente rimane asciutto in questa suprema zuppa inglese. Ma il Mancini, empirico finché si voglia, acu to tuttavia, annotò: « Disegna molto bene di penna, dura fatigha in vedere dal vero ». E’ un’annotazione illuminante, se si ricava quel che sottointende. Che poi è questo: la presenza determinata da un’immagine dipinta da Pietro da Cortona non è mai tanto cogente da doversi accettare, così su due piedi e subito, come una realtà assolutamente autonoma. Con un continuo rimando: al vero visto da Tiziano, da Correggio, da Paolo Veronese: meravigliosamente impastati, certo, sicché non se ne potrebbe ritrovare come residuo neanche un pezzetto sano, come invece accade nel florilegio di Annibale o di Ludovico Carracci. * Ma la sintassi ha distrutto la grammatica: se il perioda re è perfetto, la parola resta generica nella sua area seman tica. Non equivochiamo: quel lo è un volto, una mano, un piede, un fiore, un albero, un panno, un raggio di luce. Ma ad un livello appena superio re a quello in cui la parola si trova definita nel vocabolario rispetto a quello a cui sfol gora nella poesia. La parola pittorica di Pietro da Cortona sta sospesa così ad un palmo dal lessico ma ad un miglio dal cielo. Eppure è trascinata come da un meraviglioso ura gano, da una bufera serena. Credo che questo intendes se dire, tradotto nei nostri ter mini, il Mancini, quando sot tolineava in lui toscano, erede diretto, attraverso il Commo di, di Santi di Tito e, dunque, del Pontormo, la mancanza di disegno presentificante: la dif ficoltà di vedere dal vero. Eppure, su questa assenza fondamentale di « presentificazione », Pietro da Cortona non fu attaccato da nessuno, e perfino il Milizia, che ha scritto delle pagine atroci sul la sua architettura (ma quan to ingiuste, veramente esem plari per come debbono esse re tradotte puntualmente dal negativo al positivo) non du bitava affatto, in piena rea zione neoclassica, di ricono scerlo come il principe della pittura del suo tempo, così co me era stato principe dell’Ac cademia di San Luca. Ma è giunto ormai il mo mento, perché dalla mortifi cazione che, durante tutta la sua vita, Pietro da Cortona aveva ricevuto per l’architet tura â— fino a scrivere, nel 1646, in una lettera a Cassiano del Pozzo: « l’architettura poi mi serve solo per mio trattenimento » â— esploda ora il suo massimo titolo di gloria. Con ciò non s’intende dimi nuire quello che è stato Pie tro da Cortona pittore: ma ri conoscere che l’architetto sa lì più in alto, molto più in alto. Sicché chi ha creato l’in terno dei Santi Luca e Martina, Santa Maria della Pace, e il divino tamburo della Cupo la di San Carlo al Corso, ha il diritto di assidersi in quel l’empireo dove si trova il Borromini e il Bernini: e nella stessa fila di poltrone. La sua novità inoltre fu ta le che ha puntualmente anti cipato e Bernini e Borromini: al punto che, se, per il Ber nini, è palese come certi par titi derivino inequivocabil mente da lui (e il nipote Lu ca non ebbe torto a rilevarlo per i disegni del Louvre), in vece per il Borromini non si trattò che di convergenze de terminate da uno stesso am biente di cultura; resta il fat to che il primo ad avere co struito un’architettura baroc ca, il Casino del Pigneto, fu Pietro: non il Bernini ancora pienamente manieristico a San ta Bibiana, non il Borromini, di poco, ma sempre un po’ posteriore con un’opera, pur radicale, come il Chiostro di S. Carlino alle Quattro Fon tane. * Ma il classicismo che il Cor tona denegava così ampia mente nelle pitture era inve ro l’esteriore involucro che conservava alle architetture, e avrebbe dovuto farle passare assai più facilmente, nella co scienza dei contemporanei, delle pitture. Fu tutto il contrario. Solo la lingua, apparente mente, era tradizionale: non c’è nulla, infatti, non solo nel le prime, ma anche nelle ulti me architetture del Cortona, che non provenga da una tradizione classica sia pure pre levata dal filone manieristico. Tutto è riconoscibile: niente è inventato. Anzi le audacie sin tattiche di certi manieristi era no state ben maggiori: di fron te all’incongruenza buontalentiana e vasariana di invertire i timpani rotti, cos’è l’audacia del Cortona di capovolgere le mensole, come nelle finestre alte di San Luca? In un certo senso nessuna architettura del Seicento è più rispettosa del formulario classico di quella del Cortona. Dove non c’è Vitruvio c’è Michelangiolo: questa è la sol variante. Che dire Buontalenti o Palladio o Peruzzi, e ancora dire Michelangiolo. Ma non è questione di codi ce: è questione di struttura spaziale. Ed è lì che il Corto na innova con un’audacia qua si pari al Borromini e forse superiore al Bernini. Il suo te ma spaziale è diverso da quello del Borromini e del Ber nini, e se, contrariamente alla pittura, in architettura non avrà seguito, resta il fatto che Cortona inaugura meravigliosamente questa epoca me ravigliosa che è stata l’archi tettura barocca. Io non esito a designare, fra le più grandi emozioni che la architettura di tutti i tempi possa procurare, l’interno di San Luca, con quelle colonne « annicchiate » (che esaspera vano il Milizia), viranti sotto la Cupola come in una emis sione perenne di luce. Se ar chitettura immateriale vi fu mai, è questa. Né spiace che sia nata da un lontano connazionale del Brunelleschi, né spiace che sia nata, quando da una base contrappuntistica si liberava no e l’armonia e la melodia, nella musica del tempo. Per ché la struttura spaziale del Cortona, nelle sue architetture, è come la struttura armo nica della musica, verticale cioè e stratificata, ma sempre dominata da una sinuosa, dut tile e ferrea linea melodica. L’armonia è quanto assiepa i meravigliosi coacervi delle sue architetture, queste file serrate di paraste e colonne, e cartigli, e pareti condensate in sottili sciaveri: la melodia è lo snodo impareggiabile, ma come se fosse l’armonia che la genera, invece di fungerle da accompagnamento. Ed ecco dove, l’architettura del Corto na, non è più manieristica; e diciamo pure che diviene ba rocca: ma soprattutto altissi ma architettura. Nel suo cen tenario, apertamente andava detto, dopo l’incomprensione dei secoli. Letto 4997 volte. | ![]() | ||||||||||
Pingback by giorgio rotti « Ðхо блогоÑферы — 9 Ottobre 2010 @ 11:53
[…] Bartolomeo Di Monaco пишет: Anzi le audacie sintattiche di certi manieristi erano state ben maggiori: di fronte all’incongruenza buontalentiana e vasariana di invertire i timpani rotti, cos’è l’audacia del Cortona di capovolgere le mensole, come nelle finestre … […]