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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Bilenchi, Romano

7 Novembre 2007

Conservatorio di Santa Teresa

“Conservatorio di Santa Teresa”

Garzanti, pagg. 320. Euro 9,81

Chi ha la fortuna di avere intorno a sé la meraviglia delle colline e di frequentarle, può entrare dentro e comprendere i moti segreti dell’animo del piccolo Sergio, che vive in una villa circondata da colline “dietro le quali si consumava il tramonto.” L’avvio di questo romanzo di Romano Bilenchi ha la tenacia e il respiro dei vasti orizzonti con i quali può accadere che il nostro spirito si accompagni alla natura. Frammenti di essa, come le colline, il fiume, e così via, diventano veri e propri personaggi del romanzo, al pari di Sergio e la sua famiglia, e sicuramente sono personaggi vivi per il ragazzo, che all’inizio di questa storia ha nove anni, le cui scoperte non mancano di avere come transfert inconsapevole ma forte, decisivo, la madre, Marta – come continua a chiamarla l’autore significativamente -, mai divenuta vera e propria madre, che ha i capricci, le gioie, gli entusiasmi, gli slanci di un’età per lei rimasta ancora bambina. Si dice di questo romanzo che abbia come unico protagonista Sergio, ma Sergio non sarebbe nulla senza il riflesso costante, presente come un’ombra, di Marta: “Sergio la sentiva assorta, estranea a tutto, uguale a certe foglie del giardino quando, nel bel mezzo di una giornata purissima, noncuranti del sole, dei fiori e delle farfalle, si chiudevano d’un tratto per rimanere così lunghissime ore.” Il capitolo XXIII mostra ampiamente questo carattere dolce ed infantile di Marta. Anche la zia Vera, salda e volitiva al contrario della mamma, giocherà un ruolo fondamentale, incontrandosi e scontrandosi con le fugaci, improvvise, gelose, ansie e apprensioni del ragazzo. Ma è Marta, e non Vera, che lo conosce bene: “Con codesto carattere ti rovinerai tutta la vita”.

La famiglia in cui vive il piccolo Sergio è di quelle che esistevano una volta, prima della guerra, in cui la nonna Giovanna, nonostante l’età, ha ancora voce in capitolo, e tratta Bruno, il padre di Sergio e fratello di Vera, alla stregua di un ragazzino. E forse lo è rimasto, impulsivo e diverso da lei che tratta i contadini da padrona, mentre Bruno ha dentro una sensibilità che gli rivela le ingiustizie sociali e gliele fa ripudiare. Non mancano le liti, in una famiglia che vive e mostra il passaggio di un’epoca che la guerra non farà altro che accelerare.

La guerra incombe. Come un fantasma la sua cupa attesa turba la serenità della famiglia. Bruno ha idee socialiste, è contrario ad arruolarsi, come stanno facendo altri, molti dei quali volontari: “Io sono contrario alla guerra. Prima per le mie idee politiche poi perché ne ho paura; paura di venire schiacciato come un topo.”

Sergio vive la sua età sminuzzando ogni azione e ogni pensiero, propri e degli altri. I suoi nove anni trascorrono in un ambiente tanto chiuso quanto fertile alla sua maturazione. Siano persone, siano oggetti, sia la natura con tutta la sua variegata e multiforme ricchezza ad essere sottoposti al suo esame di adolescente, egli vi si immedesima alla ricerca di una loro eco che sta crescendo in lui, pur in presenza di incertezze, idiosincrasie, instabilità e reversibilità degli affetti. Come la guerra per gli altri, su Sergio incombe il suo avvenire: la città e soprattutto la scuola presso il Conservatorio di Santa Teresa: “un mondo nuovo che lo stringeva con le sue incognite”. Sono al momento entità impalpabili, che ogni tanto si inframettono, e il ragazzo sa che questa conoscenza che lo attende è voluta dagli altri, e da lui forse nemmeno desiderata, ma ritenuta necessaria e inevitabile. “Un velo era caduto tra lui e la natura” chioserà l’autore. Al lento procedere delle azioni, tutte minute e analizzate, fa da contrasto il passaggio veloce delle stagioni, come se esse sostassero e transitassero meglio, con maggior agio e adeguatezza, impalpabili, nei moti dell’animo dei personaggi.

Quando si troverà nel Conservatorio, la sua indole sussulterà ad ogni sensazione nuova, ad ogni scoperta, e soprattutto il valore dell’amicizia coi compagni comincerà a scuotere, ad interrogare e ad orientare la sua sensibilità, al punto che in lui si avvierà il primo lento distacco dal bozzolo familiare in cui era stato avvolto. L’esperienza del Conservatorio, che nel romanzo non occupa poi quella gran parte di scrittura che si poteva immaginare, si pone in realtà come profondo spartiacque di una conoscenza che più che modificare l’inclinazione all’analisi di Sergio, che rimane intatta, intensa e al contempo mutevole nella stessa misura di prima, prepara la sua mente ad affrontare orizzonti più ampi di quelli condivisi ed intuiti alla villa. Da questa nuova e più approfondita ed ampia conoscenza perfino i caratteri di Marta e di Vera resteranno segnati. E il ruolo delle due donne a poco a poco sbiadirà per far posto ad una ragazzina, Nide, che avvierà Sergio alla scoperta di un sentimento diverso dagli altri, pruriginoso e doloroso ad un tempo, invasivo e fin allora sconosciuto. Attraverso di lei, il Conservatorio di Santa Teresa assume così questo significato soprattutto: il luogo ove una tale scoperta coinvolge tutti indistintamente, alla stregua di un dono che viene fatto alla vita di ciascuno, così come nel passato deve aver coinvolto anche la mamma e la zia, e coinvolgerà altri nel futuro. È il passaggio che tutti attraversiamo di un tempo della nostra vita. Quando Vera, Marta e Sergio si siederanno, a conclusione del romanzo, sulla riva del loro fiume, si avverte, tutta trepida ed incantata, la malinconia di una stagione che non c’è più.

La scrittura di Bilenchi, lucida e limpida, ha in sé, piacevolmente evidenti, le sensibilità, inquiete e rarefatte, che racconta.


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