La forzatura del Colle2 Agosto 2012 di Bruno Tinti Esistono aspetti poco esplorati nella vicenda delle in Âtercettazioni Mancino-Napo Âlitano. 1) Art. 90 della Costituzione: “Il Presidente della Repubbli Âca non è responsabile degli at Âti compiuti nell’esercizio del Âle sue funzioni…”. Dunque per il Capo dello Stato non esi Âste un’immunità generale ma solo per gli atti connessi alle sue funzioni. Se ammazza la moglie può (anzi deve, per via dell’obbligatorietà dell’azio Âne penale) essere processato. E non gode nemmeno del trat Âtamento riservato ai parla Âmentari dall’art. 68 Cost., le famigerate autorizzazioni (in Âtercettare, utilizzare intercet Âtazioni di terzi, perquisire e arrestare) che hanno salvato decine di delinquenti. Non si tratta di un vuoto legislativo da colmare in via interpreta Âtiva da Procure, Tribunali o Corte costituzionale come preteso dai fans di Napolita Âno. È che proprio così vollero i Padri costituenti. Il 4/1/1947 ne discussero a lungo e alla fine esclusero che fosse op Âportuno prevedere immunità generale o autorizzazione a procedere per il Presidente della Repubblica (Appendici Titolo II Parte seconda – Ar Âgomenti o articoli non entrati nella Costituzione – Immunità civile e penale del Presidente della Repubblica). PER QUESTO, e non per una dimenticanza, la Costitu Âzione prevede che egli sia trat Âtato (processualmente) come un qualsiasi cittadino; tranne che per atti compiuti nell’eser Âcizio delle sue funzioni. Ecco perché l’art. 90 della Costitu Âzione non c’entra niente con la vicenda intercettazioni Mancino-Napolitano: che l’in Âterferenza nel processo tratta Âtiva Stato-mafia rientri o no ne Âgli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, resta il fatto che Napolitano non è stato in Âcriminato; e certamente né l’art. 90 né l’art. 68 Cost. pre Âvedono alcunché in materia di intercettazioni telefoniche che coinvolgano il Capo dello Stato. 2) Napolitano non è stato in Âtercettato. Intercettato è colui nei confronti del quale il giudice, su richiesta del pm, au Âtorizza l’intercettazione (art. 267 codice di procedura). Tut Âti quelli che parlano con l’in Âtercettato sono “intercettati indiretti”. E, se non esistono norme su intercettazioni a ca Ârico del Presidente della Re Âpubblica, figuriamoci se ne esistono su “intercettazioni in Âdirette”. Che possono essere utilizzate senza necessità di autorizzazione. Così decisero i Padri costituenti nel lontano 4/1/1947. 3) Nessuno vuole utilizzare le “intercettazioni indirette” che si riferiscono a Napolitano, al Âmeno al momento. Ma la pos Âsibilità che ciò accada esiste poiché qualche difensore po Âtrebbe ritenerle rilevanti per la difesa del suo assistito e chiedere al giudice di acqui Âsirle al fascicolo del dibatti Âmento. E il giudice potrebbe dargli ragione (art. 268 com Âma 6). Quindi la pretesa di Na Âpolitano (distruggere le inter Âcettazioni indirette che lo ri Âguardano, senza contradditto Ârio con le difese degli altri im Âputati), oltre che giuridica Âmente infondata, comporta n rischio che sia condannato un innocente. 4) È vero che possono esserci intercettazioni inutilizzabili per legge (art. 271): sono quel Âle eseguite fuori dei casi con Âsentiti (per reati per i quali non sono previste ovvero ese Âguite senza l’autorizzazione del giudice); e quelle, anche “indirette”, in cui sono state captate conversazioni con sa Âcerdoti, avvocati e altri (art. 200). Ed è vero che queste in Âtercettazioni devono essere distrutte (sempre però con provvedimento del giudice). Sta di fatto che il Presidente della Repubblica non rientra in nessuna delle categorie di cui all’art. 200; e non a caso, lo decisero i Padri costituenti. E certamente le intercettazioni disposte a carico di Mancino non sono state eseguite fuori dei casi consentiti. 5) Per finire, va detto che l’i Âniziativa di Napolitano apre un caso sconcertante. Il Presiden Âte ha incaricato l’Avvocatura dello Stato di rappresentarlo avanti alla Corte costituziona Âle. Ma parte in causa nel con Âflitto è la Procura di Palermo; che può, anzi deve, essere di Âfesa dall’Avvocatura dello Sta Âto: obbligatoriamente perché appartenente alla Pubblica amministrazione (art. 1 RD 30/10/1933, n. 1611). MA, PER IL Presidente della Repubblica, la Camera dei de Âputati e il Senato (che non fan Âno parte dell’amministrazione pubblica), detto patrocinio è facoltativo; e infatti è prassi co Âstante che Camera e Senato si facciano difendere da avvocati del libero Foro. Ovviamente la Procura di Palermo non può avere lo stesso avvocato che difende la parte avversa: si chiama incompatibilità . Però deve farsi difendere obbligato Âriamente dall’Avvocatura del Âlo Stato. Non così Napolitano. Che farà il Presidente della Re Âpubblica? Revocherà la nomi Âna fatta all’Avvocatura dello Stato? O sarà la Corte costitu Âzionale a rilevare l’incompati Âbilità ? Staremo a vedere. Resta la solita domanda: ma cosa ci sarà mai in quelle conversazio Âni per spingere Napolitano e i suoi consiglieri a tante e così improvvide iniziative? Mafia, la verità  e le polemiche COME AL SOLITO, ALL’INDOMANI DI OGNI MIO TENTATIVO DI APRIRE DI ÂBATTITI COSTRUTTIVI su tematiche che nessuno potrà mettere in dubbio esse Âre seri, vengo investito da critiche e commenti velenosi. E così succede an Âcora una volta dopo che in un’intervi Âsta dico due cose ovvie. Primo: c’è chi protesta contro una presunta invasio Âne di campo della magistratura che, in Âdagando sulla stagione della trattativa ’92-’94, dovrebbe cedere di fronte ad un’implicita (forse inconfessabile?) ra Âgion di Stato? A questi rispondo che, se ragion di Stato vi fu, lo si dichiari. La politica ha gli strumenti legi Âslativi per fermare la giustizia penale, e se la veda poi coi cittadini per giustificare una ra Âgion di Stato che, invece di fermare le stragi, le avrebbe accelerate se non addirittura cau Âsate (basta leggersi le sentenze di Firenze e Caltanissetta per farsene un’idea). Seconda cosa ovvia: se invece questa presunta ragion di Stato non viene riconosciuta da alcuna au Âtorità politico-istituzionale, si lasci lavorare la magistratura, ed anzi la politica faccia la sua parte, approntando gli strumenti legisla Âtivi per agevolare la verità giudiziaria ad emergere e adoperandosi perché venga fuori anche la verità storico-politica. Banalità , vero? Sembra di no, a vedere le reazioni, dato che vengo accusato, fra l’altro, di essere un provocatore politico (ma di che provocazione stiamo parlando?), di voler at Âtribuire una ragion di Stato al noto conflitto di attribuzioni fra Presidenza della Repubbli Âca e Procura di Palermo (ma io parlavo di tutt’altro!), e da ultimo di voler nascondere la debolezza dell’indagine. Quest’ultima accusa proviene da un mio critico affezionato, Ema Ânuele Macaluso, che da queste stesse colon Âne ieri ha già emesso la sentenza del proces Âso senza conoscerne una carta. La cultura del dubbio, coltivata da quel Leonardo Scia-scia che Macaluso ama citare, stavolta non gli serve, visto che sa già che il procuratore capo di Palermo non ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio perché l’indagine è debo Âle, e non perché, da non titolare del procedi Âmento, il procuratore «vista » il provvedimen Âto. Né lo sfiora il dubbio che, in caso di dissen Âso, possano avere ragione gli altri quattro ma Âgistrati che hanno invece firmato. Ma, purtroppo, non è finita qui, perché Macaluso, pur di non dare credito alla digni Âtà di un’indagine, smentisce l’esistenza di qualsiasi trattativa, ignorando le sentenze e perfino la storia. Ignora le sentenze definiti Âve di Firenze che hanno ritenuto provata la trattativa Stato-mafia della stagione 92-93. Ed ignora la storia, perché nel suo excursus dimentica addirittura la «madre di tutte le trattative », quella intermediata da Lucky Lu Âciano che consentì il sostegno della mafia al Âlo sbarco delle truppe anglo-americane in Si Âcilia alla fine del secondo conflitto mondiale. Fatti documentati in tanti libri di storia e da ultimo in «Quarant’anni di mafia », libro di Sa Âverio Lodato, memoria storica antimafia di questo stesso giornale. Ebbene, sorprende che un politico come Macaluso, che quella stagione ha vissuto, non rammenti che la «convivenza » con la De Âmocrazia Cristiana, partito filo-atlantico e ga Ârante di certi assetti politico-sociali, iniziò proprio per effetto di una trattativa, quella trattativa intermediata da Cosa Nostra ameri Âcana e si esaurì solo quando, dopo la caduta del muro di Berlino, venne meno la giustifica Âzione politico-internazionale di quella convi Âvenza, degenerata in stabile alleanza. Sono cose ben chiare ad un comunista che guarda Âva lontano ed in profondo come Pio La Tor Âre, che non a caso non smise mai di vedere il contesto internazionale nel quale si inseriva il potere mafioso. E seguendo il metodo di analisi della realtà mafiosa di Pio La Torre non deve sembrare un caso che l’omicidio Li Âma si collochi solo dopo la caduta di quel mu Âro, e per ragioni ben più profonde del manca Âto aggiustamento del maxiprocesso, come sembra pensare in modo riduttivo, invece, Macaluso. Ebbene, il tema allora rimane un altro, e credo dovrebbe interessare non soltanto ai magistrati e alle vittime delle stragi e delle varie trattative con la mafia avvenute nella storia. Se è vero che vi fu una trattativa in quel biennio, è pensabile che essa avesse co Âme obiettivo solo il 41-bis, o la posta in gioco fu ben più ampia? La nuova trattativa non riguardava invece il nuovo patto di conviven Âza politico-mafioso? Ed allora, sembra trop Âpo impertinente che un magistrato dica ad alta voce che, di fronte a questa posta in gio Âco, invece di invocare presunte invasioni di campo della magistratura si dovrebbe colla Âborare, ciascuno per la propria parte di re Âsponsabilità , informazione, politica, cultura e società civile, per ricostruire cosa accadde davvero in quegli anni? La magistratura deve solo perseguire responsabilità penali perso Ânali e cercare le prove, e celebrare processi se le prove ci sono. Ma ognuno faccia la sua parte. Postscriptum. Non mi piace la polemica del Âle repliche e controrepliche perché sterile. Quindi, siccome so che Macaluso replicherà ancora alle mie risposte, dichiaro che, per parte mia, ritengo questa polemica chiusa qui. Non prima di rammentare, visto che rac Âcomanda di agire contro la mafia «silenziosa Âmente », le parole di Paolo Borsellino, il mio maestro, che mi ha insegnato che il silenzio è della mafia per poi concludere: «Parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene… ». Le indagini e i limiti alle intercettazioni Fuori aula fioriscono disinvolte giurisprudenze. Fautori della «prerogativa », con lieve sento Âre d’ancien régime, ammette Âvano che gl’indaganti palermitani operassero bene quando l’addetto re Âgistrava i suoni intercettando telefo Ânate d’un ex ministro ora imputato quale falso testimone sui negoziati Stato-mafia, anziché interrompere l’ascolto lacerando i nastri; e presunta una lacuna, invocavano legge ad hoc o sentenza «additiva » dalla Consulta. Secondo l’ultima massima, non oc Âcorrono l’una né l’altra: vale l’art. 271 c.p.p. sulle intercettazioni invalide: carte, nastri, dischi, vadano al diavolo, inauditi dalle parti, in deroga all’art. 268, c. 6. Era un’intrusione sciagurata: li dentro risuonano emissioni vocali che nessun profano può udire; il tutto avvenga al buio. Non è chiaro se sprofondino nella curva dell’oblio an Âche i detti dell’interlocutore, talvolta inscindibili. Il contraddittorio va a far Âsi benedire. Vengono spontanei dei quesiti: perché inabissare santi discor Âsi quando il pubblico può trovarvi ali Âmento spirituale?; o la scelta dipende da chi parla, secundum tenorem ver Âborum, nel senso che alcuni siano ascoltabili, altri no? Quesito antipatico ma il punto è marginale. Vogliamo sa Âpere dove stia il divieto d’ascoltare. Non b asta esclamarlo, va letto nel testo d’una norma. Qui l’ onorevole Gianlui Âgi Pellegrino alza i toni (cattivo segno): sono parole del Presidente, «coperte dalla guarentigia d’inviolabilità »; è vertice dello Stato; comanda le forze armate. Dio sa cosa c’entri. «Guarenti Âgia », parola melodiosa, suona retrò; e così “inviolabile”, aggettivo ignoto al moderno lessico costituzionale, che io rammenti, mentre appare nell’art. 4 dello Statuto Albertino, 4 marzo 1848: «la persona del Re è sacra e inviolabi Âle ». L’ oracolo non dà altro, né fornisco Âno lumi i due articoli citati nel decreto 12 luglio. In lingua italiana l’immunità penale del Presidente (art. 90 Cost.) non significa divieto d’ascoltarlo con Âversante su linee legittimamente con Âtrollate e ai voti dati » (art. 68, c.1, Cost.); eppu Âre i colloqui su nastro soggiaciono al contraddittorio regolato dall’art. 61.20 giugno 2003 n. 140. Altrettanto poco interessa l’art. 71.5 giugno 1989 n. 219, dov’è stabilito che intercettazioni, ri Âcerche coattive, misure cautelari pos Âsano essere disposte nei suoi confron Âti solo quando la Corte l’abbia sospeso dalla carica: nessuno gliele aveva in Âflitte; l’ascolto era accidentale, su una linea captata, e chi frequenta luoghi pericolosi «imputet sibi » gli accidenti. L’avevamo rilevato: i devoti alla pre Ârogativa interpolano nel codice cate Âgorie arcaiche da Ramo d’oro o Re tau Âmaturghi; ma veniamo al quadro casi Âstico. Cos’avverrebbe se, essendo «in Âviolabile » il Presidente, un domestico infedele lo spiasse mentre telefona, re Âgistrando i suoni: inammissibile la te Âstimonianza in processi su fatti altrui, perché viola l’augusta privacy?; ince Âneriamo l’abusivo reperto fonico? Ra Âbelais sogghignerebbe, spiritoso qual era nel descrivere gli hommes de loi. Supponiamo ora che il dialogo regi Âstrato sia corpus delicti, in quanto con Âfigura una condotta penalmente qua Âlificabile: l’art. 271, ultima frase, vieta la distruzione dei reperti, anche se l’o Ârigine fosse illegale; il dogma dell’in Âviolabilità inghiotte tutto? Intavolata una falsa premessa, piovono parados Âsi. Sotto gli esclamativi c’era poco, an Âzi niente, né risultano applicabili i di Âvieti probatori effettivi (ad esempio, l’ art. 71.5 giugno 1989) . Squagliati i fan Âtasmi, cerchiamo le norme. L’ unica re Âperibile sta nella 1. 20 giugno 2003 n. 140: intesa ad attuare l’art. 68 Cost. (immunità parlamentari), contem Âplava anche il Presidente della Repub Âblica (giudizi relativi alle «alte cariche dello Stato »), ma i tre commi dell’art. 1 erano invalidi, tali dichiarati perché incompatibili con l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (classico prodotto berlusconiano, reiterato dal cosiddetto lodo Alfano, alla cui vita in Âtrauterina non era estraneo il Quirinale). L’art. 5 contempla intercettazioni fortuite (alias «indirette ») dei parla Âmentari. Caso diverso, dicono i prero Âgativisti. Sì, ma simile, quindi la regola è analogicamente applicabile (art. 12, c. 2, «Disposizioni sulla legge in gene Ârale »): udite le parti, il giudice delle in Âdagini preliminari, inoppugnabil Âmente ordina la distruzione dei mate Âriali se li ritiene irrilevanti; e salta agli occhi l’inadeguato contraddittorio; sparita la prova, l’eventuale errore di Âventa irreparabile. Tale risulta l’attua Âle disciplina, facilmente diagnostica-bile fuori da sedicenti verità dogmati Âche. Teoria delle fonti, ermeneutica, sintassi contano ancora qualcosa, fin Âché duri l’ormai anomala sopravvi Âvenza. Risolta la questione tecnica, va det Âto qualcosa sullo sfondo ideologico. Corrono vecchie nomenclature: la persona del Presidente è inviolabile; cade l’ aggettivo ” sacra” , pudicamente omesso, ma persiste l’idea; spira pani Âco religioso nel preteso obbligo d’in Âterrompere l’ascolto appena risuoni la Voce. Carismi, «guarentigie », immu Ânità , segreto significano arcigna «ra Âgion di Stato » (titolo d’un libro del ris Âsoso gesuita politologo, dimesso dalla Compagnia, Giovanni Botero, Vene Âzia, 1589). Novantun anni prima che Carlo Alb erto promulghi lo Statuto, lu Ânedì 28 marzo 1757, dopo le 15, ora ca Ânonica delle feste patibolari, in piace de Grève ne va in scena una fuori pro Âgramma da 147 anni: un regicida che sei cavalli non riescono a squartare, previ attanagliamenti, ustioni sulfu Âree, taglio della mano, ma chiamarlo regicida è gonfia metafora; Robert ÂFrancois-Damiens aveva lievemente punto LuigiXV, detto l’Amatissimo, at Âto simbolico; voleva ammonirlo; ed è un mattoide dal sangue bollente (quando gli sale alla testa, se ne fa ca Âvare). Roba futile se il corpo del re non fosse santo: Robert-Francois sputa l’a Ânima dopo due ore d’uno scempio sul quale Casanova chiude gli occhi inor Âridito. Non sono più tempi da squarta-mento a trazione equina ma l’enfasi intimidatoria batte senza tregua, quando sarebbe raccomandabile una sobria ragione laica. Per conto terzi Messa come la dice il vicepresidente del Csm Michele Vietti al Fatto, pare una norma ragionevole: “La priorità è tutelare àsoggetti terzi che vengono intercettati, ma si trovano fuori dal processo… Trovare una misura che, a un certo punto dell’iter d’indagine, obblighi a tutelare i soggetti terzi, senza intaccare né le indagini né la possibilità di pubblicare gli atti riguardanti un procedimento (la famosa “udienza filtro” davanti al gip, in cui pm e avvocati difensori si accordano per la distruzione di tutto il materiale che coinvolge persone non indagate, ndr)… Almeno si trovi il modo di far uscire di scena subito chi non c’entra”. Si dirà : se uno non c’entra, perché dovrebbe finire sui giornali accanto a chi c’entra? Insomma, pare che lorsignori abbiano trovato un ottimo argomento per far digerire il nuovo bavaglio all’opinione pubblica (i partiti non c’è bisogno di convincerli, specie ora che li spalleggia pure Napolitano). Peccato che quell’argomento nasconda il trucco, come dicevano fino a pochi mesi fa Anm, Csm, giornali e partiti di centro e di centrosinistra contro il bavaglio Alfano, che già prevedeva il “lodo Vietti” (“È sempre vietata la trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini. Il tribunale dispone che i nomi o i riferimenti identificativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni”). Oggi si sono scordati tutto. Vediamo cosa accadrebbe se il bavaglio bipartisan “ad Quirinalem” diventasse legge. Si fa presto a dire “terzi”. Chi sarebbero i soggetti “terzi” da tutelare? Tutti i non indagati o solo le persone che non c’entrano nulla con vicende di cui si indaga, ma si ritrovano intercettate casualmente sul telefono della persona coinvolta e intercettata? la categoria dei “non indagati” è troppo vasta: comprende anche i “non ancora indagati”, cioè le persone coinvolte in una vicenda su cui si indaga, e magari intercettate (si possono intercettare anche i non indagati), sulle quali non gravano ancora sufficienti indizi per poterle indagare, ma magari alla fine delle intercettazioni si deciderà di indagarle proprio grazie alle prove raccolte dalle intercettazioni o da altre attività investigative in corso. Tipo Mancino: non era indagato quando i magistrati di Palermo iniziarono a intercettarlo, poi dichiarò sotto giuramento in tribunale di non aver saputo nulla dei colloqui fra il Ros e Ciancimino, ma fu smentito da Martelli e alla fine fu inquisito per falsa testimonianza. Intanto aveva parlato otto volte con D’Ambrosio e due volte con Napolitano per chiedere aiuto al Quirinale contro i pm di Palermo. Leviamo di mezzo quelle con Napolitano che i pm hanno già ritenuto irrilevanti e, se la difesa di Mancino non ha nulla in contrario, il gip distruggerà al termine dell’apposita udienza (salvo che la Consulta non dia ragione al conflitto del Quirinale, nel qual caso i difensori non avranno più alcuna voce in capitolo, con tanti saluti al contraddittorio). Se fosse già in vigore il nuovo bavaglio, che dovrebbero fare i giudici? Distruggere o segretare tutte le telefonate di Mancino, anche quelle con D’Ambrosio che i pm ritengono rilevanti per le parole di Mancino, in quanto Mancino fu intercettato quando non era ancora indagato, ma mentre parlava con D’Ambrosio di come inquinare le prove e ostacolare il processo? Oppure solo quelle con Napolitano? Nel primo caso, una legge che lo prevede     se sarebbe assurda, visto che il Codice di Omissis intermittenti. Seconda questione: i pm ritengono rilevanti le telefonate Mancino-D’Ambrosio per quel che dice Mancino, non per quel che dice D’Ambrosio (interrogato e non indagato). Il che sì fa per tutelare il “ter Âzo” D’Ambrosio salvando le parole di Mancino? Si distruggono solo quelle di D’Ambrosio? E come? Si fa il ta Âglia e cuci delle bobine montan Âdo solo la voce di Mancino, tra Âsformando il dialogo in monolo Âgo, così non si capisce più nulla? A pag. 3 abbiamo provato a sal Âvaguardare il “terzo” D’Ambro Âsio coprendo di omissis le sue pa Ârole con Mancino: l’informazio Âne diventa enigma, sciarada, re Âbus. Comicità pura. Il penale e il politico. In realtà , per tutelare ì soggetti terzi, già bastano e avanzano le leggi esi Âstenti. Se un’intercettazione è to Âtalmente irrilevante, il giudice, sentite le parti, la distrugge ed è morta lì. Se invece è rilevante, è inevitabile che uno dei due inter Âlocutori sia un “terzo”. Ma, se il terzo è un quivis de populo, la con Âversazione non interessa a nessu Âno e nessun giornale la pubblica. Se Mancino chiama il macellaio per ordinare un chilo di bistec Âche, i giornali se ne infischiano. Ma, se per sbaglio o stupidità ci Âtano anche le bistecche, il macel Âlaio non subisce alcun danno. Se poi si sente leso nella privacy o nella reputazione perché parlava anche di malattie o della sua amante, ha già tutti gli strumenti (il Codice della privacy e le nor Âme sulla diffamazione) per avere giustizia. Ma non è certo per tu Âtelare i macellai che i politici vo Âgliono il bavaglio: è per tutelare se stessi e gli altri personaggi pubblici beccati al telefono con fior di farabutti. In questi casi, an Âche se le loro parole sono penal Âmente irrilevanti, posson essere rilevantissime dal punto di vista politico, etico, deontologico, di Âsciplinare. E il cittadino ha il sa Âcrosanto diritto di conoscerle. All’insaputa del popolo italia Âno. La Giustizia è amministrata “in nome del popolo italiano”, che deve poterne controllare il corretto funzionamento nella massima trasparenza. Così i ma Âgistrati pavidi o pigri o collusi o corrotti, che invece di indagare un potente lo considerano “sog Âgetto “terzo” per non disturbare il manovratore, finiscono sputta Ânati sulla stampa, che dimostra, intercettazioni alla mano, come quel “terzo” dovrebbe essere in Âdagato. Invece la distruzione del Âle intercettazioni dei “terzi” con Âsentirà ai magistrati insabbiatori eterna licenza di insabbiamento. “All’insaputa del popolo italia Âno”. Non solo: all’udienza filtro sono presenti il gip, i pm, gli av Âvocati, i cancellieri: i quali sanno dell’esistenza di una telefonata fra Tizio e Caio e l’ascoltano pri Âma che venga distrutta. Dunque, soprattutto gli avvocati che non sono tenuti al segreto d’ufficio, potrebbero raccontare in giro che quella telefonata c’era. E ma Âgari ricattare gli interessati per non divulgarla. O minacciare ri Âvelazioni false o lanciare allusio Âni infamanti su Caio intercettato indirettamente, che davvero non ha detto nulla di male, ma non può più dimostrare la propria correttezza perché i nastri sono scomparsi, e dunque finisce in quel “tritacarne mediatico” che gli autori del bavaglio dicono di volergli risparmiare. Benedette intercettazioni. Se un “terzo” estraneo alle indagini non dice e non fa nulla di male, la pubblicazione delle sue parole dimostra che s’è comportato bene. Nell’inchiesta Abu Omar, lo 007 del Sismi Marco Mancini tentò di salvarsi dai magistrati raccomandan Âdosi a Cossiga e Scalfaro. Cossiga si mobilitò subito attaccando e denunciando a Brescia i pm Po Âmarici e Spataro che indagavano sul sequestro. Scalfaro invece non mosse un dito (diversamen Âte dal suo successore Napolitano con Mancino): anzi, suggerì a Mancini di rivolgersi ai pm. Infat Âti non si lamentò dell’uscita delle telefonate: si era comportato da uomo di Stato. Altro caso: nell’in Âchiesta campana sui coniugi Mastella, emergeva un concorso truccato per l’assunzione di geologi in un consorzio, vinto da so Âmari raccomandati, grazie all’e ÂsclUsione truffaldina del candi Âdato che era risultato il migliore all’esame: Vittorio Emanuele Ier Âvolino. Il quale non solo non era indagato, ma addirittura vittima. La sua vicenda finì nelle intercet Âtazioni e sui giornali. Lui ne fu fe Âlice: tutti seppero che era il più bravo. E subito ricevette offerte di lavoro da aziende private. Prova su strada. A fine luglio 2005 il gip Forleo sequestra le plusvalenze dei furbetti del quar Âtierino impegnati nella scalata il Âlegale della Popolare di Lodi al Âl’Antonveneta, intrecciata con quella dell’Unipol alla Bnl e di Ri Âcucci alla Rcs sotto l’alta prote Âzione del governatore di Banki Âtalia Antonio Fazio. Che però, di Âversamente da Fiorani e dagli al Âtri furbetti, non è ancora indaga Âto (lo sarà ufficialmente solo a fi Âne settembre e poco dopo si di Âmetterà ). Ma la figura centrale è proprio Fazio, che rivela a Fiora Âni in anteprima di aver firmato il via libera alla scalata e gli dice di andarlo a trovare in Bankitalia “passando dal retro”. Lo scanda Âlo principale sono proprio i rap Âporti intimi fra controllore e con Âtrollato. Se il bavaglio fosse stato già in vigore, non avremmo sapu Âto nulla per mesi del ruolo di Fazio, che invece dovette dimetter Âsi proprio perché da fine luglio autorità politiche nazionali e fi Ânanziarie internazionali lo giudi Âcarono incompatibile col suo ruolo di sorveglianza. Idem per Calciopoli: le intercettazioni di Moggi & C. coinvolsero un nugo Âlo di giornalisti asserviti alla cu Âpoletta: da Biscardi a Damascelli, da Melli a Sposini, a vari uomini Rai, poi sanzionati dall’Ordine. Col bavaglio in vigore, nessuna sanzione disciplinare sarebbe stata possibile: le telefonate dei giornalisti, penalmente irrilevanti, sarebbero andate distrut Âte. Poi ci sono gli infiniti casi di intercettazioni indirette che han Âno coinvolto B. sui telefoni di Saccà , Cuffaro, Innocenzi, e 01- gettine varie. Pagare ragazze maggiorenni in cambio di sesso non è reato: ma, per un premier che per giunta sfila al Family Day, è un’indecenza: tutto distrutto. Idem per le manovre per piazza Âre le sue favorite alla Rai tramite produttori compiacenti: come se gli abbonati Rai non avessero diritto di sapere come vengono spesi i soldi del canone. Caso P3: emerge che almeno cin Âque giudici della Corte costituzionale anticiparono il loro ver Âdetto favorevole al lodo Alfano al faccendiere Pasqualino Lombar Âdi, legatissimo a vari alti magi Âstrati: siccome questi non sono reati, il bavaglio avrebbe impo Âsto di bruciare tutto. Come se i cittadini non dovessero cono Âscere le deviazioni dei massimi presìdi di legalità . Scandalo Bisi Âgnani: a parte i reati contestati al faccendiere della P2 e della P4, emerge una fittissima rete di rap Âporti ambigui e scambi di favori con politici, affaristi, imprendi Âtori, giornalisti, manager pubbli Âci e privati, che sono illeciti in tutti i paesi d’Europa fuorché in Italia, dove ancora non è reato il traffico d’influenze e chi lo com Âmette rientra nella platea dei “terzi” di cui parla Vietti: il bava Âglio avrebbe cancellato tutto. In Âfine, l’inchiesta sulla cricca della Protezione civile: Pierfrancesco Gagliardi, l’imprenditore che sghignazzava al telefono con Francesco De Vito Piscicelli la notte del terremoto de L’Aquila, pronto a tuffarsi nel business del Âla ricostruzione (“qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto al giorno”), all’inizio non era indagato: col bavaglio già in vigore, nessuno avrebbe potuto pubblicare le sue parole. Più che a favore dei terzi, è un bavaglio per conto terzi. Blair: è l’ora di un grande accordo Non invidio gli attuali leader europei per i loro compiti. Negli ultimi 60 anni, l’Europa si è sviluppata nella più grande unione politica e nel più vasto mercato economico che il mondo abbia mai visto. Mantenerla è una responsabilità enorme. Questa per l’Europa è una crisi esistenziale. Il difetto di progettazione dell’euro ormai è evidente. Era un’idea davvero giusta all’inizio – fondersi in un mercato unico con una moneta unica –, ma il modo in cui è stata messa in pratica, e la velocità a cui le nazioni vi sono arrivate, ha fatto sì che questo progetto sia stato guidato dalla politica, ma si sia realizzato nell’economia (la Gran Bretagna aveva sì dei dubbi politici, ma se ne tirò fuori principalmente per ragioni economiche). Ora la politica e l’aritmetica sono in conflitto. Per la Germania il dilemma è profondo. Perdere l’euro adesso sarebbe un disastro: anche economicamente, non solo politicamente. Dall’altro lato, «salvare » l’unione monetaria vuol dire chiedere alla Germania di immettere liquidità , sovraccaricare la propria economia e pagare i debiti delle nazioni che non hanno intrapreso le riforme necessarie. Non è una sorpresa che i tedeschi non siano disposti a farlo. La politica dell’Europa è quindi sospesa in equilibrio tra coloro che propongono tagli severi e riforme dolorose, e altri che offrono stimoli per la crescita senza nessuna riforma. Eppure è chiaro che per mettere in atto delle riforme è necessaria una crescita, altrimenti l’intera Unione Europea si troverebbe in una discesa a spirale fatta di disoccupazione crescente, crescita negativa, ricavi fiscali minori e tagli alla spesa più drastici, che a loro volta danneggerebbero la crescita. Io non so quali saranno le conseguenze sociali della disoccupazione giovanile del 50% in Spagna, ma ho il sospetto che se si radica, i giovani spagnoli diventeranno pericolosi. È anche chiaro comunque che se non si attuano i difficili, ma da tempo necessari, cambiamenti in questioni come i mercati interni del lavoro, i provvedimenti del welfare e i sistemi pensionistici statali – proprio i cambiamenti che la Germania ha attuato negli ultimi due decenni – una politica fiscale a sostegno della crescita sarà insostenibile e l’Europa diventerà sempre meno competitiva. Al momento sembra che passo dopo passo la Germania si stia muovendo verso ciò che gli viene chiesto di fare, anche se con riluttanza, mentre il resto dell’Europa segue vagamente una strada verso le riforme. Quindi, nonostante gli sforzi enormi dei leader, tedeschi in particolare, il risultato è che non è credibile né l’impegno tedesco per salvare l’euro né quello di altri per attuare delle riforme. Di conseguenza sui mercati continua la speculazione, e il prezzo per salvare l’euro aumenta ogni giorno. Il denaro a basso prezzo della Banca Centrale Europea all’inizio dell’anno ha permesso al settore finanziario di guadagnare tempo, come anche l’importante decisione di aiutare direttamente le banche spagnole. Ma il pericolo è che siamo sempre due mesi indietro sull’ andamento. Ciò di cui l’Europa ha bisogno adesso è un «Grande Accordo » in cui vengano prese tutte le decisioni necessarie a dare solide basi all’Euro. La Germania deve concedere qualche forma di mutualizzazione del debito – per esempio, come suggerito dal Consiglio degli Esperti Economici tedesco – segnalando allo stesso tempo e poi attuando gli incentivi fiscali. Le nazioni in debito devono accettare di fare riforme, e farle attraverso programmi precisi, credibili e puntuali. Deve essere comunicato alle banche un piano appropriato – anche se potenzialmente doloroso – per ripulire i bilanci, insieme alla certezza di riforme a lungo termine sulla politica bancaria e fiscale. Questi cambiamenti porteranno inevitabilmente una richiesta di riforme delle istituzioni europee e si dovrebbe concordare un piano chiaro per giungervi. La miglior cosa da fare ora è spingere tutti a prendere le grandi decisioni e a prenderle insieme. Abbiamo bisogno di politiche per la crescita, la riforma e l’unità . Per questa generazione di leader politici, siamo abituati a crisi periodiche che in qualche modo alla fine si risolvono da sole. Questa crisi è diversa. È una nuova esperienza per noi, e il paragone più vicino risale agli Anni Trenta. Tutte le scelte sono cattive, ma la meno cattiva per l’Europa, e per la Germania in particolare, è salvare l’euro. Tony Blair è ex Primo Ministro della Gran Bretagna e un membro del Consiglio per il futuro dell’Europa del «Nicolas Berggruen Institute » Copyright Global Viewpoint Network, distribuito da Tribune Media Service Traduzione di Clara Colombatto Letto 1656 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||