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Bombardare la Libia

26 Aprile 2011

L’Italia è una nazione, come ci dice la Storia, che non finisce mai la guerra dalla parte da cui l’ha cominciata. Ci deve essere qualcosa nel dna che si è alterato dopo i fasti della antica Roma. Troppa potenza allora, troppa saggezza e tutto deve essersi consumato per sempre.
Oggi il   nostro dna è acquoso, di poca sostanza.

Quando ho appreso la notizia che ora anche il nostro Paese ha deciso di bombardare la Libia, naturalmente con la premessa di rito che i nostri bombardamenti saranno mirati e quindi indolori per la popolazione, mi è venuta in mente l’ultima guerra. Anche allora aspettammo un po’ prima di prendervi parte. Mussolini titubava, ma poi quando vide che la Germania faceva sul serio e vinceva, ruppe ogni esitazione e che cosa fece? Fece schierare le truppe sul confine francese, dove i soldati d’oltralpe erano ormai stati piegati dai tedeschi ed erano arrivati vicino alla capitolazione.
Che vergogna, ogni volta che ci ripenso, e ritengo che il disprezzo verso di noi dei francesi tragga motivo anche da quel fatto ignobile.

Con la Libia avevamo stretto un patto, rinnovato con la visita di Gheddafi a Roma. Direte: ma Gheddafi è un tiranno. Ma quanti patti si fanno con i tiranni! E con Assad quante potenze straniere hanno un patto? E perché con Assad che in Siria sta stroncando la rivolta in un bagno di sangue, l’Occidente resta a guardare?

In Libia la guerra è scoppiata non perché Gheddafi affogava i concittadini in un bagno di sangue, ma per vili interessi economici e commerciali che stavano a cuore ai francesi. Quella guerra è stata sobillata da Sarkosy, appoggiato da Cameron e da Obama.

È per colpa loro che in Libia si è aperta una guerra civile tra i libici che si schierano con Gheddafi e quelli che si schierano con gli insorti. La Libia non ha invaso alcun Stato confinante, come avvenne per l’Iraq.
Ma Sarkosy insiste. E lo si accontenta.

Con ciò replicando l’atto vergognoso e vile del 1940. Nel momento in cui Tripoli è sotto una cascata di bombe “intelligenti” che fanno vittime civili, l’Italia, come successe allora con i francesi moribondi, decide un’operazione che a definirla macabra equivale ad usare una delicatezza.

Quando si fa un patto significa che si conosce il contraente, e quando qualcosa (Gheddafi non aveva mancato al patto) ci induce ad un ripensamento non è certo con lo sganciare le bombe sulle sue città, per far felici i francesi, che ci si comporta da grande potenza.
Oggi Il Tempo intitola con entusiasmo: «Berlusconi torna tra i Grandi. “Ora bombardiamo Gheddafi” ».
Non mi pare affatto che torniamo tra i grandi; torniamo casomai a confermare la nostra tendenza iscritta nel dna a non mantenere le nostre alleanze.

Eppure bastava non farsi trascinare nei bombardamenti; limitarsi ad un sostegno umanitario rivolto ad entrambe le parti in conflitto. Il patto stipulato con Gheddafi sarebbe stata una più che legittima e onorevole giustificazione. L’Italia non mantiene mai la parola data. Sarebbe stata questa una inversione di rotta. Berlusconi non ne è stato capace. Vuol cambiare l’Italia, ma su questo punto preserva una delle nostre qualità peggiori.

Per essere annoverati tra i grandi non serve partecipare alla guerra civile libica schierandosi con una delle parti. Non serve mostrare l’efficienza dei nostri arsenali militari.
Oggi essere grandi significa essere una potenza economica, piuttosto che una potenza militare. Guardate la Germania. Quando era una potenza militare, ma una potenza coi fiocchi, perse la guerra e fu distrutta. Oggi si impone al mondo, indistruttibile, grazie alla sua potenza economica. Il basso profilo tenuto nei riguardi della guerra libica dimostra che la Germania ha tratto una appropriata lezione dal nazismo.

Noi invece siamo rimasti a Mussolini. Mostriamo i muscoli, incuranti se siano o meno flaccidi. E i nostri sono proprio flaccidi,   allo stesso modo che lo erano gli aeroplani che il fascismo faceva volare da un aeroporto all’altro affinché Hitler si convincesse che eravamo una nazione potente.


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Bart