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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: GORBACIOF

3 Dicembre 2010

di Francesco Improta

                                       Regia – Stefano Incerti
                                       Cast – Toni Servillo; Yang Mi; Geppy Gleijses; Nello Mascia
                                       Italia   2010
                                       Lucky Red distribuzione

Marino Pacileo, cassiere del carcere di Poggioreale, detto Gorbaciof per una vistosa voglia in fronte, ha il vizio del gioco e un sentimento, tenero ma profondo, nei confronti della figlia del titolare di un ristorante cinese, nel cui retrobottega ogni sera si gioca a poker. Quando scopre che l’uomo ha con ­tratto un debito che non può pagare, Gorbaciof decide di prendersi cura della ragazza e, per farlo, dapprima sottrae dei soldi dalla cassa del carcere poi accetta di partecipare ad altre e più pericolose attività.

Questa la trama di uno dei film più interessanti della stagione, presentato a Venezia fuori concorso e selezionato per il festival di Toronto.
Va subito detto che l’interpretazione di Toni Servillo è di altissimo livello; del resto tutti, critici, addetti ai lavori e spettatori, lo considerano attualmente il mi ­gliore attore italiano e tra i primi nel mondo, anche perché quella generazione di mostri sacri del cinema americano (De Niro; Pacino; Nicholson, per intenderci)  è ormai alla frutta o quasi. In questo caso poi il regista Stefano Incerti, ha costruito tutto il film su Servillo, cogliendone  le molteplici sfumature, gli ammic ­camenti, le mosse, i tic. La macchina da presa gli sta perennemente addosso, lo bracca, lo fruga, lo accarezza… sembra fare l’amore con lui. Si pensi alla sua andatura un po’ caracollante, alle smorfie clownesche nella metropolitana, al sorriso ingenuo e disarmato quando è in compagnia della cinesina e soprattutto a quegli occhi assetati di azzurro su cui si chiude il film. E’ la storia di un vinto in cerca di un impossibile riscatto; l’aereo a cui aveva affidato le sue speranze si alzerà in volo da Capodichino senza di lui. La trama è alquanto esile e abba ­stanza scontata, ma io da tempo ritengo che non ci sia più nulla di originale da dire o da fare, in quanto tutto è stato già fatto e detto, quel che conta, quindi, è dire ciò che si vede, ciò che si pensa o ciò in cui si crede in modo originale, stilisticamente originale (Francesco Biamonti è un grandissimo scrittore non perché abbia parlato di un mondo di macerie o di una civiltà allo sbando, di cui molti prima di lui avevano già parlato, ma per il modo in cui l’ha detto, per le parole evocative che ha adoperato, per le immagini poetiche che è riuscito a creare) pertanto, tornando al film, il merito di Incerti è di aver descritto il sottobosco napoletano, e di qualsiasi altra metropoli, in maniera diretta, scarna, senza toni pietistici o retorici, spogliando oltretutto la narrazione di tutti gli orpelli decorativi, scarnificandola, riducendo al minimo i dialoghi, privilegiando la mimica dei personaggi, gli sguardi, quella carta topografica che è il volto di Servillo, e la musica che talvolta è in sintonia (accompagnando e sottolineando le azioni) e altre volte è dissonante, quasi in contrasto con ciò che accade sullo schermo. Bellissima la contrapposizione tra la violenza del contesto e dello stesso protagonista con la dolcezza e la tenerezza di una storia d’amore che ha la leggerezza e la trasparenza di un sogno adolescenziale ed altrettanto bella è la scelta di una Napoli non oleografica né nel bene né nel male. Mancano, cioè, gli abituali stereotipi e se non fosse per un’unica inquadratura in campo lungo in cui si vede il carcere di Poggioreale con il centro direzionale alle spalle, si po ­trebbe pensare a qualsiasi città degradata e ferita nel corpo e nello spirito.


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2 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 3 Dicembre 2010 @ 14:05

    La trama è alquanto esile e abba ­stanza scontata, ma io da tempo ritengo che non ci sia più nulla di originale da dire o da fare, in quanto tutto è stato già fatto e detto, quel che conta, quindi, è dire ciò che si vede, ciò che si pensa o ciò in cui si crede in modo originale, stilisticamente originale (Francesco Biamonti è un grandissimo scrittore non perché abbia parlato di un mondo di macerie o di una civiltà allo sbando, di cui molti prima di lui avevano già parlato, ma per il modo in cui l’ha detto, per le parole evocative che ha adoperato, per le immagini che è riuscito a creare….

    Questa è una di quelle affermazioni/intuizioni che andrebbero affisse alla porta di qualunque chiesa letteraria, sia essa una casa editoriale, un meeting con scrittori, la presentazione di un libro, un’antologia degli anni zero.

    Solo la re-invenzione del linguaggio ci potrà salvare da un sempre più noioso dejavu

  2. Commento by Giorgio — 15 Dicembre 2010 @ 23:59

    Sì, mi è piaciuto questo film così bene ‘giudicato’ in ogni suo aspetto da questa competente ‘critica’. Qualche riserva, per me, sul ‘finale’ un po’ troppo scontato e ‘pretestuoso’ e sul rapporto con ‘l’ Oriente napoletano’.

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