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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

29 Maggio 2010

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini]

Sono viva

Sono viva
Dino e Filippo Gentili, 2008
Fotografia Vittorio Omodei Zorini
Massimo De Santis, Guido Caprino, Giorgio Colangeli, Marcello Mazzarella, Vlad Toma, Giovanni Mezzogiorno.

Tipiche ambizioni da opera prima italiana. Fare un film da registi è  decisamente diverso che scriverlo. Diciamo un’ovvietà per intenderci: pensate cosa sarebbe un film di Antonioni, per esempio La notte, girato da un altro regista.  I fratelli Gentili, passano alla regìa dopo una sostanziosa esperienza  nella sceneggiatura televisiva (Distretto di Polizia, Un prete tra noi, Capri, La scelta) e cinematografica (tra l’altro, per Roberto Faenza, Alla luce del sole, I giorni dell’abbandono). Sono viva lascia intravedere una base ideativa complessa, filosofica e sociologica, ben allineata con  certe condizioni di vita  attuali –  una difficoltà nel precariato lavorativo e insieme un’    istanza vagamente  spiritualistica volta al ripescaggio di valori interiori. Per non cadere nel didascalico e mantenre invece il racconto sul piano di una metaforizzazione non smaccatamente dichiarata, i registi finiscono però nello sfumare oltre misura i contorni del genere “noir” da cui dichiarano di partire. Affidano  così il senso del film a spunti di una sospensione poetica,  più indicata che realizzata. Dopo pochi minuti di proiezione si percepisce che la chiave interpretativa è in un “mistero” immateriale da scoprirsi man mano. Il trentenne Rocco (De Santis) non ha un lavoro fisso e accetta la proposta di un amico (Mazzarella), di sorvegliare per una notte la villa di un  misterioso  signore (Colangeli),  il quale ha trasformato in camera ardente  la  stanza della sua giovane figlia morta di recente. Cominciata la strana veglia, si moltiplicano ingressi e uscite di altri personaggi di famiglia, in particolare il figlio maschio  del padrone di casa (Caprino) sembra conoscere segreti importanti circa il rapporto suo e  della sorella col padre. Non se ne esce, in quanto gli autori non mollano l’intenzione metaforica, tralasciando la concretezza dei riferimenti. Alla fine, vediamo Rocco decidersi a caricare in macchina il cadavere della ragazza. La trasporta poi a spalla fino in cima ad un colle dove si scopre un vasto panorama. Lì la seppellisce e in quel modo lei potrà dire di continuare ad essere viva. Dev’esservi anche un legame interno con la presenza, poco più che accennata, di un’altra ragazza (Mezzogiorno), dalla quale vediamo svilupparsi appena una certa simpatia verso Rocco. Chissà.

La regina dei castelli di carta

Luftslottet som sprängdes
Daniel Alfredson, 2009
Fotografia Peter  Mokrosinski
Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Annika Hallin, Per Oscarsson, Lena Endre, Peter Andersson, Jacob Ericksson, Sofia Ledarp, Johan Kylén, Tanja Lorentzon, Mirja Turestedt, Anders Ahlbom Rosendahl, Magnus Krepper, Michalis Koutsogiannakis, Niklas Hjulström, Hans Alfredson, Tekla Granlund.

Dopo Uomini che odiano le donne (Niels Arden)  e La ragazza che giocava con il fuoco (Daniel Alfredson), il racconto tratto dal best seller di Stieg Larsson, Millennium, arriva alla conclusione con questo terzo film francamente ridondante e poco emozionante.  Vediamo Lisbeth Salander (Rapace) “resuscitare” – l’avevamo lasciata praticamente ammazzata di botte – e poi lentamente  guarire assistita da un premuroso medico. Seguiamo quindi  la protagonista in tribunale, dove deve rispondere di parricidio. Nel frattempo, custodita in carcere, Lisbeth per difendersi deve dimostrare le violenze del padre sulla madre e su di lei  e anche le violenze  di  un medico pedofilo  che l’ha tenuta legata ad un letto per un anno e sostiene che la ragazza soffra di schizofrenia paranoide («Vive in un modo tutto suo »). Non sarà però  il suo look dark-cyberpunk a impedire all’accusata  di sostenere per sé la tesi di legittima difesa, né varranno i tentativi estremi dei servizi segreti deviati per mettere Lisbeth a tacere. Grazie anche  all’impiego avanzato delle nuove tecnologie (cellulari e computer), il  direttore della rivista Millennium, Mikael Blomkvist (Nyqvist)  e la sua squadra di giornalisti riusciranno a portare in aula  le prove decisive a favore della ragazza. Impareggiabile la smorfia di contenuta soddisfazione e riconoscenza verso il suo salvatore sfoggiata nel finale dalla bravissima Noomi Rapace. Vale molto di più delle lunghe sequenze processuali e dello scontro finale col gigantesco fratellastro  albino, del cui esito  certamente non potevamo dubitare.

Sex and the City 2

Sex and the  City 2
Michael Patrick  King, 2010
Fotografia John    Thomas
Sarah Jessica  Parker, Kim  Cattrall, Kristin  Davis, Cynthia  Nixon, Chris  Noth, David  Eigenberg, Evan  Handler, Jason  Lewis, Mario  Cantone, Willie  Garson, Miley  Cyrus, Penélope  Cruz, Max  Ryan, Liza  Minnelli, Omid  Djalili.

Inseparabili come gli ingredienti di una torta, Carrie (Parker), Samantha (Cattrall), Charlotte (Davis) e Miranda (Nixon) lasciano ancora  la loro scia inconfondibile. Si avvertono i profumi, si notano le impronte delle scarpe, si riconoscono le andature, gli abiti, gli oggetti ora anche vintage. Le gioie, i sogni  e i problemi, per le quattro amiche che insieme forniscono una panoramica a 360 gradi delle possibilità di vita nello scenario invogliante della New York medioalta  ancora attuale, restano più o meno gli stessi, con la piccola ma non trascurabile variante  del tempo  che passa.  Sicché è inevitabile un aggiustamento del target.  L’età  divenendo matura, ogni spunto, ogni battuta, ogni decisione da prendere anche piccola  assume un carattere più decisivo e più che mai le palle vanno prese al balzo.  Non vale certo la pena di soffermarsi più di tanto sulla “storia” del gruppo. Una rapida citazione della data iniziale, 1986, e via sull’onda dell’opportunismo sfrenato e sorridente. Superato con qualche angustia  l’impatto d’un avvio noiosetto (il matrimonio gay  con festa danzante anziana alla quale pare non fosse possibile mancare), le splendide quattro volano ad Abu Dhabi.  C’è uno sceicco nell’immaginario di ogni donna contemporanea. Della crisi mondiale nemmeno l’ombra, figuriamoci.  Come sarà il “nuovo Merioriente” spensierato e vacanziero? Da favola, anche perché  gratis. Soltanto, mentre da noi i comportamenti di Carrie, Charlotte, Miranda e Samantha  non sconvolgono minimamente i passanti,  nei dintorni di Abu Dhabi  le donne portano il velo. Di nascosto, nelle case,  cospirano per  emanciparsi, ma all’esterno comandano ancora  gli uomini. Finirà che, soprattutto a causa dell’estroversione di Samantha, verrà bruscamente interrotta  la vacanza delle  quattro amiche. Potrebbero rimanere nel lussuosissimo albergo dov’erano state invitate. Ma ora pagando. Ed è qui che, consumatasi fino in fondo la sostanza del contenuto, dalla stanchezza del racconto emerge il target, vero protagonista  del film. Sull’etichetta è scritto: “Vorrei ma non posso”.    Le ultime sequenze sono occupate dalla suspense del ritorno. Riusciranno le nostre  donne sognanti  in trasferta  a prendere l’ultimo volo valido in regime “free”, o le vedremo indegnamente sofferenti per il lungo trasferimento in turistica? A fronte di tale possibile catastrofe, cosa volete che sia il matrimonio ricomposto (divano e tv)  di Carrie, o il pianto capriccioso e insistito della bimba di Charlotte?

The Last Station

The last station
Michael Hoffman, 2009
Fotografia Sebastian Edschmid
Helen Mirren (Sofya Tolstoy), Christopher Plummer (Leo Tolstoy), James McAvoy (Valentin Bulgakov), Paul Giamatti (Vladimir Chertkov), Anne-Marie Duff (Sasha Tolstoy)
Roma 2009, concorso. Helen Mirren Marc’Aurelio d’Argento alla migliore  attrice

Dal  best-seller L’ultima stazione di Jay Parini (1990), l’ultima parte della vita di Lev Tolstoj (Plummer), terminata per polmonite nel 1910 alla stazione di Astapovo. Convertito ad una religiosità cristiana utopica, lo scrittore russo (1928-1910)   mette in crisi il potere e la ricchezza della famiglia. Sotto l’influsso del discepolo Chertkov (Giamatti), aderisce al movimento pacifista, si fa povero e vegetariano. E dopo mezzo secolo di matrimonio se ne va da casa, lasciando la moglie. Sofja (Mirren) non ci sta e tenta in tutti i modi di frenare la “deriva” dell’amatissimo marito che vuole lasciare al popolo i diritti delle proprie opere. Fondamentalmente, Hoffman (Un giorno per caso, 1996, Sogno di una notte di mezza estate, 1998, Cani dell’altro mondo, 2003) predilige la storia d’amore tra Lev e Sofja, mettendo in primo piano la bravura dei due attori (impressionante la somiglianza di Plummer col vero Tolstoj), i quali danno dei due personaggi una versione colorita e a tratti bozzettistica. Quasi in parallelo, seguiamo la nascita di un altro amore, tra Valentin Bulgakov (McAvoy), assistente di Tolstoj, e la bella e spregiudicata Masha (Condon). Film “inutile” dal punto di vista del contenuto storico, ma di accettabile fattura nell’ambientazione.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart