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CINEMA: I film visti da Franco Pecori

14 Giugno 2008


[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]

Il resto della notte

Il resto della notte
Francesco Munzi, 2008
Sandra Ceccarelli, Aurélien Recoing, Stefano Cassetti, Laura Vasiliu, Victor Cosma, Constantin Lupescu, Valentina Cervi, Teresa Acerbis,  Susy Laude, Veronica Besa, Bruno Festo, Giovanni Morina, Maurizio Tabani, Simonetta Benozzo.

Ma non c’è resto! Tutto è perfettamente organizzato, la tipicità sfiora l’assoluto. Per certi versi si potrebbe parlare di film “in costume”: i personaggi   vestono ruoli così perfettamente definiti che ciascuno di  essi rimanda ad un precisissimo modello d’attualità socioculturale.  Un ipotetico  punto di vista critico è del tutto assorbito dal rapporto “intimo”,  al limite dell’  “incestuoso”, della regia  con il contenuto, a partire dalla sostanza e andando alla forma. Quanto all’espressione, sia forma che sostanza restano in un recinto rassicurante, lontano da ogni rischio. Al dunque, difficile – per non dire impossibile – assumere, da parte dello spettatore,  una posizione di dubbio,  diversa da quella suggerita/stabilita dalla sceneggiatura e dai volti/gesti/comportamenti (persino pause e sospiri) dei protagonisti. Il tema? La borghesia del Nord italiano  e il rapporto con gli stranieri immigrati clandestini, romeni guarda caso; le difficoltà anche interne ai due strati/ambiti sociali (la droga per esempio, e il contrasto tra generazioni – padri e figli)  si ripetono e si riflettono le une sulle altre, proprio come ciascuno se le immagina già da casa. Gli attori rispondono con dignità e compostezza al compito. Il piano dell’azione cede il passo, spesso e volentieri, all’oggettivazione della “sofferenza” e, più in generale, della difficoltà dei singoli tipi ad articolare una dialettica non situazionale. Applaudito a Cannes 2008  (Quinzaine des realizateurs). Preannunciato con Saimir,  a Venezia 2004 (Orizzonti).

E venne il giorno

The Happening
M. Night Shyamalan, 2008
Mark Wahlberg, Zooey Deschanel, John Leguizamo, Ashlyn Sanchez, Spencer Breslin,  Robert Bailey, Betty Buckley, Tony Devon, Frank Collison, Victoria Clark, Jeremy Strong, Stéphane Debac.

Il cammino di Shyamalan (Signs, The Village, Lady in the wather) è talmente unidirezionale nella sua vaghezza da rendere poco misterioso il mistero, la misteriosa necessità degli umani di  dover contare sull’amore, l’amore che unisce e che pulisce, per fronteggiare i problemi del mondo. Via gli egoismi e i sospetti,  il futuro tornerà ad esserci amico solo se sapremo recuperare  il tesoro che è  dentro di noi. Non dovremo arrenderci alla minaccia, dovremo invece cercare di comprenderla, con l’aiuto della scienza e soprattutto  non perdendo  la fiducia nella continuità della vita. Ciò che accade sin dalla prima sequenza al Central Park di New York fa pensare subito all’attacco terroristico, ma presto la paura convenzionale si va decostruendo e lascia il posto ad un senso di sgomento profondo di fronte allo spettacolo di tragico autolesionismo che le persone offrono alle altre persone, in una catena di suicidi che sembra non doversi più arrestare. Di città in città,  a Philadelphia e in Pensylvania uomini e donne, misteriosamente, si arrestano,  cadono come in una depressione fatale e cercano la morte. Il mistero cresce in progressione finché il protagonista, Elliot (Wahlberg), insegnante di scienze, non intuisce che la minaccia viene dalle piante e da una tossina che da esse si scatena contro l’umanità, per una reazione naturale al comportamento dell’umanità verso la natura. Dal mistero si passa alla fuga disperata,  alla ricerca di un  rifugio e di una  salvezza.  Dalle grandi città  si passa ai  centri sempre più piccoli mentre il numero dei morti cresce e ogni direzione sembra non essere quella giusta. Infatti la direzione giusta è interiore. La natura si placherà improvvisamente quando Elliot e la sua compagna, Alma (Deschanel), mostreranno di ritrovare l’armonia che tra loro sembrava essersi persa. E a loro chiede aiuto anche Jess (Sanchez), la figlioletta di  Julian (Leguizamo), collega di Elliot, dopo che il padre  è caduto  vittima della tossina. Rinasce una famiglia e come se non bastasse, Alma,  a conclusione  dell’happening – sono passati tre mesi dagli orribili eventi – comunica al proprio uomo di  essere incinta. Il film ha i suoi momenti migliori finché la curva dell’angoscia è in salita e la sorte dei protagonisti non risulta esplicitamente legata al disegno morale. Si resta in ambito hitchcockiano (Gli uccelli, 1963)  e si ritrova l’antagonismo fatale Uomo-Natura, ma per il lato inverso rispetto all’antica Guerra dei mondi (Byron Haskin, 1953), quando furono proprio i batteri a salvare l’umanità dai marziani. Nulla comunque sembra definitivo. Nell’ultima inquadratura, nubi nere avanzano all’orizzonte, segno di un clima tutt’altro che amico.  E una vaghezza s’impossessa nuovamente dei passanti.

Noi due sconosciuti

Things we lost in the fire
Susanne Bier, 2007
Halle Berry, Benicio Del Toro, David Duchovny, Alexis Llewellyn, Micah Berry, John Carroll Lynch, Alison Lohman, Robin Weigert, Omar Benson Miller, Paula Newsome, Sarah Dibrovsky, Mauree Thomas, Patricia Harras.

Se l’aggettivo sentimentale non avesse, nella lista dei generi cinematografici, una  spiccata e  consolidata connotazione novecentesca  di film d’amore non tanto profondo e piuttosto sdolcinato, verrebbe da utilizzarlo per questa  prima regia americana della danese Bier (Open Hearts, Non desiderare la donna d’altri, Dopo il matrimonio) – scuola Von Trier,  ora “liberata” dal Dogma. Ma cediamo alla tentazione, perché i sentimenti sono la vera sostanza del racconto, elaborato su parametri psicologici, certo non insoliti nel cinema della Bier,  stavolta però  a distanza ancor più ravvicinata, se così si può dire, rispetto alla materia fisica quale si offre alla cinepresa. Il carattere più originale della regia sta nel modo di catturare i personaggi all’interno della loro azione, rispettandoli come materiale profilmico tecnicamente inteso.  Così la bravura degli attori (Berry/Del Toro coppia perfetta quanto inedita e inattesa, specie se pensiamo all’attrice in film come X-Men) si scioglie nelle inquadrature e nel montaggio, smemorata delle valenze teatrali pur contenute nella sceggiatura. Si capisce che per sentimenti s’intende – lo intende Bier – il complessivo rapporto del dare/avere che la vita delle persone consuma a contatto con gli “incidenti” quotidiani,  il respiro e la cadenza dei quali possono anche mutare drasticamente all’improvviso. Bier non cerca  “effetti”, lascia piuttosto che siano trasparenti gli incontri del suo  sguardo con i dettagli dell’inquadratura, in una successione non sempre lineare e tuttavia continua nell’intensità della ricerca. La vicenda di Audrey (Berry) e Jerry (Del Toro)  sarebbe riassumibile sotto il tema banale  di una dolorosa elaborazione del lutto per la perdita (improvvisa) di Brian (Duchovny), marito di lei e migliore amico di lui se il procedere per dettagli non conferisse al racconto una carica di suspence tale da  portare in primo piano aspetti non riducibili a “trama”  facendone l’essenza del film. Ne deriva la qualità suggestiva dei caratteri, di Jerry, eroinomane sul filo di un esistenzialismo ultramoderno, e di Audrey, tagliata nell’amore e catturata dalla drammatica novità dei suoi due bambini rimasti senza padre: due caratteri da cui nasce una terza dimensione, tutta da scoprire nella sua umanità, nella sua   specifica prospettiva, che la regista riesce a non tradurre in simbolo, lasciando che il film bruci il proprio fuoco espressivo in piena autonomia. Presentato alla Festa del cinema di Roma 2007, nella sezione Première.

 


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1 commento

  1. Pingback by Halle Berry Celebrity Gossip | CINEMA: I film visti da Franco Pecori — 16 Giugno 2008 @ 06:36

    […] [ Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di V … Source: CINEMA: I film visti da Franco Pecori […]

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