LETTERATURA: INCIPIT: Vasile Andru: “Uccelli del cielo”, Controluce (2008)
14 Giugno 2008
Traduzione e cura di Mauro Barindi
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SANDU TARIVERDE SI SVEGLIA
Mattina. Il sole penetra attraverso una fenditura nella parete. Un uomo dorme per terra. Muove una mano. Apre gli occhi. Guarda il soffitto ricoperto d’oro e solcato da tre crepe. L’uomo tenta di riprendere sonno, si tira fin sopra gli occhi la coperta lacera. Il sonno, però, se ne è andato. Getta la coper Âta.
Si strofina gli occhi. Si schiarisce la gola con un rantolo.
È Sandu Tariverde. In caftano e a piedi nudi. Sembra un nobilotto scalcinato, un padrone senza servi. Un nobile della storia valacca, periferica. Si mette seduto alla turca, appog Âgiato alla parete.
Si nota il suo viso giovane e raggrinzito: vi si scorgono già i segni precoci della catastrofe. La barba è incolta, grigia. I capelli sono radi, la calvizie avanza dalla fronte verso il cen Âtro. La pelle della faccia è coperta di macchie rosse, di graffi. Solchi agli occhi e zampe di gallina. Segni di ore sottratte al sonno, di ore dedicate all’alcol.
Ebbene, in questo rudere di casa si trova un rudere d’uo Âmo. Due rovine, così sembravano a prima vista, la casa e l’uo Âmo. Tuttavia la realtà è un’altra. La casa è solida, ma ne è stata ordinata la demolizione. E il rudere umano nasconde anch’es Âso una vitalità autentica, ossia senza scopo. Veste un caftano cencioso, è in tenuta da casa. Si è svegliato, riprende coscien Âza della sua vita e del suo mondo.
È maggio. È una primavera mediocre, ma promettente. L’inverno è alle spalle e Sandu Tariverde ne è uscito vivo. Senza fuoco, senza prestigio sociale, ma vivo.
Nella villa non c’è più fuoco. Hanno smontato la stufa, di cui è stata recuperata la ceramica con decorazioni mitologiche e sulla parete si nota la spaccatura annerita.
Le notti sono fredde, Sandu Tariverde dorme vestito nel caftano color porpora. Gli è capitata a fagiolo questa vesta Âglia, che ha trovato proprio qui, nel mucchio di vestiti usati, di cui si era sbarazzato l’ex proprietario, l’ingegnere Doman. Sempre dagli stracci buttati dall’ex proprietario ha recupera Âto anche il berretto bianco. Solo la coperta bucherellata è sua: intima, antica, il suo bagaglio di nomade.
Sandu Tariverde si alza dal giaciglio, muove qualche passo. Si stiracchia.
Si avvicina a uno squarcio rettangolare che, un tempo, era una finestra.
Contempla la casa. Mattoni. Muri resistenti e slabbrati. “Avranno una bella gatta da pelare quelli là delle demolizio Âni!” dice fra sé. “Neanche con la dinamite riusciranno a but Âtarla giù! Muri fatti per resistere centinaia d’anni come solo i nostri vecchi sapevano costruire!”
“La casa è il corpo”, borbotta. “Come in un sogno alluci Ânante, una casa in macerie preannuncia le macerie del corpo. La rovina della casa, tanto in sogno come nella veglia, annun Âcia il crollo dell’uomo, piano dopo piano”.
Sandu Tariverde va verso l’angolo della stanza, verso il mucchio di bottiglie. Molte bottiglie vuote, alcune in piedi, altre rovesciate. Ne raccatta una, se la porta davanti agli occhi. Poi ne raccoglie alcune altre, le esamina una a una, spe Âranzoso. Non c’è rimasta più neanche una goccia.
Sandu Tariverde berrebbe qualcosa. Gli manca giusto quel goccio di alcol che gli paleserebbe, improvvisamente, un paradiso conosciuto. Quando non lo molesta più la sua con Âfusa esistenza e prova un senso di fratellanza con i propri simili, smania per le avventate illuminazioni della grappa.
Da qualche parte tra i fumi dell’alcol intuisce l’unità della specie umana. Lì termina la corsa spietata all’assalto, all’eli Âminazione del vicino. In passato, Sandu Tariverde ha vagheg Âgiato lui stesso il potere degli uomini. Oh, tanti anni fa, quando era un giovane arrivista, educato secondo le norme europee!
L’Europa e il nostro pianeta sono imperfetti, in scacco tra la fuga umana verso il peccato e il misterioso progetto divino, di cui fa parte anche lui, il cencioso dottor Sandu Tariverde.
Ora è perfettamente sveglio e non va bene quando è sve Âglio, perché allora si mette a riflettere. Si dà alla riflessione.
Soppesa la sua situazione di uomo libero, evoca l’episodio che l’ha segnato: l’arresto, la breve detenzione nella prigione di Jilava, il processo.
“E così, il mio ex compagno di scuola, il presidente del tri Âbunale Dan Buzdugan, ha dovuto condannarmi a tre anni di galera con la sospensione della pena. Si è comportato da vero signore. Ha fatto sì che la ruota della giustizia girasse a mio favore, togliendomi di dosso la divisa da galeotto. Lui sa come destreggiarsi, come coprirsi le spalle: è uno di loro. ‘Uomo nuovo con borsa piena nuova’. Ero nelle sue mani, è stato lui a decidere della mia sorte. A scuola, i compiti li copiava da me. Ciononostante ha fatto progressi in altre cose. Ero nelle sue mani. Era lui che teneva in mano l’ago della bilancia e il mio fascicolo, io ero quello chiamato in causa, il condannato. Era lui che tendeva la corda della ghigliottina, ma non mi ha mozzato la testa. Sono ancora in vita. Sono vivo per la sua e la loro commiserazione. Ha il privilegio di essere clemente. Mentre io, il beneficiario, raggranello le bri Âciole. Questo vuol dire che mi ha salvato la vita, che mi ha dato solo tre anni con la sospensione della pena”.
“Egoismo filantropico!” esclama Sandu Tariverde, defi Ânendo l’intera società rumena, il suo assetto. “Siccome non mi dà quel che merito per il sudore versato, mi butta in fac Âcia come ricompensa un po’ di elemosina. E risulta essere pure generosa, che vivo della sua commiserazione e che devo esserle riconoscente”.
Sandu Tariverde è sveglio. La sua mente è attraversata da pensieri di riscatto sociale. Non è più il giovane arrivista di una volta, questo è vero, tuttavia questi pensieri di riscatto si fanno largo, sgorgando dall’istinto e dal suo passato.
S’accende un coraggio irrefrenabile, costellato di brevi incendi: si metterà a scrivere! Scriverà maledettamente bene! Troverà rifugio nella cultura. Tornerà a scalare la piramide sociale! La sua voce arriverà lontano. Sarà temuto e conside Ârato. Potrà riavere a disposizione tutti i posti di comando desiderati. Come un tempo, quando era il primo della classe, professore all’Università , capo-cattedra, responsabile di una rubrica presso una grande rivista!
Ora è un maresciallo declassato di rango, destituito e mal Âtrattato, che conserva, però, il bastone di maresciallo nel sacco.
Grande sete.
Darebbe un bastone di maresciallo per un bicchierino di grappa.
Berrebbe qualsiasi prodotto etilico, ma soprattutto una fiaschetta di vino.
Tuttavia Dio non fa il miracolo di materializzare dal nulla una sacra fiaschetta di vino.
Si sdraia sulla catasta di vestiti che gli fanno da letto. Rivolge ancora gli occhi verso il soffitto ricoperto d’oro e ciò gli provoca un brivido fulmineo, un tremore sovrannaturale.
Gli dà fastidio quella posizione, si alza. Rientra nella real Âtà della casa. In un angolo c’è un magnifico comò, ma senza cassetti. Abbandonato. L’unico mobile rimasto nel salotto svuotato.
Il sole batte dritto sul corpo, Sandu ne prova piacere, le sue ossa chiedono calore dopo un inverno senza fuoco.
Passeggia intorno. Il parquet è divelto, l’impiantito è tutto detriti e calcinacci. Sono state tolte le lampade e le prese. Ma i segni dello splendore della casa non sono stati cancellati. Un palazzo! Lui, il lacero dottore in filologia, il candido espro Âpriato, dorme tutto solo in questo palazzo.
Certo, un palazzo preso in prestito per pochi giorni, effi Âmero. Senza porte, senza finestre, senza impianto elettrico, pronto per la demolizione. Ma – come dicevo – i segni del suo splendore si vedono nella solida muratura, nello stile, nel-l’architettura delle ogive, nella tappezzeria preziosa, di seta. La villa dell’ingegnere Doman.
Villa storica, eredità dei predecessori, i celebri architetti interbellici Doman.
Qui si percepiva in pieno il legame simbolico tra casa e corpo. La gloria della casa che realizza quella del corpo, da cui si è manifestata.
Il giovane Doman ha ereditato dal padre un’indole buona e una casa buona. L’ha posseduta per tanti anni, scampando alla furia nazionalista. Ma ecco, che un giorno, come un ful Âmine a ciel sereno, giunge l’ordine di evacuare la villa, in vista della sua demolizione. A ciò sono seguiti mesi di angoscia, disperazione e morte.
E ora, in questa villa solida e ampia, si crogiola tutto solo Sandu Tariverde.
Dorme qui di nascosto fino a quando arriveranno i bulldozer.
È la decima casa che Sandu Tariverde, il lacero dottore in filologia, ha “posseduto” nel corso di un anno.
“È una vergogna!” dice Sandu Tariverde. Non sappiamo però a che cosa si riferisca: se al presente o al futuro, se alla sua nazione o a se stesso.
Torna a sedersi alla turca. Si stringe attorno al corpo il len Âzuolo e gli stracci. Alla sua destra, su un mucchio di calcinacci che gli serve da comodino, c’è un libro aperto. Non gli va di leggere. Ha una sete tremenda. Lo tormenta l’immagine di una fiaschetta di vino. Sullo schermo della sua mente si deli Ânea il contorno argentato di una fiaschetta. Gli brucia la gola, soffre terribilmente.
“Un eroe clandestino del nostro tempo!” dice fra sé.
Per bussare alla porta, deve esistere la porta. Quando la porta manca, si batte sul muro.
Si sentono dei colpi sul muro. Dalla porta fa capolino la testa di un operaio con l’elmetto di protezione. Poi affiorano nella luce il corpo intero, la tuta imbrattata di calce, gli stiva Âli di gomma coperti di polvere.
“Signor dottore, le ho portato dell’acqua miracolosa!”
Sandu Tariverde risponde secco: “Salve”.
Sorride. Gli si illumina il viso. La comparsa dell’uomo con “l’acqua miracolosa” gli imprime una luminosità spontanea, un rinvigorimento gioviale.
“Signor professore, si sta avvicinando la ruspa! È arrivata al numero 87, capisce, e questo è il 91. Questo significa… che entro massimo una settimana qui si fa piazza pulita. Metteremo la dinamite perché giù è tutto in cemento. Quindi, gambe in spalla, alla svelta!”
“Mastro Manolache, come sei allarmista!” dice Sandu Tariverde. “Una settimana è un’eternità . E tu mi vieni ad avvisare come se i bulldozer fossero qui a incalzarci proprio in questo momento!”
“È questione di qualche giorno…”
“Il tempo è dalla nostra parte. Non vi allarmate, buona gente!” Sandu assume un tono retorico, che lo infervora: è nella fase idealistica che precede il contatto etilico. “In una settimana” dice “si possono portare a termine situazioni pla Ânetarie. Per tua tranquillità , ti ricordo che la creazione del mondo è durata una settimana… e altrettanto è durata la presa del potere da parte dei bolscevichi di Lenin… Una set Âtimana è durata la dissoluzione dell’impero austro-ungarico e il rito di scioglimento dei sudditi al giuramento di fedeltà imperiale e la formazione della Grande Romania…2 Una set Âtimana ha dormito coricato su un orecchio il Gruia3 del nostro folclore, per dispetto ai turchi… La settimana è l’unità d’oro dei grandi eventi”.
“E io, signor professore, le dico di prepararsi a traslocare, oggi o al più tardi domani”.
Sandu Tariverde non replica. Si comporta da uomo per Âfettamente libero. Cioè tace. Sebbene veda la bottiglia verdo Âgnola in mano a Manolache, sebbene la salivazione sia di intensità tropicale, fa finta di guardare lontano.
“Si serva un bicchierino, signor professore!” lo invita Manolache.
Sandu gli batte sulla spalla. Un gesto che può significare: rispondo all’invito, accettando il dono – l’acqua benedetta – dovuta a chi è chiamato a rappresentare la nazione almeno per cento anni. Io ti rappresento di nascosto, ma in modo giusto. Sono un eroe clandestino del nostro tempo. Vale la pena stringerci la mano, perché tu, lavoratore, sei puro: sei l’eterno truffato, l’eterno depredato della storia. La società ti bastona e tu la servi. Ti deruba e tu la ricompensi. Le presti le tue mani, perché ti bastoni. Tu conduci una vita spirituale.
“Cos’è che bofonchia, signor professore? Sta recitando la predica?”
“Ho detto che tu conduci una vita spirituale. Cioè, tu fai del bene a chi invece ti fa del male. Tu rappresenti l’ideale: a giusta ragione hanno detto ciò i perfidi marxisti senza sapere bene che cosa stessero dicendo”.
Pavel Manolache si accomoda nella “poltrona” fatta di mattoni accatastati e coperti da un giornale. Questa ‘poltro Âna’ è l’attrazione del salotto.
“Come sarebbe a dire vita spirituale?” domanda.
“Ma sì… un monaco rumeno, un illuminato al quale non saremmo degni di allacciare neppure i cordoni delle ciocie… ha detto che gli uomini si dividono in quattro categorie. Alcuni conducono una vita diabolica, cioè perseguitano colo Âro dai quali hanno ricevuto del bene. Altri conducono una vita animalesca, cioè perseguitano coloro dai quali sono stati perseguitati. Altri ancora conducono una vita umana, cioè rispondono al bene con il bene. E infine, altri conducono una vita spirituale, cioè fanno del bene a coloro dai quali ricevo Âno il male.
“E lei crede che io sia capace di tanto? Ma se uno mi pren Âde a botte, lei crede che non lo piglio a ceffoni?”
“Sì, ne sono convinto” dice il logoro filosofo Sandu Tariverde. “La società ti prende a botte, ti massacra, ti basto Âna, ma tu espii per essa. Io credo una cosa: che tu conduci una vita spirituale”.
Manolache si diverte, si sente sovrastimato.
Pieno di rispetto per l’intellettuale che gli offre la sua ami Âcizia, Manolache gli allunga la bottiglia.
Dopo un paio di sorsi di grappa, Sandu Tariverde diventa ancor più solidale con la classe operaia. Pavel gradisce.
Per un po’ si passano l’un l’altro la bottiglia. Tracannano direttamente dalla bottiglia. Sandu si produce in alcune ono Âmatopee da orgasmo.
Manolache riaccende la spinosa discussione: “Signor pro Âfessore, devo venire avanti con il bulldozer. Questa è la fac Âcenda”.
“Mastro, ti dai troppe arie. Ti vanti che devi venire avanti con il bulldozer. Come se fossi stato tu a decidere questo”.
“Certo, così scrivono i giornali. Che io, proletario, sono la classe dirigente. Proprietario e beneficiario”.
“Se mi porti anche domani una bottiglia di grappa, ti credo sulla parola. Credo che sei tu la classe dirigente”.
“Si deve sbrigare con il trasloco, glielo dico con preoccu Âpazione. A volte questi demoliscono più in fretta di quanto hanno previsto. Cioè, oltre il piano stabilito”.
“Tu che mi proponi?”
“Le propongo di traslocare oggi”.
“No! Oggi no! Mica stanno arrivando i turchi! Mi piace questa villa. È orientata verso est. È una villa onesta, senza fantasmi”.
Pavel: “Le troviamo qualcosa di altrettanto buono. Sempre una villa, orientata e senza fantasmi, se le pare”.
Sandu prende una lunga sorsata. Dice: “Un’altra villa? Avrei preferito una casetta modesta… un bugigattolo apparta Âto, solitario…”
Pavel: “Io offro quello che ho”.
Sandu: “Aggiudicato. Dov’è?”
“Cinque numeri più giù, sempre in via Mo ¸silor”.
“Bene”.
“Penso che sia scomodo traslocare di continuo…”
“Non mi rendo neanche più conto di cambiare domicilio. Tutte queste case si assomigliano, le accomuna una certa tri Âstezza. Non mi rendo neppure conto che ogni volta si tratta di un’altra casa. Lo smarrimento e il nulla sono il loro deno Âminatore comune”.
Sa di che sta parlando, ora.
Entrambi guardano il soffitto del salotto. Stanno pensan Âdo alla stessa cosa, alla persona morta, l’ex proprietario.
“Mi vengono i brividi quando entro qui dentro”, dice il mastro. “La morte ancora non se n’è andata da questo posto. È qui, ci bazzica. Come riesce a dormire qui?”
“La morte…” sussurra Sandu. “Sai una cosa? Noi nascia Âmo con la morte nelle ossa e moriamo con la vita nel cuore”.
“Come può dormire qui, signor professore? Lei è una per Âsona forte! Io morirei di paura qui”.
“Non sono forte. Io mi spavento fuori, in strada. Qui invece sono al riparo”.
Sandu beve un lungo sorso. Poi allunga la bottiglia verso la classe operaia, che beve pure lei un sorso.
“Signor dottore, io vado. Il tempo preme. Se mi assento troppo, quelli della squadra se ne approfittano. Come non li tieni d’occhio, quelli ti si piazzano all’ombra a fumare e cic Âchettare. Così son fatti i nostri rumeni. Se non ti occupi di loro, subito si ammosciano”.
“Che dici, amico! Si ammosciano, eh?”
“Sì, con le parole non si ottiene nulla. Ci vuole il manga Ânello e la frusta!”
“Secondo gli insegnamenti più avanzati, no? Bene, Pavel. Grazie per la grappa. Mi fa piacere che non mi hai scaricato”.
“Bello chiama bello. Ma anche noi, brutti, andiamo d’ac Âcordo”.
“Ben detto!”
“Stammi bene!”
“Saluti”.
Pavel esce. Sandu Tariverde risucchia gli ultimi gocci di grappa dal fondo della bottiglia.
Ora è un’altra persona! Ora può affrontare la realtà in un altro modo! Il mondo esterno non lo spaventa più. Si prepa Âra a uscire in tutta fretta.
Si toglie di dosso la vestaglia logora, di seta color porpora, portatrice dei segni di una civiltà tramontata. La vestaglia scucita, che ha trovato tra il vecchiume lasciato dall’ingegne Âre evacuato, il suicida signor Doman.
Sandu Tariverde prende i vestiti “da città ”, i sandali. È pronto per uscire. Si ferma un attimo ad ammirare gli orna Âmenti di gesso, lo stile elevato e scuote la testa in segno di mestizia.
Ora guarda il soffitto dorato.
Dal soffitto pende una fune, legata saldamente al gancio del lampadario. Una fune tagliata con un coltello smussato, da un salvatore infelice, indesiderato. Uno di quelli che ti condannano a vivere.
“Dio mio! E me ne sto qui con la morte sopra la testa!” dice fra sé Sandu Tariverde, esagerando le vicende della sua vita, l’ombra di se stesso proiettata sulla terra.
Osserva grave in volto, ma non si fa il segno della croce, poiché il luogo tragico non gli ispira né paura, né pietà .
“Uno vive la morte di un altro e finisce la vita di quell’al Âtro!” recitava al terzo bicchiere quando acquisiva la percezio Âne chiara e la purificazione dell’ipocrisia quotidiana.
Come in un sogno allucinato, la fine della casa è la fine del corpo. “È una persona forte lei, se riesce a dormire qui. Ha un grande coraggio!” gli aveva detto Manolache.
Sandu non disdegna le lodi. Al contrario, sa che la sua bio Âgrafia è un miscuglio scioccante fatto di durezze e di debolez Âze, di lucidità e di euforia. Quanto al coraggio – lasciamo per Âdere!
Lui da solo, in questa casa, tutto questo tempo! “Come un castigo!” diceva fra sé quando i suoi nervi delicati presentiva Âno il legame con le colpe della terra.
“La fune dell’oltretomba” aggiunge, ricorrendo a un adat Âtamento imperfetto del grande simbolo adeguato ai tempi in cui viviamo.
Ora Sandu Tariverde scende le scale interne, esce fuori. Scende gli scalini di pietra. Affronta la città . Senza armi, a mani nude, in un mondo armato sino ai denti. Passeggia sul viale tutto buche, in mezzo al traffico pesante. È come se, a un tratto, si fosse inoltrato al centro del mondo, al centro del suo secolo.
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SCHEDA LIBRO:
Autore: Vasile Andru
Titolo: Gli uccelli del cielo
Collana: Passages 3
Editore: Controluce
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In “Gli uccelli del cielo” si snodano le vicende parallele dei due antieroi del romanzo: il saggio ubriacone Sandu Tariverde, ex professore e letterato, caduto in disgrazia per ragioni politiche e Tofana, giovane donna alla ricerca disperata di un visto per l’emigrazione, ossessionata dall’idea della fuga, che tenta di trovare una via di salvezza nelle pratiche sapienziali e di meditazione delle filosofie orientali. Sullo sfondo la Bucarest della metà degli anni Ottanta in uno dei periodi più bui e drammatici della Romania, con la capitale devastata dalle demolizioni ordinate da Ceaucescu per fare posto ad una faraonica sede del potere centrale. Scritto con mano sicura il libro si legge col fiato sospeso.
AUTORE: Â
Vasile Andru è tra i più validi prosatori romeni dell’ultimo decennio. Autore di una ventina di volumi tra romanzi, racconti brevi, saggistica letteraria, nel corso degli anni ‘80 ha preso parte da protagonista alla grande corrente di rinnovamento della letteratura romena
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