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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

22 Giugno 2008


[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]

L’incredibile Hulk

The incredible Hulk
Louis Leterrier, 2008
Edward   Norton, Liv   Tyler, Tim   Roth, William   Hurt, Robert   Downey Jr., Tim Blake   Nelson, Ty   Burrell, Christina Cabot, Peter   Mensah.

«Venga, signorina! ». Ripetuta due volte, non di seguito ma in circostanze analoghe, non può essere una battuta casuale. E infatti la leggiamo come importante per interpretare questo fumetto Marvel  (di Jack Kirby e Stan Lee)  vs cinema che ci vuole divertire impressionandoci con lo spettacolo dell’orribile  strapotere fisico scaturito da un esperimento andato male. Un non voluto avvelenamento da radiazioni gamma (che sarà?) provoca nello scienziato Bruce Banner (Norton) l’esagerata espansione del corpo fino a farne un mostro dalla forza indomabile. La cosa, che ai normali appare orribile, piace molto al generale Thaddeus “Thunderbolt” Ross (Hurt), il quale medita di realizzare l’arma segreta del “supersoldato” fin dai tempi della seconda guerra mondiale e quindi vuole impossessarsi del Dna di Bruce.   Al fianco di Ross, ma con un’ambizione tutta sua, l’abominevole Blonsky (Roth), disposto a moltiplicare per x volte    il volume del  proprio corpo e la cattiveria della propria indole pur di battere in duello l’unico avversario che potrà resistergli, Bruce. In effetti Blonsky, a vederlo, grugnisce, urla e mena più forte. Ma Bruce è innamorato, ama ricambiato Betty (Tyler), la figlia del generale. E quindi, nonostante una certa voglia di “guarire” non lo lasci mai, si rassegna ad affrontare  il persecutore. Se indovinate chi vincerà potrete verificare il grado della vostra libertà di scelta, o almeno delle vostre capacità intuitive. Però non vi aspettereste mai che, nel bel mezzo dello sconvolgimento catastrofico più “pesante” (a guardarsi)  di tutta la storia dei King Kong e dei Frankenstein, ci sia un assistente di Ross che, elmetto e tuta mitetica da combattimento, prenda per un braccio la figlia del generale e, tirandola indietro la inviti a non esporsi troppo: «Venga, signorina! ». Ma questo è un cambio di linguaggio! Questo ci dice che la sfida, la violenza, la guerra, la lotta è ben  circoscritta; e che c’è persino ancora posto per le gentilezze, le premure, le buone maniere! Per godersi l’aggressività vera si dovrà tornare al western classico, quello senza i rigonfiamenti stilistici del declino manierista  (Peckinpah, Leone e via dicendo). E per stare in ansia sull’efficacia delle armi contro  l’aggressione  misteriosa  e invincibile converrà riandare alla prima Guerra dei mondi (1953), quando i tentativi si susseguivano in progressione, uno alla volta, suscitando la meraviglia del “mai visto prima”. Questo Hulk, col noncurante miscuglio dei generi  che ne condiziona la confezione,    finisce per sprofondare nel mare di interminabili “inseguimenti” e di risaputissimi dispiegamenti di forze militari, senza mai regalarci un momento di autentica suspense. – Precedenti: L’incredibile Hulk, 1977, Il ritorno dell’incredibile Hulk, 1979  (entrambi di Kenneth    Johnson, con Bill Bixby), Hulk (di Ang Lee, 2003, con Eric Bana).

Savage Grace

Savage Grace
Tom Kalin, 2007
Julianne Moore, Stephen Dillane, Eddie Redmayne, Elena Anaya, Barney Clark, Hugh Dancy, Abel Folk, Unax Ugalde, Belén Rueda.

Se in un film madre e figlio hanno rapporti intimi, si può anche pensare alla tragedia greca, ma non è detto che questo  abbia a che fare  con l’arte.  Avrebbe a che fare  se nel film vi fosse catarsi. Qui si tratta semplicemente (si può controllare nel libro di Natalie Robins e Steven ML Aronson, Savage Grace) della storia di Barbara (Moore), americana che viene dal basso, scala posizioni fino a piazzarsi accanto al ricco Brooks Baekeland (Dillane), figlio dell’inventore della bakelite, e resiste alle provocazioni della società “bene” (virgolette necessarie), infischiandosene della carenza di buoni sentimenti da cui è caratterizzata la propria quotidianità. Tony (Redmayne), il figlio,  è il prodotto della casa. Nato e cresciuto in un certo modo (equivoco), ha il destino segnato. Si direbbe un destino tragico, se tragedia (con catarsi) vi fosse. Ma il film mostra nulla più che una serie di eventi imbarazzanti. Julianne Moore è più che mai “lontana dal paradiso”, ambirebbe forse all’inferno, ma le chiavi le hanno Dante, Faust e alcuni loro colleghi. Nessuno vuole saperne di aprire la porta. Sicché la miseria (morale) resta miseria. Nemmeno lo stupore, quello della Borghesia, arriva, giacché: dov’è la Borghesia da stupire (épater)?
 


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart