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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

5 Maggio 2012

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini]

Hunger Games

The Hunger Games
Gary Ross, 2012
Fotografia Tom Stern
Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Lenny Kravitz, Stanley Tucci, Doanld Sutherland, Wes Bentley, Toby Jones, Alexander Ludwig, Isabelle Fuhrman, Amandha Stenberg, Willow Shields, Leven Ramb in, Jacqueline Emerson, Paula Malcomson, Latarsha Rose, Dayo Okeniyi, Jack Quaid, Brooke Bundy, Nelson Ascencio, Kimiko Cazanov, Karan Kendrick.

Orrore, da non confondere con horror. Il sentimento a dir poco preoccupante ci viene dallo spettacolo di un futuro verosimile. Quella fattoria sui monti del Missouri, governata in mancanza del padre  dalla diciassettenne Ree Dolly nel Gelido inverno (Winter’s Bone) del lontano 2010, non esiste più. Ora l’osso sarà ancor più duro. Jennifer Lawrence, già premiata nel 2008 a Venezia come attrice emergente (The Burning Plain, di Guillermo Arriaga) s’è messa nei panni di Katniss Everdeen e vive un’avventura fantastica che sa tanto di possibile verità. Gary Ross, il regista di Pleasanteville (1998), traduce per lo schermo il bestseller di Suzanne Collins (26 milioni di copie), romanzo che sembra essere la dimostrazione di come quell’â€antica†(anni ’50) città televisiva fosse tutt’altro che una piacevole immaginazione. Era invece l’inganno riservatoci dal futuro. Ed eccolo, il futuro: spietato (fino al sadismo) con i perdenti, spettacolare e vacuo (televisivo) nel trionfo dei modelli di vita lussuosa. I perdenti sono i ribelli/traditori, “pacificati†attraverso la dolorosa e distruttiva guerra che, in nome della “liberàâ€, ha portato quel che resta del mondo (l’ex Nord America) al regime di Panem (“panem et circensesâ€?). La nazione è divisa in 12 Distretti rigidamente controllati e sottoposti ogni anno nel giorno della Mietitura  a fornire coppie di giovani Tributi. Una ragazza e un ragazzo, sorteggiati o volontari, vanno da ciascun Distretto agli Hunger Games, mortale torneo a eliminazione diretta. Dei 24 partecipanti, uno solo tornerà vivo al proprio Distretto.  Katniss, figlia di un minatore, vive nel dodicesimo con la madre e con la sorellina Primrose (Willow Shields). Ama la natura e va spesso a cacciare con l’arco nel bosco dove incontra anche il giovane Gale (Liam Hemsworth). Quando Primrose viene sorteggiata per i giochi, Katniss si offre di sostituirla e va volontaria. È qui che  l’apprensione per le sorti della ragazza, coraggiosa ma impreparata per il difficile torneo, si tramuta nello spettatore in un incubo. Scopriamo che gli Hunger Games sono anche – e forse soprattutto – un agghiacciante show televisivo, seguito con ansia partecipativa dal popolo dei Distretti e specialmente goduto dall’élite di Panem, nel Campidoglio presieduto dal Presidente Snow (Donald Sutherland). I concorrenti vengono sottoposti a una fase di preparazione, in vista della resa spettacolare delle loro prestazioni e in funzione del “consenso†del pubblico, da conquistare durante la preliminare operazione “simpatiaâ€. Katniss è assistita da Haymitch Abernathy (il Woody Hallerson di Non è un paese per vecchi), vincitore di un precedente torneo e ora ridotto a cinico mentore semidistrutto dall’alcol: «Trova il modo di piacere alla gente », è il suo consiglio.  E la ragazza capisce subito che deve fare i conti con la propria personalità, accettando di esibirne la parte più gradevole per lo show. Dire che tutto ciò somiglia ai “reality†dominanti nelle televisioni di tutto il mondo è dire un’ovvietà. Il sentimento preoccupante di cui sopra subentra già al primo impatto con la “macchina†dello spettacolo, specialmente nel vedere l’alienata/alienante funzione del “conduttore†del gioco, Caesar Flickerman/Stanley Tucci. È un orrore che preoccupa per il suo portato non strettamente cinematografico (horror), i “vantaggi†che tramite gli sponsor i concorrenti si guadagno conquistando il pubblico già con la prima passerella televisiva serviranno nel prosieguo del “gioco†e potranno essere decisivi nella progressiva eliminazione fisica dei rivali. Un aspetto non indifferente, una differenza però – questo il punto – non sostanziale se la forma ha la sua importanza, rispetto agli spettacoli che la Tv “realistica†ci offre oggi. Nel seguito del film, l’avventura di Katniss e del suo partner del Distretto 12, Peeta Mellark (Josh Hutcherson),  è coinvolgente e piena di suspence, la spietata lotta per la sopravvivenza non intacca né risolve l’orrore che viene dal presentimento di un futuro quale vediamo rappresentato specialmente nella gestione spettacolare della gara. I “gestori†si sono rivolti ai partecipanti ripetendo a intervalli regolari lo slogan: «Vi auguriamo felici Hunger Games e possa la fortuna essere sempre a vostro favore ». L’augurio esprime, nella gentilezza formale, una goduria sadica e dominatrice che cancella ogni inopportuno riferimento alla tradizione culturale più antica. S’è parlato del mito di Minosse, dei giovani mandati al massacro contro il Minotauro  e di Teseo, futuro re di Atene, che invece si offrì volontario. Ma più importante ci sembra il fatto che, nel film, l’ultimo atto dell’avventura si svolga sulla ribalta dello show televisivo, a consacrazione del successo dello spettacolo in sé. È il successo dell’orrore “reale†ed è, a dir poco, impressionante.

Gli infedeli

Les infidèles
Episodi: Juan Dujardin, Gilles Lellouche (Las Vegas), Emmanuelle Bercot (La question), Fred Cavayé (Prologo), Alexandre Courtès (Bernard, Thibault, Simon, Infedeli anonimi), Michel Hazanavicius (La bonne conscience), Eric Lartigau (Lolita)
Fotografia Guillaume Schiffman
Jean Dujardin, Gilles Lellouche, Guillaume Canet, Mathilda May, Julien Leprisé, Alessandra Lamy, Lionel Abelanski, Fabrice Agoguet, Pierre Benoist, Violette Blanckaert, Sandrine Kiberlain, Geraldine Nakache, Aina Clotet, Anne Suarez, Cyrius Rosset, Priscilla de Laforcade, Florine Delobel, Julie Nicolet, Karine Ventalon, Jean-Charles Piedagel, Eric de Montalier, Dolly Golden, Annabelle Naudeau, Claire Viville, Manu Payet, Mademoiselle Eva, BénPdicte Vrignault, Célestin Chapelain, Isabelle Nanty, Charles Gérard, Maeva Pasquali, Nathalie Levy-Lang, Clara Ponsot, Elise Oppong, Anthony Sonigo, Bastien Bouillon, Etienne Durot, Vincent Darmuzey, Hélène Seuzaret, Lou Lievain, Lazare Lartigau, Katia Lewkowicz.

I favolosi anni Sessanta non finiscono mai, anche nel cinema e anche in Francia, specialmente per la commedia-frammento. Un occhio alla realtà circostante, basta attingere la penna all’inchiostro (sì, viene da pensare che nemmeno l’inchiostro abbia intenzione di finire) dei costumi – colorato e trasparente – e appuntare a mano (l’idea di immediatezza) su un foglio volante piccoli fatti di vita quotidiana. Certo, poi, una qualche differenza la faranno anche il trasferimento inevitabile sul file di un computer e le capacità espressive del regista: noi italiani, dopo Dino Risi, non abbiamo avuto da imparare granché da alcuno. Ma è certo che i piccoli raccontini/verità provocatori e simbolici faranno ancora da specchio molto gradito allo spettatore in cerca di giustificazioni e risarcimenti per i propri difettucci. Possiamo dire che i due attori-guida (Juan Dujardin e Gilles Lellouche)  dei nove episodi dedicati all’infedeltà formano una coppia di “nuovi-nuovi mostri†dei nostri giorni. Rispetto alla “cattiveria†satirica degli archetipi Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, i due francesi se la battono per simpatia e sfacciataggine, ma la carica critica del racconto è molto più leggera e la complicità del pubblico è data più per scontata. La “mostruosità†dei personaggi, il loro rapporto con le donne, la loro mania di “caccia†e il sistema di bugie (soprattutto con se stessi) appare piuttosto normale, a patto che si guardi alle loro “abitudini†con occhio maschile. E, se mai, è questa scelta del genere ad apparire oggi meno scontata, o comunque più forte rispetto al contesto in apparenza avviato verso una progressiva omogeneità. Guardando al cinema, c’è traccia nel cast dell’operazione stilistica che ha fruttato il trionfo “muto†dell’Oscar (The Artist) al regista Hazanavicius e al protagonista Dujardin. Specie sul volto dell’attore si direbbe palpabile un’ansia di “liberazione†da quello sguardo fittizio in bianco e nero. Il problema è che pure qui la verità ha l’aria di restare lontana, in ossequio alle leggi della complicità assolutoria. I due amici nel film, si coprono a vicenda per le fughe verso la conquista dell’eros, un erotismo maniacale e tutto sommato “infelice†a causa del ruolo subordinato della donna. Centrale e narrativamente più riuscito è l’episodio intitolato Thibault, in cui marito (Guillaume Canet) e moglie (Annabelle Naudeau) fanno il gioco pericoloso di rivelare l’uno all’altra e viceversa i propri tradimenti: si esce dalla struttura episodica ed è quasi un altro film, con la sua autonomia. Gustosa e non priva di trasparenza critica (finalmente) la riunione degli Infedeli anonimi. Le loro “confessioni†di gruppo preludono in un certo senso al paradosso finale che ricongiunge i due amici protagonisti in una ulteriore (non diciamo quale) dimensione amorosa.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart