CINEMA: I film visti da Franco Pecori1 Dicembre 2012 [Franco Pecori  dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini] Di nuovo in giocoTrouble with the Curve Metafora del cinema di Clint Eastwood. La figura del cercatore di talenti sportivi (qui parliamo del baseball), còlto nella fase ultramatura e nella sua irriducibile istanza di vitalità , fa pensare all’Eastwood attore e cineasta che, dopo l’ineguagliabile “conclusione†di  Gran Torino  (2008), torna sul set e si rimette in gioco per celebrare la vittoria di Mandela anche sul campo di rugby  (Invictus2009). E conferma, ora, che il senso del successivo  Hereafter  (2010) non era tanto la questione dell’aldilà quanto un tentativo di raffigurare le rappresentazioni che dell’aldilà si hanno nei diversi momenti della vita, specie quando veniamo sorpresi dalla morte. Di nuovo in gioco, Eastwood si rafforza nell’idea che il proprio lavoro di “scout†non è finito e che il suo genio può dire ancora qualcosa nel disegno di un cinema equilibrato e non stantio né inutilmente sperimentale. Gus Lobel è capace di valutare la bravura del battitore dal rumore della mazza da baseball, la vista lo sta abbandonando ma egli confida nella sua grande esperienza per resiste ai tentativi di scalzarlo dall’incarico di “scout†degli Atlanta Braves. E’ abituato a girare da solo per i campi di baseball, specialmente dopo la morte della moglie, e non nega di aver trascurato i rapporti con la figlia Mickey (Amy Adams). Sarà invece proprio lei, giovane avvocato in rampa di lancio ad Atlanta, ad affiancarlo in un’ultima missione nel Nord Carolina. La ragazza ha preso dal padre la passione per il baseball e anche la competenza. Il viaggio le servirà a recuperare la strada maestra della vocazione autentica. Non del tutto secondario sarà l’incontro con Johnny (Justin Timberlake), rivale “non pericoloso†di nuova generazione e interessato piuttosto alla carriera di cronista sportivo. Robert Lorenz è al suo primo film da regista, ma conosce il cinema da produttore di grandi film –  Mystic River,  Million Dollar Baby,  Flags of Our Fathers,Lettere da Iwo Jima,  Changeling,  Gran Torino  e i lavori successivi con Eastwood. L’affiatamento con il quale è percepibile nella fluidità del racconto e dell’integrazione tra scene, personaggi e visione morale. Se abbiamo in testa una figura complessiva di Eastwood, Amy Adams ci sembrerà essere veramente la figlia. Ciò non è poco e lascia passare qualche “spiegazione†di troppo a livello di sceneggiatura e un avvio dell’azione non proprio scattante. E se vivessimo tutti insieme?Et si on vivait tous ensemble? La commedia italiana degli anni ’60 e ’70 ha trasmesso anche il suo lato migliore, fatto di leggerezza e insieme di riflessione su alcuni temi della vita. Il francese Stéphane Robelin, estimatore di Scola, Risi, Ferreri e Moretti, ritaglia con delicata discrezione un quadretto di anziani che decidono di vivere in “comunità †i loro ultimi anni. Jeanne (Fonda) e Albert (Richard) ospitano nella loro casa Annie (Chaplin) e Jean (Bedos). Sono due coppie di amici da sempre, con loro c’è anche Claude (Rich), single per vocazione e non ancora rassegnato al riposo del sesso. Tutti insieme arrivano alla vecchiaia con l’animo di quando erano giovani e anche consapevoli della fase che devono affrontare. Uno studente di etnologia, Dirk (Brühl), li assiste e li coccola. Robelin ha costruito un film di situazione, poggiandone lo sviluppo essenzialmente sulla simpatia dei personaggi e sulla capacità di essere “veri†che proviene da interpreti come quelli assemblati per l’occasione, una rappresentanza importante del grande cinema ormai classico, specialmente sul versante della commedia. È  emozionante per lo spettatore appassionato vedere dei miti viventi mettersi in gioco con sapiente naturalezza, indossando i propri panni e dando vita a un insieme affiatato pur mantenendo ciascuno la propria spiccata personalità . E infatti, non mancheranno le novità anche rispetto a se stessi, a tutto ciò che hanno creduto di sapere l’uno dell’altro e che si rivelerà sorprendentemente “insufficienteâ€, procurando meraviglia, dolore e perfino nuovi affetti. Il tema della vecchiaia ai nostri tempi, così spesso crudeli verso il fine-vita, è trattato con profondo rispetto ma senza rinunciare a una vicinanza “direttaâ€, che registrasse il verosimile quasi per un documentario. Ne traspare l’amore autentico per il cinema e la sua storia oltre che l’interesse per i rimandi sociali e psicologici da cui proviene. Al suo secondo lungometraggio (ma il primo,  Real Movie, realizzato nel 2004, era ancora un tentativo girato in digitale e senza mezzi), Stéphane Robelin ha saputo trattare con commovente partecipazione e con allegria temi come la solitudine degli anziani, la perdita di memoria, la scarsa autonomia e il lutto. Spiritoso e toccante il personaggio di Jeanne, scrupolosa nel preparare i dettagli del proprio funerale e dell’ambiente che in futuro dovrà accogliere gli amici visitatori. Nel finale, quando vediamo Annie con loro, di spalle, allontanarsi dopo il rito, inevitabile un flash della memoria su charlot in coda ai film muti di Charlie Chaplin. Letto 96170 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by find a mountain view realtor — 4 Agosto 2013 @ 01:19
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