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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

28 Febbraio 2009

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]

Il mai nato

The Unborn
David S. Goyer, 2009
Odette  Yustman, Gary  Oldman, Meagan  Good, Cam  Gigandet, James  Remar, Atticus Shaffer, Jane  Alexander, Idris Elba, Rhys  Coiro, Carla  Gugino.

Brava e sexy quanto basta, la ragazza è mutevole nella pupilla. Dopo accertamenti medici,  si convince  che il problema non attiene a cose terrene. Tra un “sogno o son desto” e un “essere o non essere”, Casey (Yustman)  entra nella diperazione, invano confortata dall’amica Romy (Good). Un’entità “esterna” sta tentando di impossessarsi di lei, nata gemella di un bambino mai nato perché già morto nell’utero della madre. Cerca e ricerca, tra un incubo e l’altro, si arriva perfino all’Olocausto per scoprire che un demonio chiamato Dybbuk sta tentando da molto tempo di aprirsi una via verso la vita. Il “mai nato”  sembra che stia per riuscire nel proprio intento con Casey. A questo punto, l’horror/thriller si fa serio, cioè pretende di uscire dalla  rigida convenzione  del genere per entrare nella vita (spirituale) dello spettatore. Il regista si mostra avvertito del problema culturale/religioso e, ben immaginando l’impreparazione di quanti siedono in sala, fornisce loro i necessari riferimenti, che sono un misterioso tomo in ebraico e la relativa traduzione in inglese, giacché non tutti sono tenuti ad essere ebrei  religiosi strettamente osservanti. In sostanza, si tratterà di mettere in atto un esorcismo. Niente di nuovo, direte. Invece, la novità è nella lingua, l’antico ebraico. Ad ogni buon conto,  Goyer chiede aiuto ad Oldman e lo veste da rabbino per un’ultima sequenza spaccatutto. Il regista, il quale ha conosciuto anche Batman (Il cavaliere oscuro) sia pure di sfuggita, cade nel peggior equivoco che possa riguardare il genere, perseguendo una verosimiglianza al di là del codice. Ha pure dichiarato di aver «sempre trovato inquietanti i gemelli ». Problema suo.

I love shopping

Confessions of a Shopaholic
P. J. Hogan, 2008
Isla Fisher, Hugh Dancy, Joan Cusack, John Goodman, John Lithgow, Kristin Scott Thomas, Leslie Bibb, Fred Armisen, Julie Hagerty, Krysten Ritter, Robert Stanton, Christine Ebersole, Clea Lewis, Wendie Malick, Stephen Guarino.

Costo, valore, fiducia. Parametri che non fanno sognare. Specialmente chi lavora nel campo del giornalismo economico si arrovella nel tentativo “impossibile” di conquistare alla lettura un pubblico più vasto della ristretta cerchia di addetti ai lavori. Ciò che manca è  il contatto con le larghe fascie di consumatori, che costituiscono il vero motore dell’economia. La problematica non interessa minimamente  Becky Bloomwood (Fisher), giovane sognatrice,  il perimetro della cui fantasia è segnato dalle dinamiche “private” dello shopping,  che agiscono nel suo intimo con l’onnipotenza di una divinità esclusiva. Rebecca, nel suo  elementare esercizio fantastico, pensa che un giorno le riuscirà di trovare lavoro presso Alette  la sua  rivista di moda preferita: lo considera il traguardo della vita,  lei ragazza americana  semplice dalle origini molto semplici. Il destino vorrà collocarla proprio laddove non avrebbe mai pensato di potersi trovare, nella redazione della rivista di economia, edita, guarda caso, dallo stesso editore del periodico di moda che tanto fa sognare Becky. Nella favola moderna, il caso vuole che i due mondi “antitetici” si tocchino, in un gioco simpatico di scambio di linguaggi che coinvolge inevitabilmente anche la Tv, dove tutto prima o poi deve passare. Interessata soprattutto a risolvere il problema pratico delle sue carte di credito in rosso stabile, la ragazza si troverà ad indossare letteralmente i panni di un  paradosso del vivere tipico dei nostri giorni, riferimento obbligatorio verso modelli di comportamento consequenziali alla macchina dello sviluppo. Come dire: laddove vi sia una fermata del bus, troverete una Becky intenta a divorare uno dei cinque  bestseller di Sophie Kinsella (pseudonimo della scrittrice londinese Madeleine Wickham), I love shopping, I love shopping a New York, I love shopping in bianco, I love shopping con mia sorella. Il primo (da cui il film dell’australiano Hogan) risale a 8 anni fa. Da allora,  il racconto della  compulsione all’acquisto ha affascinato 15 milioni di lettori (pensiamo lettrici) in tutto il mondo, dagli Usa all’Europa, dalla Turchia alla Cina, al Giappone, all’Indonesia. Se un giorno Kinsella dovesse avere un soprassalto di responsabilità per lo shopping mancato in Iraq, sarà il caso di non colpevolizzarla. In fondo, abbiamo passato  anche grazie a  lei un centinaio di minuti in allegria al cinema. Ciò non è male, pur nella debita proporzione al ribasso artistico, che ci imprigiona al solo pensiero di quel Diavolo che una volta vestì Prada.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart