CINEMA: I MAESTRI: Il ferroviere25 Giugno 2011 di Filippo Sacchi Alta classe cinematografica e serio interesse umano sono i due caratteri distintivi del Ferroviere di Germi. Rari, forse anche nella produzione mondiale, sono i film così formalmente ineccepibili. D’altra parte coerente con la sua ispirazione, Germi si è mantenuto sul terreno della realtà sociale, prendendo i suoi personaggi in un ceto ben precisato, e seguendoli con simpatia nei loro comuni pro blemi e personali conflitti. L’angolo d’osservazione da cui sono visti questi problemi è la famiglia del ferroviere Andrea Marcocci. La famiglia, dove accan to a un figliolo e una figliola già sui vent’anni cresce un fratellino di sei, e che sino a un certo punto Sara, la mamma, gentile creatu ra piena di finezza e di bontà, era riuscita a portare coraggiosamen te avanti, è già al principio del film in piena crisi. Piero il figliolo è uno scioperato che non lavora e corre dietro a espedienti incerti e sovente poco puliti. Giulia è stata sposata in fretta a un amico, Renato, che non ama, ma col quale aveva combinato ugualmente un figlio fuori programma. Ma la vera origine di tutti i guai è il carattere del padre, Andrea Marcocci, tipo svelto, ma impulsivo, supponente e strampalato, che il dannato vizio del bere svia dal dovere e dalla famiglia. Già così coi nervi in aria, un giorno men tre conduce il suo rapido a cento all’ora, allo svoltar di una curva improvvisamente un suicida si butta sotto la motrice. Tanto Mar cocci rimane stravolto che poco dopo, nell’entrare in stazione, non vede un segnale rosso, e per un miracolo non provoca una catastrofe (tutto il racconto di questa corsa, con l’incidente terribile e l’agghiacciante frenata al pelo tra i due treni, è un magnifico pezzo di regia). Marcocci viene sospeso, poi, in seguito ai risultati di una visita medica di controllo, retrocesso al servizio delle locomotive di manovra sui piazzali. Persuaso di essere ingiustamente trattato e ar rovellato contro la malignità del mondo, comincia a prendersela con tutti, con le ferrovie, col ministero, coi sindacati che non l’hanno difeso, coi compagni che non solidarizzano abbastanza con lui, al punto che quando vien proclamato uno sciopero, apposta per ripicco, e un po’ anche si capisce per la soddisfazione di pren dere il suo posto davanti al quadro di comando di una motrice, o di provare che è sempre lui, si offre di condurre un treno viaggiatori da Roma a Milano, anche se questo atto di crumiraggio lo taglia definitivamente dal suo ambiente e dagli amici. Per colmo, durante una drammatica scenata, avendo appreso che Giulia ha un amante, così brutalmente e direi vigliaccamente la schiaffeggia che finisce per colpire anche l’infelice moglie intromessasi a difender la. Piero che vede percossa la madre, la quale poco prima gli aveva dato il suo unico gioiello perché si cavasse da un pericoloso im broglio, perde il lume degli occhi e si avventa contro il padre. La vita in comune ormai è divenuta impossibile. Piero e Giulia ab bandonano definitivamente la casa paterna. Mi fermo qui, perché prima di riportare le cose a posto e di ar rivare alla conclusione la strada è ancor lunga. Ma diciamolo pu re: troppe cose succedono a questa famiglia Marcocci. Non è che pensiamo che non ci possano essere famiglie dove a un certo mo mento tutto va male. Però anche nella vita, quando qualcuno vi racconta i suoi guai, se sono troppi e la tira in lungo, vi sarà suc cessa alle volte questa brutta cosa: di sentire dopo un po’ con ri morso che non riuscite più a immedesimarvi come vorreste. Anche per gli stimoli patetici purtroppo vale la regola che al di là di una certa frequenza si attutiscono. Un intreccio di casi meno macchi noso avrebbe avuto un altro vantaggio: di impegnare forse di più il regista Germi, e un po’ meno l’attore Germi. Perché, come sape te, in questo film Germi si presenta anche personalmente nella parte del protagonista. Ho paura che, scegliendosi, Germi sia stato un po’ indulgente con se stesso: la compiacenza con cui insiste a tenersi sotto la macchina da presa rasenta già leggermente il narcisismo. Ora è vero che non gli manca intelligenza mimica; un buon regista del resto dovrebbe essere sempre teoricamente un grande attore. Ma decisamente la sua maschera non possiede l’intensità e il dinamismo fotogenico necessari per occupare continuamente lo schermo. È, curiosamente, una maschera tormentata e insieme inespressiva, un po’ a causa dell’occhio che non si decifra sempre, rna soprattutto per quei due tic fissi, l’eterna ruga sulla fronte, e l’eter no ghigno delle labbra e del mento che riescono alla lunga mono toni e falsi. E allora, poiché la bravissima Luisa Della Noce ha soltanto una parte collaterale, e Sylva non è che un corpetto che piagnucola, tutto il peso emotivo del film finisce per ricadere quasi esclusivamente sul personaggio più piccolo, l’immancabile Sandrino. Ci sentirete forse qua e là nel trattamento vaghi riflessi dei monelli di De Sica. Però Edoardino Nevola è un carattere, e poi ché egli deve adempiere nel film anche a un compito didascalico, che è quello di opporre l’innocente sapienza dell’infanzia alla litigiosa stoltezza dei grandi, riconosciamo l’arte di Germi che è riu scito a farlo parlare da ometto senza che mai, neppure nelle battute sdolcinate, appaia saputello e insopportabile. Nel cinema italiano, affollato di tesorucci che tirano gli schiaffi, questo è già un bel successo. Letto 1956 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||