CINEMA: I MAESTRI: Jean-Luc Godard. Armati soltanto della purezza24 Agosto 2013 di Gabriele Baldini La Chinoise è un film facile e puli to, il più mondo â— tra i recenti â— da scorie e slacci di problemi buttati sgar batamente nella mischia e subito per duti di vista. Tanto non basterebbe a raccomandarlo, in specie fra i fedeli del Godard, un artista nato all’insegna dello sbaraglio. E difatti credo che tutta codesta lindura â— a tratti per sino con sospetto di perbenismo â— siano i limiti dell’opera. Anche La Chinoise (1967) come al tri film di Godard, adotta lo schema: tema con variazioni, di origine illu ministica. Con il sottinteso che il te ma sia il più vago possibile. Ci sono dei giovani: due ragazze, e tre ragaz zi asserragliati in un appartamento della media â— e anche oltre â— bor ghesia con porte e finestre dipinte al la brava a colori vivaci, che occupa no le giornate a citare, diremmo, più che propriamente a discutere, talune massime sparse tratte dal breviario di Mao, al fine di convincersi sem pre meglio â— più per ostinazione che per forza dialettica â— che in quelle si trovi l’unica interpretazione accet tabile del marxismo e del leninismo, e a elaborare piani di propaganda e di rivoluzione e addirittura â— qui è la maggiore audacia e violenza sullo spettatore â— a portarli a termine: as sistiamo, o almeno così sembra, alla soppressione d’un capo avverso. Ma il film non ha la mutria serio sa: si propone anzitutto come « divertissement », bensì anche alle spalle dei borghesi contro cui sono elabora ti i piani dei giovani, ma più spesso alle spalle degli stessi giovani: il loro fanatismo, difatto, oltre che negli aspetti immediati e schietti, si offre anche nei suoi risvolti ridicoli e buf foneschi. La commedia, la grande commedia non è raggiunta perché non può esservi commedia quando la osservazione del costume è tanto ap prossimativa e distratta, e soprattut to quando il punto di vista è così po co saldo. C’è al suo luogo un carezzamento continuo leggero delica to e soprattutto elegante delle « topics » di moda. La materia figurativa, insolitamente tersa e specchiata per il Godard, vede gli interni francesi con occhi e nostalgie americane (un punto di vista, comunque) e i suoi modelli ispiratori â— ma senza ironia, ché sarebbe stato troppo facile â—. so no soprattutto Vogue e il New YorJcer. Tanto spiega il successo presso il pub blico, che si trova rassicurato da que sto caldo comfort, rimandate in alto mare le soluzioni dei problemi più ur genti. Il talento superiore del Godard e soprattutto le sorti del dibattito for se più assillante delle stagioni che at traversiamo non passano per questo film. Passano invece, forse senza che lo stesso Godard se lo proponesse, per un altro suo film d’un anno in nanzi, Masculin Féminin, (1966) che è stato mostrato per la prima volta a Roma, in un cine club, in questa stes sa settimana. I due film, curiosamen te, si sentono in qualche modo paren ti, ma come per un parallelismo ca povolto: l’uno s’incastra nell’altro per ché è esattamente tutto quanto l’altro non è. Stesso schema narrativo: gior nate di giovani, che qui son due ragaz zi e tre ragazze. Ma questi non sono intellettuali dichiarati: lavorano in caotici uffici di grandi department sto- res parigini immersi in un incessan te frastuono attraverso il quale giun gono appena â— richiami-segni afferra ti e subito smarriti â— le parole es senziali per dir dell’affiorare dei sen timenti: per trovare qualche raccogli mento e tentare le compromissioni più appassionate, procurano d’incon trarsi nel W.C. dell’ufficio, ma le pa reti sottilissime, se non il tumulto della città, rimandano anche qui l’eco dello stridore e dell’arroganza di vo ci private che ripropongono in toni diversi i loro stessi casi. Si ritrovano nelle lavanderie a get tone, e ingannano l’attesa con qualche storiella oscena portata con la sobria grazia che solo sanno i francesi, in qualche balera ottenebrata, in scomo di cinematografi, attorno al tavolo di qualche bistrot per un pasto breve e affrettato. I rumori più feroci strin gono d’assedio forsennato codesti gio vani, ma la loro gioventù e la loro freschezza e sincerità riescono pur a dirsi qualcosa. Del resto i rumori non sono distorti: non c’è nessun tenta tivo di renderli ossessivi- lo sono. Ogni tanto queste fragili creature si trovano costrette a testimoniare atti di estrema violenza: una donna spa ra a un uomo in strada, davanti agli occhi forse del loro bambino; un ra gazzo, abbandonato il flipper, si confic ca un coltello nel ventre, barcolla, non si fa in tempo a soccorrerlo; un intellettuale « buddista » Si fa regala re di forza una scatola di cerini per elevare la sua protesta cospargendosi di benzina e incendiandosi. E tutta via, nel frastuono della città questi sono dei fatti come tanti altri: non c’è tempo né modo di analizzare le reazioni che potrebbero determinare: pure queste operano anche senza es sere interrogate. La vita è ridotta a una così precaria e meschina condizione che, attinti al cuni essenziali umili piaceri â— solo, così, per ascoltare il proprio polso â— si può gettarla via, reperto sanguinan te incartato in un giornale. Ché que sti giovani sono armati soltanto del la loro purezza e hanno volti parole e gesti da angeli, anche se un po’ goffi e impacciati nei loro vestitucci di moda; ma, fors’anche per indul gere ài loro peccati con tanta triste naturalezza e lealtà, non sono per nulla astratti, come i giovani de La Chinoise’, sono anzi estremamente ca ratterizzati, ognuno per suo conto e con sfumature diverse, proprio dalla loro indifesa tenerezza e dalla loro coraggiosa rinunzia al cinismo. Il protagonista Paul â— l’attore Jean Pierre Léaud, che già ammirammo dodicenne nei 400 coups di Truffaut, e che presta la sua arte controllata anche alla Chinoise â— è uno dei per sonaggi più poetici cui abbia dato vi ta il cinema di questi ultimi anni: proteso trepidamente verso una cono scenza che gli sfugge di continuo â— come quella sigaretta che non riesce mai a farsi saltare bene in bocca co me ha visto fare a qualche eroe ame ricano del cinema â— ma che ne fa un autentico intellettuale contro quelli di maniera de La Chinoise; ansioso del l’adempimento dei pochi grati doveri che la giovinezza e l’amore hanno in serbo per lui, come l’abbia adempiuti, opta per un suicidio senza retorica, che i suoi compagni sapranno pieto samente mascherare. Gli altri personaggi, la brunetta dai capelli morbidi e setosi, la biondina lesbica, il ragazzotto dalle efelidi e la terza ragazza (indimenticabile lo idillio di costoro in cucina) si offrono a un grado attenuato solo per aureolarlo meglio. E’ chiaro che tutto questo è ottenuto per una tecnica del la ripresa che non consenta a questi attori di recitare ma solo di lasciar si sorprendere a vivere, e credo che a questo scopo sia evitato anche ogni aggiustamento dell’illuminazione, che non è mai predisposta e quindi irreale. Tanto procura che la « suspension of disbelief » non sia mai in terrotta. Dallo spettatore convenzio nale tutto questo potrà venir scam biato addirittura per sciatteria o impe rizia fotografica, ma quando si sia in tesa la forte carica espressiva di que sta povera luce quotidiana si sarà ag giunto un importante connotato alla consapevolezza stilistica di Godard. Confesso che, prima di vedere Ma sculin Féminin, avevo dei seri dub bi su questo regista tanto strombaz zato, e m’erano saputi piacere abba stanza solo Une femme est une /em me (1961) e Vivre sa vie (1962) men tre per il resto l’irritazione soverchia va pure l’ammirazione per taluni splendidi passaggi. Certo si tratta di un ingegno pericolosamente dise guale in cui estro furbizia faciloneria fretta e drizzoni compromettono trop po spesso i doni d’una fantasia crea trice lucida e originale; ma bastereb be questo Masculin Féminin, â— ag graziata e insieme severa voce del nostro tempo â— a metterlo al centro d’una stagione. Letto 6040 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||