CINEMA: I MAESTRI: Luis Buí±uel. Più Labiche che Kafka27 Ottobre 2012 di Gabriele Baldini L’opera di Luis Buí±uel, sottovaluta ta quando non addirittura ignorata dal grosso pubblico e soprattutto dai di stributori fino al premio di Venezia, mi sembra che venga ora eccessiva mente sopravvalutata. Si tratta pur sempre di « curiositées esthetiques »; la facoltà creatrice si accontenta di giochi e allusioni ma morde poco. El angel esterminador, che si vede in Ita lia in questi giorni, dopo sei anni, è a mio parere una prestazione modesta e può fare appena il giuoco di quanti ancora confondono il fumo con l’ar rosto. Ma quanto dico si riferisce in specie al risultato: è chiaro che nelle intenzioni il film si proponeva di at tingere temi di gran momento e rin tracciarli e scoprire il baco della ri nunzia sarebbe interessante. Un ricco messicano convita a cena, dopo uno spettacolo teatrale, alcuni amici altrettanto ricchi e ingioiellati. Terminata la cena, per cause non ben precisate, nessuno riesce ad uscire dal palazzo, che è stato in precedenza ab bandonato dalla servitù al completo. La comitiva resta assediata nel palaz zo per giorni e giorni fino ad abbrutir si nel modo più sconcio. Un orso dal passo insieme pesante e felpato lambi sce le sale dove i convitati, preda della fame â— ma anche di stupefacenti â— si trascinano in un lezzo disgustoso, au mentato dalla circostanza che uno d’essi è morto e il cadavere non è sta to sotterrato. L’incantesimo, tuttavia, quando la compagnia ha raggiunto il margine del parossismo, si scioglie: la spiegazio ne data è che, per un bizzarro mecca nismo, il gruppo attraversa un mo mento in cui riprende le stesse positu re â— e in qualche modo anche le stes se situazioni psicologiche â— di quando il fenomeno s’era dato. Liberati dal l’assedio, tutti s’avviano a una chiesa per un Te Deum di ringraziamento. Ma qui si ripete lo stesso inconvenien te che nel palazzo, coinvolti in esso anche i preti e i sacrestani: nessuno vuole e può più uscire dalla chiesa: s’intravede una irruzione di altri prov videnziali montoni. Perché scomodare orsi e montoni? Ora una storia del genere, racconta ta così come l’ho raccontata io sembre rebbe prestarsi meglio all’idea di una « pochade » che di una tragedia. Ma io non ho forzato la mano: l’ho racconta ta, davvero, né più né meno come l’ha raccontata, o meglio come è stato co stretto a raccontarla Buí±uel. E’ evi dente che questa non era che la par venza di un’altra storia che Buí±uel sperava di raggiungere mediante l’ef ficacia di quello scheletro di storia che ho esposto, che avrebbe dovuto avere un valore soltanto simbolico. Ma qual cosa non ha funzionato. Io credo an che di sapere che cosa non ha funzio nato: la sceneggiatura, la recitazione e, infine, persino la fotografia. La sceneggiatura, in una storia così ambiziosa, avrebbe dovuto, secondo me, non tanto chiarire â— queste fac cende s’avvantaggiano sempre dal non esser chiarite â— ma illustrare in modo più sconcertante il nodo della questio ne, che è proprio nella natura dell’im possibilità che hanno gli ospiti ad uscire dal castello: la storia comincia va e finiva lì: non solo, ma un minimo di fede nella ficelle avrebbe postulato anche che ognuno degli ospiti avesse delle ragioni differenti per lasciarsi co gliere nella rete: qui è il maggior di fetto del film, ché gli ospiti non sono caratterizzati per nulla, offrono tutti lo stesso volto, tutti le stesse reazioni, si scoprono gli stessi peccati â— bana lissimi tutti, sia nella sostanza che nell’enunciazione â— proprio né più né meno come vestono tutti gli stessi ve stiti, una sorta di fastosa e avvilente uniforme mondana. Anche questa avrebbe potuto essere una storia, ma per questa non c’era ra gione di scomodare orsi e montoni. Ora io credo che questo difetto sia sta to accentuato dalla mediocrità degli attori, nessuno escluso: non solo non avevano battute di dialogo che tratte nessero un minimo di vitalità ma an che se l’avessero avute non avrebbero saputo smerciarlo tant’è vero che non seppero smerciare nemmeno i poveri balordi pretesti che gli offerse da ulti mo il copione. Non aveva l’asso nella manica Buí±uel, che certo tutti gli « shortcomings » fin qui descritti li conosce be nissimo, non s’è sentito la forza, per una occasione così melanconica, di ti rar fuori l’asso della manica, ha fatto dormire l’invenzione d’un sonno pro fondo, senza neppur russare, e il foto grafo messicano Gabriel Figueroa â— famoso per prestigiose velature colte altrove: i quattro Oscar che sbandiera la pubblicità vennero per altre ventu re, e a Figueroa, non al film di Buí±uel â— si portò, addietro negli anni, allo stile di Karl Struss â— quello che da noi fu coltivato da Vaclav Vich â— fa voloso leccato e rimandante e, insom ma, « per bene »: mentre se l’idea di Buí±uel aveva un senso era proprio nel non essere una fiaba. Si sa che quando Buí±uel fa muove re gli animali scatta sempre un « nu mero »: qui non scatta, ché l’orso e le pecore risultano appena « citati ». Le scene poi della mano tagliata che scor re sui mobili e striscia sui tappeti è quella che più mi conforta nell’idea che dietro tutta questa macchina ci sia più Labiche che Kafka. Io limiterei i momenti creativi di Buí±uel alla giovinezza: soprattutto al le cose sperimentali (Le chien andalou e l’Age d’or), a un film molto bello girato in Messico nel ’50: Los Olvidados, e, forse, a Nazarin, ma non a Viridiana. C’è, in tutto il resto, il grave re taggio di una impotenza creativa e non per via dell’invenzione formale, sempre rinnovata, ma per la banalità la scioccaggine e qualche rara volta persino la volgarità delle idee: che ci sia anche la confusione, per un artista non sarebbe gran male. La confusione è un grande tema. Ma Buí±uel non lo sente congeniale. Letto 1978 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||