CINEMA: I MAESTRI: Marlene Dietrich: L’ultima reincarnazione di Afrodite
16 Aprile 2008
 di Sergio Frosali
[da “La Nazione”, giovedì 7 maggio 1992]
Erano due, le grandi gemelle antagoniste del fascino fem Âminile, Greta Garbo e Marlene Dietrich. Poi rimaneva so Âlo lei, la tedesca di ferro che niente pareva scalfire, la bellezza enigmatica e ironi Âca con le guance scavate e l’occhio malizioso, così concreta ma nello stesso tempo inaccessibile. E ora, dopo aver resistito in carrie Âra dal 1923 per più di cinquant’anni, la sua scompar Âsa sigilla la fine di un’epoca, quella delle incomparabili. La regola di tali creature an Âteponeva alla stessa bravura l’importanza decisiva della personalità . Si, certo, recita Âre, questo esigeva nonostan Âte tutto il mestiere, ma prima contava l’«essere ». Marlene Dietrich, nella vita e nell’ar Âte, «era » a livelli incontenibi Âli. Passionale ma anche serenamente padrona di sé, aveva imposto il suo stile, che coincideva appunto con il suo modo di essere. Certe interpretazioni della maturi Âtà sono perfino state segnate da una trasparente ironia sul proprio ruolo, sul film stesso nel quale recitava. Poteva permetterselo, con la libertà di chi si affida in toto alla pro Âpria natura.
Mezzo secolo e più di storia le ha imposto comunque dei mutamenti. Dopo i primi film nella sua Germania aveva raggiunto la celebrità nel ’30 dando vita alla figura eccitante e ambigua di Lola Lola, la chanteuses equivoca dell’Angelo blu (azzurro – bdm), la voce rauca nel    locale   dove   eccitava  l’ammirazione de Âgli avventori. Nascevano un simbolo, un modello grafico ed esistenziale, nasceva la figura della donna padrona e peri Âcolosa, questo mito che la residua cultura dell’  Ottocen Âto affidava al nostro secolo.
Mai investimento fu cosi ben piazzato. Resisté per almeno un decennio, mentre continuava   a  dirigerla   il   suo amante e Pigmalione, il regi Âsta  Joseph   von   Sternberg che con lei avrebbe attraver Âsato l’oceano per insediare quel   patrimonio   corporeo nel  repertorio hollywoodiano. Von Sternberg non face Âva che vestirla e spogliarla, renderla disgraziata o trionfante, maledetta o sublime, sempre accarezzando la sua immagine in bianconeri di elegante levità ed esaspe Ârando intorno a lei il delirio estremistico di un dècor che ormai non aveva più nulla di realistico. Marlene Dietrich lasciava fare, già inauguran Âdo la sua leggendaria sere Ânità e quasi indifferenza. Lei, che la biografia di Jean Gabin, uno dei suoi amanti e compagni, avrebbe ricordato come una tedesca acqua e sapone che amava cucinare e pulire meticolosamente i pavimenti di casa, giocava il gioco assegnato, senza crisi di identità . Si segnala già in questa fase della sua vita una sorta di doppia identità : quella di tenere da una parte casa a Parigi per l’eleganza e la cultura, dall’altra di reggere in loco il gioco holly Âwoodiano con serena distan Âza, senza un capriccio, dan Âdo lezioni di puntuale profes Âsionalità .
A Hollywood intanto le ave Âvano cambiato l’aspetto, as Âsottigliando la sua linea corporea e affinando anche quel suo viso tendenzialmente largo con l’estrazione dei denti esterni, da cui le fos Âsette che fanno parte del suo celebre look. Venne accusa Âta di essere stata plagiata da Von Sternberg, ma la sua vi Âta seguente avrebbe dimo Âstrato come con tutta eviden Âza il suo carattere la adattas Âse senza sforzo a tutte le baroccherie che la circondaro Âno e la segnarono in opere come Marocco, Disonorata, Shanghai Express, Venere bionda.
Il giudizio su questi film è an Âdato oscillando lungo gli an Âni fra un’ammirazione quasi incondizionata e una distan Âza tranquillamente perples Âsa. Ciò non toglie che Holly Âwood abbia toccato, in lei e con lei, nel periodo segnato da Von Sternberg, il massi Âmo grado plausibile e anche oltre, di sofisticazione nel costruire una femminilità da serra. Il che corrispondeva poi alla vocazione profonda di quel luogo inclinato alla magia intesa come gioco di prestigio, travestimento, ir Ârealtà «soprannaturale ». Gli anni che la segnarono re Âsero celebre la sua immagi Âne. In certo senso non ne è mai uscita del tutto, pur rinnovandosi ed esibendosi in ruoli relativamente quotidia Âni. Del resto più di tanto non poteva cambiare: si cambia Âno forse i grandi monumen Âti? Chi ha interesse a farlo? Non lo aveva neppure Marle Âne Dietrich, mai ribelle alle esigenze della professione. Tanto inseguiva la varietà e la novità fuori dal mestiere. Percorse il fronte di guerra come fervente animatrice di spettacoli per soldati, e lo fe Âce con tale vocazione antina Âzista da meritare, per gli stenti sofferti, una decora Âzione. Coltivò, finita l’era Von Sternberg, amori cele Âbri, come quello con Jean Gabin che la abbandonò per Âché lei non volle sposarlo. Da ultimo, ma siamo già arri Âvati al periodo post-cinematografico, quando infaticabilmente percorreva il mondo per cantare accompagnata da una propria orchestra, ebbe per compagno il giova Âne Burt Bacharach che scri Âveva musica per lei. Evocare il corpus dei suoi film sareb Âbe impresa ardua, per il nu Âmero e la varietà . Del resto siamo certi che molti di essi, in mortem, verranno esumati, così la gente se ne farà un’i Âdea. Dobbiamo però dire che Marlene Dietrich neppure sfiorò lo straordinario talen Âto della sua rivale e contem Âporanea Greta Garbo, anzi restò attrice dai mezzi relativamente limitati. Ma questo a chi importa, quando si ha a che fare con un simbolo? Chi esce dalla realtà per entrare nel mito non ha bisogno d’al Âtro. Potremmo dire: Marlene Dietrich è stata forse la più imponente e pertinente fra le ultime reincarnazioni di Afro Âdite. In fondo i suoi erano, come abbiamo visto, modi di essere più che interpretazioni, e qui la sua intelligenza di donna, anzi di superdonna, la assisté con lo strepitoso intuito che la rende memora Âbile.
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