CINEMA: Una leggenda usa e getta
19 Giugno 2008
di Corrado Farina
[Alcuni film dell’autore: “Hanno cambiato facciaâ€, 1971, “Baba Yagaâ€, 1973. Gli ultimi romanzi: “Storia di sesso e di fumettoâ€, Mare nero, 2001, “Dissolvenza incrociata”, Fògola, 2002, “Il calzolaio”, Marco Valerio, 2004, “Il cielo sopra Torino”, Fògola, 2006″]
Potevo non sbattermi subito a vedere, quando è uscito nelle sale qualche mese fa, Io sono leggenda? Avevo più di una ragione per farlo. Il precario equilibrio su cui si regge la mia vita di spettatore cinematografico (costantemente alla ricerca di film che riescano a conciliare gli opposti, l’impegno con l’evasione, la riflessione con lo spettacolo) mi impone di mettermi in vena ogni tanto un sano blockbuster per controbilanciare l’eccesso di sedicenti film d’autore cui mi sottopongono le proiezioni del David di Donatello. Poi c’era il fatto che il breve romanzo di Richard Matheson è forse uno di quelli che più mi hanno segnato nell’età degli imprinting, e non potevo non sperare che almeno in terza battuta ne venisse tratto un film che ne fosse degno. Infine, last but non least, proprio nei giorni in cui il film è uscito io stavo rivedendo le bozze definitive di L’invasione degli ultragay, il mio prossimo romanzo, che con I’m Legend ha più di un debito di riconoscenza. Vi si narra infatti di uno scrittore “di genere” che pubblica a puntate un racconto molto simile a quello di Matheson, sostituendo però gli omosessuali ai vampiri: e la cronaca delle reazioni che la pubblicazione suscita nella società in cui viviamo procede di pari passo con le avventure del suo protagonista, ultimo eterosessuale rimasto sulla faccia della Terra.
Ma questa è un’altra storia: torniamo alla terza versione cinematografica del libro di Matheson, per domandarci che cosa ne è rimasto dopo che ci è passata sopra la macchina asfaltatrice del cinema hollywoodiano di oggi.
La risposta, ahimè, è che ne è rimasto ben poco, come poco ne era rimasto in 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra (la versione del 1971 con Charlton Heston). Intendiamoci, come blockbuster ha tutte le carte in regola, e in mezzo alle ormai consuete patatine rifritte nell’olio degli effetti speciali azzecca anche qualche boccone di buon cinema, come la sequenza di caccia iniziale, la solitaria partita a golf sulla portaerei o i cani-vampiri che arretrano ululando davanti all’ultima strisciata di sole. Sono tutte invenzioni di una sceneggiatura in cui passa quanto meno l’ombra di quel senso di disperazione esistenziale che c’è in Matheson. La frana incomincia purtroppo, come al solito, con la comparsa dei “mostri”  (ogni minaccia è tanto più efficace quanto più rimane inespressa: per restare a Matheson, pensate a cosa sarebbe stato Duel se a un certo punto il camionista fosse sceso giù dal suo mezzo per prendere a cazzotti il protagonista), accelera con la comparsa della ragazza e diventa rovinosa nel finale, che rivolta come un guanto il significato del libro (e del suo titolo): Neville, infatti, qui non è più leggenda perché nel nuovo ordine sociale la specie umana di cui egli rappresenta l’ultimo sopravvissuto non esiste più, ma perché affronta la morte per permettere la sopravvivenza di quella specie.
Uscendo dalla sala mi meravigliai che, tradimento per tradimento, i cervelloni delle multinazionali che controllano oggi il cinema americano non avessero pensato addirittura a un happy end, in cui Neville, alla faccia della leggenda, ne uscisse sano salvo e felice. Beh, non ci crederete: prima in Internet e poi sul DVD americano del film, è saltato fuori un finale alternativo, regolarmente girato, montato e sonorizzato. In questa variante risulta che Neville trova un antivirus e salva con esso la donna del capo-vampiro, che lo lascia fuggire con la sua, di donna, non si sa verso dove; forse (Dio ci scampi) verso un sequel ancora più privo di senso. Un happy end in puro stile hollywoodiano, a cui mancano solo i fiori d’arancio e la marcia nuziale in colonna sonora, e che non può che mandare in bestia gli estimatori del romanzo, che non sono certamente pochi. Tra l’altro, se le cose fossero andate veramente così, come si giustificherebbe il titolo? Forse Neville diventerebbe “leggenda” per avere scoperto l’antivirus? Ma allora non sarebbe più il romanzo di Matheson, sarebbe la biografia di Madama Curie. Â
A questo punto non mi restava che tornare alle bozze del mio, di libro; oppure scavare nel passato, e andarci a ripescare il remoto ricordo di L’ultimo uomo della Terra (la versione del 1964 con Vincent Price), Â che se non ricordo male ricavava dalle metafisiche scenografie dell’Eur una suggestione pari a quelle dell’attuale Manhattan deserta. E senza bisogno di effetti speciali.
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