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Due articoli

12 Maggio 2012

Niente alibi, vanno presi sul serio
di Cesare Martinetti
(da “La Stampa”, 12 maggio 2012)

Il volantino del «nucleo Olga » con il quale la federazione anarchica informale ha rivendicato il ferimento dell’ingegnere dell’Ansaldo Roberto Adinolfi è insieme un documento vecchio e nuovo. Vecchio non solo per la citazione di Michael Bakunin (che essendo russo si chiamava in realtà Michail) ma per una generale rievocazione del format dei volantini degli anni di piombo. Nuovo perché puro prodotto dal mondo di oggi, deserto di politica e di ideologie, senza nessuna speranza o progetto di un mondo regolato da un ordine nuovo, ma genericamente rivolto al «sogno » anarchico, di una società senza stati e senza gerarchie.

La frase chiave ci sembra questa: «…non siamo alla ricerca del consenso. Quella che adesso cerchiamo è complicità ». Annunciando nuovi attentati, i criminali del «nucleo Olga » con queste parole vogliono dire che non sono interessati ad azioni dimostrative banalmente rivolte a «cittadini indignati per qualche malfunzionamento di un sistema di cui vogliono continuare ad essere parte ». A loro non interessa un «democratico dissenso », né la «generosità che si trasforma in assistenzialismo ».

Loro vogliono «colpire dove più nuoce, l’insurrezionalismo di facciata » non fa altro che legittimare il potere. Di qui la scelta di impugnare «una stupida pistola », il salto di qualità che il capo della Polizia Manganelli aveva annunciato qualche mese fa senza enfasi e senza ottenere evidentemente l’attenzione dovuta. Gli anarchici sono passati all’azione: basta con la poesia alienante, dalle armi della critica sono passati alla critica delle armi.

Il documento intitolato a Olga che è in realtà Olga Ikonomidou, una degli anarchici arrestati nei giorni scorsi in Grecia, ha una lunga parte chiaramente rivolta al movimento, italiano e internazionale, a gruppi e gruppuscoli informali aderenti al Fai/Fri, la federazione internazionale anarchica. Ha dunque un importante aspetto interno che ci interessa relativamente.

Decisivo ci sembra invece ragionare su quell’appello alla «complicità » chiaramente rivolto a quelle parti di società impegnate e sensibili, all’area grigia, indistinta dove la scomparsa della mediazione politica più tradizionale ha diffuso il verbo dell’antagonismo rendendo labili i confini della legalità. Roberto Adinolfi è stato colpito in quanto «stregone dell’atomo dall’anima candida » – scrivono gli anarchici di «Olga » -, tecnico della scienza pulita, agente di quel capitalismo che uccide con l’aiuto della scienza e della tecnologia, un «solo unico moloch ».

Ansaldo nucleare, tentacolo Finmeccanica, mostruosa «piovra artificiale », Avio, Alenia, Galileo, Selex, i caccia bombardieri F35, i «terribili droni, aerei senza piloti », treni ad alta velocità che devastano il territorio, centrali nucleari come Fukushima, bio e nano tecnologie: di tutto questo si compone l’incubo di un mondo mostruoso e allucinato contro cui si leva la nuova anarchia. I suoi ragazzi a Genova «con una certa gradevolezza » – scrivono – hanno armato le loro mani e sparato contro l’ingegner Adinolfi, per restituire «una piccolissima parte delle sofferenze che tu – il documento in questo punto si rivolge direttamente alla vittima – uomo di scienza stai riversando sul mondo ».

Non commetteremo l’errore di definire «deliri » – come accadde all’apparizione dei primi documenti Br negli Anni Settanta – i contenuti di questo volantino. Sono qualcosa da prendere molto sul serio: sono un progetto politico e criminale. Sappiamo come andò a finire allora. Questa volta potrebbe essere peggio perché non c’è un partito armato strutturato e dotato di una cultura politica – criminale e sanguinaria fin che si vuole – che però a un certo punto prende atto della sconfitta. Nel contesto di oggi c’è una rabbia sociale diffusa e caotica sulla quale giocano aspiranti rivoluzionari che – nel documento diffuso ieri – si dicono pronti alla galera e al martirio.

Tutto questo richiama il governo e le forze politiche ad una responsabilità massima e senza debolezze. Ma richiama anche tutti quelli che si muovono nel sociale e nei movimenti a sapere che dopo i colpi di pistola di Genova niente è più come prima: manifestare è giusto e legittimo, dare alibi e copertura a chi ha preso in mano le armi è criminale. Le Br cercavano il consenso e sono state sconfitte perché non lo hanno avuto; questi qui vogliono dei complici. Attenzione.


Scrivere da liberale al tempo di Monti
di Piero Ostellino
(Dal “Corriere della Sera”, 12 maggio 2012)

«Perché ce l’hai con Monti? », mi chiede chi legge i miei articoli e non mi conosce. Io non ce l’ho con Monti; ce l’ho con ciò che fa, o non fa, da capo del governo, come non ce l’avevo con Tremonti â— sono stato il solo a criticare aspramente l’esecutorietà della sanzione amministrativa, mentre gli altri scrivevano di Ruby â— del quale sono amico quanto lo sono di Monti. Non parlo mai di persone, ma (solo) di libertà e di diritti individuali. «Però, così, non sei in linea con la linea del Corriere che appoggia Monti ». Non è vero. In primo luogo, il Corriere non lesina critiche a ciò che Monti fa, o non fa, con gli editoriali di Giavazzi e Alesina. In secondo luogo, la linea del Corriere la stabilisce il suo direttore, Ferruccio de Bortoli â— col quale a volte non sono d’accordo, ma che è persona amabile e anche lui un vecchio amico â— mentre di ciò che scrivo nella mia rubrica «Il Dubbio » rispondo solo io, aggiungendo, però, che anche «Il Dubbio » è sul Corriere, un giornale libero.
Chiarisco un altro punto. Un conto, per me, è l’amicizia; un altro il mio mestiere. Con gli amici, se capita, vado volentieri a cena, magari anche per bisticciarci, se sono Monti, Tremonti e de Bortoli, ma non ho mai scritto nulla che non pensassi – neppure per amicizia dei direttori dei quali ero amico â— né nessuno me lo ha mai chiesto in tanti anni di Corriere. Se non ho niente da dire, non scrivo. Se il direttore mi chiede di scrivere un editoriale su un argomento che non sento, ringrazio e gli consiglio di farlo scrivere a un altro.

Ammetto di essere, forse, troppo ingombrante, diretto, tranchant, e, quindi, spesso irritante per certi lettori e di essere stato persino ingombrante per i miei direttori. Ma non sono tanti, anzi, sono troppo pochi i liberali che scrivono sui nostri giornali â— e quelli che ci scrivono, a volte, pare parlino alle autorità cittadine a una manifestazione ufficiale più che scrivere delle cose che non vanno nel nostro Paese â— e, poiché ho persino la sensazione di essere il solo, sono grato al Corriere di poterlo fare sulle sue pagine.
Ma se anche quei quattro gatti di liberali che ci scrivono fanno i pesci in barile, allora, tanto vale, per dirla con Sciascia, che lascino questo povero Paese nelle mani dei quaquaraquà. C’è, poi, anche un dato caratteriale – per cultura e natura diffido di ogni potere, quale ne sia il colore â— che si riflette sulla scrittura. E me ne scuso. Non ritengo í­l mio mestiere una missione; non voglio convertire nessuno, né pretendo che si sia d’accordo con me; mi basta interessare a ciò che scrivo. Non mi sognerei di lasciare l’Italia pur come è: metà collettivista e metà corporativa, intimamente (ancora) fascista, anche se molti suoi figli si credono (adesso) progressisti. 11 giorno in cui diventassimo tutti liberali passerei all’opposizione; sono contro il pensiero unico, compreso quello liberale. Però, vivaddio, lasciatemelo dire: se non si dice pane al pane e vino al vino, con competenza, che senso ha fare questo mestiere?


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart