Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

FAVOLE: Il re buono

5 Aprile 2008

di Bartolomeo Di Monaco

[Per le sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

Molti e molti secoli fa, quando Lucca era ancora un piccolo villaggio, non molto lontano, in un magnifico castello, viveva un fanciullo di nome Gualberto, figlio di re, il quale, essendo morti i genitori, si trovò a governare, a quella giovane età, un vastissimo regno.
      Aveva soprattutto due grandi virtù che superavano le altre che possedeva: era buono e generoso; e non c’era accadimento nel suo regno che non lo trovasse pronto a prodigarsi per gli sventurati.
      Il suo nome correva sulla bocca di tutti; e specialmente tra gli umili lo si pronunciava con grande venerazione.
      Trascorsi gli anni, Gualberto divenne un uomo.
      Aveva già raddrizzato molte cose nel suo regno, ma molto, anzi tanto lui diceva, doveva essere ancora compiuto per la sua gente.
      Gualberto non aveva malizia, e perciò trattava i suoi consiglieri e i suoi principi come se fossero tutt’uno con il suo spirito. Egli credeva che la gioia che ogni volta provava nel fare il bene, occupasse allo stesso modo anche il cuore dei suoi collaboratori.
      Ma noi sappiamo che spesso le apparenze ingannano, e le cose non stavano affatto così. A poco a poco, infatti, molti principi di quel regno cominciarono a pensare che tutta l’enorme ricchezza che Gualberto destinava ai poveri era perduta per i loro forzieri, giacché se il re donava molto o tutto ai poveri, ben poco o niente restava per soddisfare la loro immensa cupidigia.
      Così, una notte si radunarono in gran segreto e decisero che la cosa migliore da fare per frenare un tale sperpero di denaro era quella di dare una moglie al loro re.
      La prescelta però, oltre a possedere la bellezza, doveva anche essere avida, egoista, e legata soprattutto al benessere della corte, piuttosto che a quello del suo sposo.
      Non ci volle molto tempo per trovare la giovane che cercavano; e a quella principessa, ambiziosa oltre ogni immaginazione, lasciarono intendere che una volta diventata regina, sarebbe stata di fatto lei a governare sul regno.
      La ragazza era molto bella, di ottima cultura e di eccellenti maniere; perciò Gualberto acconsentì subito al matrimonio quando udì pronunciare il nome di Caterina quale sua promessa sposa, e ringraziò di cuore i suoi consiglieri, che anche in tale occasione, così pensava, si erano prodigati per lui.
      Le nozze furono celebrate con grande sfarzo; vi presero parte re e regine venuti da ogni angolo della Terra; e allorché Gualberto incontrò per la prima volta la stupenda Caterina, sentì che un disegno del destino stava racchiuso in quella scelta che lo rendeva così immensamente felice.
      Trascorsero i giorni. Gualberto godeva della presenza della sua sposa, che aveva ogni riguardo per lui; nulla gli faceva mancare, e sapeva prevenire i suoi desideri.
      Della sua gioia si seppe in tutto il reame. Soprattutto i poveri ne furono contenti, e mormoravano che quella fortuna capitata al loro giovane re discendeva direttamente da Dio.
      «Gualberto meritava una sposa simile! » si commentò nelle strade e intorno ai banchi dei mercanti.
      Trascorse così un intero anno, e Caterina poté rendersi conto della enorme quantità di denaro che il re destinava in aiuto della povera gente.
      «Non ti sembra sprecata, mio dolce sposo, tutta questa ricchezza destinata ai poveri? Dio sicuramente non approva che tu sperperi tanto denaro a danno dei tuoi principi, che godono della massima considerazione presso di Lui. »
      Gualberto cercò di spiegare a Caterina che le loro ricchezze dovevano servire proprio ai poveri, e che era una fortuna poter fare del bene. A che giovava aiutare chi aveva già molto?
      «Perché possedere tanta ricchezza superflua, quando per essere felici basta molto poco? L’amore che provo per te, mia cara Caterina, non potrebbero ripagarlo tutti i tesori della Terra. »
      E le confidava che non c’era gioia più grande per il suo cuore che sapersi circondato da gente felice.
      «Riuscire a dare agli altri un po’ della nostra felicità, non senti anche tu che è cosa benedetta da Dio? »
      Ma Caterina tanto faceva e brigava che in qualche modo riusciva a frenarlo.
      Tutte le volte però restava colpita da quell’innocenza così connaturata al suo sposo, e si domandava come potesse un uomo non accorgersi che intorno a lui dominavano invece la cattiveria, la gelosia, l’invidia, l’ingordigia e tutti i peggiori vizi che nel corso dell’esistenza umana corrompono la vita di ogni società. Solo chi possiede questi vizi può sperare di sopravvivere e di conquistarsi una fetta di felicità a questo mondo! pensava Caterina.

      Andò su tutte le furie, e protestò duramente con il suo sposo, un giorno che si scoprì che dei mendicanti, approfittando della fiducia del re, si erano appropriati di un ricco forziere destinato ai poveri.
      Ciò nonostante Gualberto non volle desistere; e nei confronti di Caterina e degli altri consiglieri – che gli andavano ripetendo che si trattava di malandrini che avevano carpito la sua buona fede, e come loro ce n’erano tanti tra i poveri – egli si rammaricava che non riuscissero a comprendere che, finché non avessero riscattato la povertà, non ci poteva essere felicità per nessuno a questo mondo.
      Quelle parole suonarono, però, come un pericoloso campanello di allarme per Caterina e quei consiglieri, che temettero che le loro stesse ricchezze fossero in pericolo, se il re la pensava a quel modo. Si moltiplicarono quindi i loro sforzi per contenere in qualche modo la generosità verso gli umili del loro re.
      Ma Caterina cominciò anche a soffrire. Si sentiva molto amata dal suo sposo; e così a poco a poco avvertì un certo disagio ogni qualvolta doveva fargli un rimprovero.
      Si sorprendeva sempre più spesso ad osservarlo mentre era intento a conversare durante le udienze; e restava ammirata delle cose straordinarie che si dicevano sul suo conto.
      Contrariamente a quanto aveva creduto, la bontà e la generosità del suo sposo non generavano irrisione, ma rispetto, e da ogni parte accorrevano a fargli visita perfino re più potenti di lui. La sua fama tra la gente semplice, poi, non aveva né confini né misura, e Gualberto presso di loro era divenuto una leggenda.
      Tuttavia Caterina restava ancora la donna avida e ingorda scelta da quei consiglieri, ed ella non poteva fare a meno di avvertire che ogni atto dello sposo le procurava un grande dolore. Gualberto se ne accorse. Ne provò tristezza. Si domandava in che cosa avesse potuto mancare verso la sua Caterina, ma non arrivò mai a supporre che la causa di tanta afflizione risiedesse nell’avidità della sua sposa.
      Per farla contenta, cominciò ad accettare qualche suo consiglio. Spese molto denaro per lei, ne accumulò altrettanto, e da tutta Europa fece venire rari gioielli e abiti raffinati perché la donna ne godesse nel corso delle numerose feste che era tornato a bandire nel suo antico castello per renderla felice.
      Caterina capì così che più che le parole, riusciva la sua tristezza a vincere l’animo di Gualberto.
      Trovata la strada, la percorse fino in fondo; e il re cominciò a trascurare il suo popolo, preso dal desiderio di soddisfare la donna che tanto amava.
      Finché il pensiero che il suo cuore si era fatto piccino piccino, ed ora batteva unicamente per sé e per la sua sposa, non generò in lui una grande malinconia. S’intristì. Passava molte giornate chiuso nella sua stanza. Rifletteva; e più pensava, più si rendeva conto che era difficile ad un uomo corrispondere ai propri ideali, e spesso la felicità degli altri si manifesta con i segni di un profondo egoismo, e non lo si può vincere che procurando dolore.
      Si sentì impotente di fronte ad un tale ostacolo immane, e infine scelse la strada di prendere tutta su di sé la sofferenza, piuttosto che veder mortificata la sua Caterina.
      Non parlò più. Le poche volte che compariva di fronte ai suoi consiglieri per dire di sì a tutti i progetti che gli venivano sottoposti, si avvertiva però lo straordinario fuoco della sua bontà che ancora covava in lui. Caterina più degli altri percepiva la forza di quella diversità che stava tra lei e i principi da una parte, e il suo sposo, la cui virtù – non c’erano più dubbi, ormai – discendeva direttamente da Dio.
      Così, un giorno si sciolse in pianto davanti a lui; confessò la sua avidità e chiese al suo sposo di perdonarla. E Gualberto la sentì penetrare dentro il suo cuore. Sentì che l’amore, la bontà, la sofferenza, la generosità del suo animo avevano fatto il miracolo, ed ora, per tutti gli anni avvenire, egli avrebbe avuto accanto a sé la sposa che aveva sempre desiderato: una sposa buona e felice.


Letto 3426 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart