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LETTERATURA: I MAESTRI: Chiudiamo bottega?

15 Gennaio 2008

di Carlo Bo

[da: “La religione di Serra”, Vallecchi, 1967]

Che cosa succede in letteratura? C’è qualcosa di nuovo? Che ne è del romanzo?

Sono domande che ogni lettore di buona volontà ogni tanto si fa ma a cui i lettori pubblici vengono sottoposti con maggior frequenza e con violenza. Rispondere in questi casi è difficile, è scomodo, la cosa diventa poi quasi impos ­sibile quando, navigando in qualche modo sulla stessa barca, si finisca per registrare in profondità i contraccolpi della situazione generale.
Ebbene, per una volta cerchiamo di venir meno alle regole delle abitudini, al giuoco, all’altalena dei compro ­messi: proviamo a dire semplicemente le nostre impres ­sioni di lettori di professione, per cui però professione non è ancora sinonimo di sfiducia e di rinuncia.
Di nuovo c’è ben poco, c’è che la letteratura subisce l’iniziativa degli altri, e ha smesso di imporre la sua legge. Da parte di troppi scrittori (soprattutto dei giovani) c’è soltanto una gran buona volontà di accettare il mondo del giuoco imposto dagli editori o, meglio, dai tempi, dall’illu ­sione di essere moderni. Alludo a un fenomeno, non tento un panorama. Il fatto di aver centrato un problema parti ­colare, non vuoi dire scivolare automaticamente verso un giudizio universale. Un fascio di libri mancati non mette in crisi una letteratura, denuncia però un pericolo.
Mi è capitato, dunque, di leggere quasi di seguito cin ­que romanzi. Due di scrittori già conosciuti, anzi famosi e gli altri di autori nuovi o in procinto di prendere il largo o sul punto di lasciare il porto per la prima volta. Sono tutti libri italiani ma sarebbe facile trovarne altri francesi o spagnoli; potete allungare la lista all’infinito, il risultato non muta.
Non devo parlare delle qualità e dei difetti delle sin ­gole opere e la natura del discorso mi dispensa dal fare quei riassunti che i direttori ci rimproverano di saltare o di ridurre all’osso. Qualità e difetti rientrano in un altro discorso e le trame non hanno alcun valore: sono merce d’occasione e costituiscono la prima spia, mettono il primo sospetto all’orecchio di chi legge.
No, se ho messo insieme questi cinque libri, l’ho fatto per una ragione che non tocca direttamente il quadro dei risultati, che naturalmente variano dall’uno all’altro, ma perché tutti e cinque obbediscono a una stessa legge. Man ­cano di una vera ragione, sono libri che non lasciano mai trasparire, neppure per un momento, alla coscienza del let ­tore la loro « necessarietà ». Ciò che disturba e finisce per accusarli senza pietà è la loro natura gratuita, casuale.
Perché sono stati scritti, perché hanno seguito quella di ­sposizione, quella trama e non un’altra? Insomma con che discorso in profondità affrontano il futuro? Sono nati li ­beri o al contrario viziati da paure, da preoccupazioni, con lo spettro del pubblico da conquistare e con l’incubo del ­l’editore da soddisfare?
Basterà meditare per un momento queste domande per avere di colpo il quadro di troppa letteratura, non solo ita ­liana (noi arriviamo col solito ritardo). Ciò che manca di originale, di spontaneo, soprattutto quello che non c’è dal punto di vista della necessità interiore dovrebbe essere com ­pensato da una ragione di scuola o almeno di moda ma neanche questo è vero. L’ultima scuola, quella del neorea ­lismo, ha trovato la morte nel bozzettismo di cinquant’anni fa. Da noi le rivoluzioni vanno a finire ai piedi dei monu ­menti e quelle letterarie all’Accademia. L’unica cosa che è cambiata in letteratura riguarda gli editori. Ci sono editori che hanno creduto di rinnovarsi accettando la pericolosa abitudine di puntare su certi autori, con l’illusione di « far ­li » e con il risultato – quando va bene – di ottenere dei prodotti fortunati. Purtroppo il prodotto felice resta il più delle volte un mito e invece si ha quello che non si voleva: fare, cioè, di uno scrittore vero una piccola mac ­china.
L’idea di allevare degli scrittori come si allevano dei cavalli da corsa è un’idea tipica del nostro tempo e può darsi che in società più progredite verso la noia e la ripeti ­zione, verso la mimetizzazione assoluta nel grigio dia risul ­tati ottimi : da noi, fino ad oggi – per lo meno – i risul ­tati ottenuti fanno rimpiangere il tempo della libera tratta ­zione, quando forse si promettevano meno agevolazioni, una vita più modesta, meno glorie fasulle ma non si brucia ­vano i cervelli, sollecitandoli a dare una certa moneta, a fornire una materia che non può essere fabbricata, ma sta in grembo a Giove.
Probabilmente il nostro discorso è fuor di luogo, sem ­brerà reazionario, perché riflette una concezione della let ­teratura che non si adatta più a una società comandata ma resta sempre il discorso di chi ha trovato nella lettera ­tura qualcosa più di un divertimento e continua a vedere nei libri qualcosa di più di un prodotto artigiano o indu ­striale.

Molti scrittori non hanno niente da dire, si esauriscono nella ricerca del pretesto. Da questo punto di vista la situa ­zione non è molto cambiata da trent’anni fa: solo che il « niente da dire » di allora tradiva una pena, un dolore, oggi non tocca nessun centro vitale. E un vuoto da riempire, da gonfiare e l’impressione dominante, lungo que ­ste letture, è data dallo sforzo fatto per colmare il vuoto il disinteresse, la mancanza di fede. È mutato l’involu ­cro, la presentazione: seguendo il metodo inventato nel primo dopoguerra dal Grasset in Francia, si crede che per avere dei libri sia sufficiente ordinarli, mantenere una pic ­cola scuderia ai propri ordini e non ci si accorge che quel vuoto interiore non può essere mascherato e soprattutto che gli scrittori devono maturare liberamente. L’esperi ­mento Grasset dette anche allora risultati miserevoli, ep ­pure il campo da seminare era ben diverso, era la Francia, e la Francia inquieta, tormentata, insomma viva degli anni fra il venti e il trenta.
La tavola dei valori finora raggiunti con questo sistema è squallida, è falsa: si vedono questi bei frutti grossi, dai bei colori, vi avvicinate per sentirne il profumo e avete la prima delusione. Ma continuate a sperare, entrate nel libro, affrontate giornate di lettura, altro che profumo, non c’è nulla di consistente. Potete passare indifferentemente da un libro all’altro, fonderli, insomma manipolarli per conto vostro, mai una parola autentica: soltanto abilità, mestiere, sempre l’accademia. Sono libri fatti con l’acqua, proprio come in America coltivano i pomodori. Alla fine tro ­vano il loro posto, sono dei « compiti » e, come succede a scuola, potrà capitare che ci scappi una bella pagina, una trovata ma non di più. Non troverete mai la ragione che rende vivo, necessario un libro. Una delle spiegazioni del successo del Gattopardo sta qui: il libro di Tornasi ha un senso, troppi libri nuovi sono soltanto fabbricati, calcolati ma perfettamente inutili. Di qui la confusione, l’oblio e infine il nulla.
Alla fine di tante prove si riscopre una vecchia e santa verità: tutti possono scrivere un libro ma sono rarissimi quelli che non possono fare a meno di scriverlo. È una linea di confine implacabile: da una parte gli strattagemmi dell’editoria, la giostra delle ambizioni e delle illusioni e dal ­l’altra parte la letteratura. Non ci sono altre scelte, nessuna via di scampo: o scriviamo quando abbiamo qualcosa da dire e ne siamo convinti o sennò chiudiamo bottega.

9 giugno 1959.


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2 Comments

  1. Commento by felice muolo — 16 Gennaio 2008 @ 17:59

    Ottimo, Bart. Ma nessuno chiude bottega.

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 16 Gennaio 2008 @ 18:59

    La serie intitolata I Maestri è molto illuminante giacché riporta spesso ai nostri giorni fatti che già accadevano nel passato.
    Leggerli significa, fra l’altro, misurare i lenti passi di una evoluzione che stenta a farsi strada. Ancora oggi – più facilmente di ieri – la ricerca del successo e del guadagno ottenebra i valori che un artista, nel nostro caso uno scrittore, e un editore devono mettere in campo per servire l’Arte.
    Riproporre articoli di Maestri che hanno dato molto per offrire una direzione in questo senso, è un’impresa che mi affascina.
    Il 19 gennaio pubblicherò un ampio saggio su Bacchelli che il Prof. Barberi Squarotti (un Maestro vivente e ancora attivissimo) mi ha autorizzato a prelevare. Mi invierà anche qualcosa di manoscritto, che metterò volentieri – insieme con gli altri articoli di altri Maestri – a disposizione dei nostri lettori.

    Grazie, Felice, per l’attenzione.

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart