Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

FAVOLE: Storie del Piccolo Oro: La nera signora #2/8

2 Gennaio 2008

di Bartolomeo Di Monaco

A Lucca, in una grande casa, una delle più belle della città, situata proprio al centro di via Fillungo, molti anni fa viveva un tranquillo signore, padre di tre splendidi bambini.

    Tornato dal lavoro, stava seduto per ore sul divano a guardarli giocare. La più grande, infatti, si divertiva spesso a prendere in giro il più piccino; faceva di tutto   (lo chiamava “piccolo uomo”) per esasperarlo, e il bimbo, a sua volta, con frequenti occhiate guardava la sorella, cercava il dispetto, e attendeva con ansia l’occasione di scatenarsi. Sempre prendeva le difese della secondogenita, di cui si sentiva paladino, protettore.
    “La dispettosa” – così il piccolo soprannominava la più grande – in realtà adorava   il fratello e in quel suo cercarlo, indispettirlo, si celava un grande affetto per lui e, ancora di più, un grande amore per tutta la famiglia.  
    L’uomo, nel guardarli giocare, li sentiva vicino a sé, e avvertiva il calore e la forza di quell’unione.  
    La secondogenita ogni tanto correva a chiedergli aiuto quando si accapigliava con la maggiore; l’uomo rammentava allora la sua fanciullezza, i bisticci coi fratelli e ricordava quanto rigogliosa fosse anche in quei momenti la vita.  
    Lo diceva alla bimba per consolarla, ma inutilmente; lei desiderava, al contrario, la punizione della sorella più grande, e reagiva con rabbia al dispetto, restando indifferente all’insegnamento del padre; e avvertiva calda, viva, pregnante la sua propria vita.  
    Da tutto questo, guardando all’esistenza dei figli, l’uomo riceveva il segno anche del proprio vivere e crescere; in ogni istante del giorno coglieva, soprattutto nel silenzio, il vibrare della vita.  
    Aveva nel passato avvertito, in certi oscuri momenti, che non è facile vivere, anzi a volte la fatica delle ore sembra vincere la volontà, disintegrarla, e la mente scoppiare e perdersi; ma ora aveva appreso il segreto, scoperto che l’amore verso tutto, l’attenzione per le piccole cose, lo sforzo generoso di cogliere e comprendere le sofferenze degli altri, l’affetto della famiglia, avevano creato un intreccio di sentimenti che lo riscaldava, gli riempiva il cuore, dava una spiegazione accettabile della sua presenza nel mondo.  
    Ma un giorno – la loro vita al colmo della felicità – durante una festa ecco presentarsi la morte; la vide entrare mentre il ballo era al culmine, i figli intenti al gioco con gli amici: allegra la musica.  
    Sembrava un invitato come gli altri, ma l’uomo andò col pensiero, appena la vide, alla nera signora del tempo; avvertì il brivido, il gelo dell’essere che sta in mezzo a più mondi e tutti li domina con la paura, con il tetro sentimento della fine.  
    Non sicuro, dapprima la spiò; l’occhio tremante seguiva il passo lento ma sicuro dell’intrusa.  
    Nessuno la notò; sembravano non vederla, pur in mezzo a quelle chiare luci.  
    Era diretta verso di lui, non c’erano dubbi; poi, all’improvviso, dopo uno sguardo all’uomo carico di ironia, ecco voltarsi verso i tre figli, guardarli, guardarne uno in particolare.  
    Il padre intuì; in un lampo previde la scena: le mani gelide dell’intrusa su uno dei figli.  
    Si alzò e con un urlo feroce si scagliò contro la morte; con tutta la forza possibile la scaraventò lontano dai bimbi; le nere gambe di lei si levarono in aria, la testa finita tra i tendaggi.
    Afferrò la moglie, i figli, le poche cose che aveva vicino, e via giù per la scalinata; attraverso il portone uscì in strada, con il cuore quasi fermo, scoppiato.          

    Era da alcuni giorni che camminavano errabondi nella campagna lucchese, quando Oro li intravide una mattina, fuggiaschi dalla morte.
    L’uomo era ormai caduto nella disperazione, sapeva che alla fine avrebbe vinto lei, l’invulnerabile signora.
    La moglie taciturna lo seguiva, attenta che i figli tenessero il passo dei grandi, ma l’uomo navigava con la mente nel vuoto, il pensiero avviato sulle strade del nulla.  
    Come poteva sopravvivere alla morte di uno dei suoi figli?
    Provava a misurare il pensiero con quella tragica supposizione, ma non reggeva alle prime immagini; una sconsolata solitudine lo raggelava e l’uomo avvertiva, pur in mezzo agli altri figli, il sentimento anche della propria fine e oramai lontane e perdute per sempre le ore della gioia e della spensieratezza.
    La nera signora li seguiva a giusta distanza, attenta a non farsi notare.  
    All’improvviso intuì la presenza di Oro.  
    Si voltò di scatto, lo sguardo corrucciato, avvertendo ciò che passava per la mente del bimbo.  
    Per un attimo i loro sguardi si incontrarono.  
    «Lasciali vivere, » le sussurrò Oro «hanno abbandonato tutto per restare insieme. »  
    «Non tocca a me decidere » rispose contrariata la morte.  
    «In questa città » continuò Oro «ho visto i terribili segni del dolore, e l’umanità smarrita, perduta, vinta. Quale tristezza vederla spegnersi a poco a poco! »  
    Chiamò accanto a sé la morte.    
    «Noi sappiamo » le bisbigliò all’orecchio «che quando creò l’uomo, Dio pensò alla famiglia per non lasciarlo solo nell’universo. Per una volta nella storia dell’umanità, lascia che si dica che anche la morte ebbe rispetto per essa, e Dio saprà perdonarti. »
    Fremette la morte, sussultò quel cuore alla insolita richiesta del bimbo.
    L’uomo voltò l’angolo, infine, e fu il segno della sua misericordia.

Oro avrebbe voluto seguire quella famiglia.
    Invece un’idea gli era entrata all’improvviso nella mente e non lo lasciava, ritornava ogni tanto a tormentarlo: ricordava la morte, di come se n’era andata, del suo lamento, della tristezza profonda che l’aveva pervasa dal momento in cui aveva dato ascolto al bimbo.
    Si era dissolta nell’aria; ma dov’era mai il suo regno, il luogo dove riposava, eseguiti i comandi di Dio?  
    Oro voleva rivederla, mostrarle il prodigio d’amore generato in quella famiglia dalla sua carità, tanto grande che Dio sicuramente le aveva già perdonato.  
    Così Oro si sciolse nell’aria e cominciò a percorrere gli stretti sentieri che lo avrebbero condotto al regno della nera signora.
    Quale meraviglia, allorché vi giunse!  
    Davanti a lui si estendeva un bellissimo mare azzurro; sulla spiaggia, dove il bimbo si trovava, non c’era anima viva.
    Si avvicinò ad uno degli scogli; vi salì, e contemplò la luminosità del cielo, il cui colore si confondeva con quello del mare.
    Guardava incantato le morbide onde frangersi sulla riva, urtare contro lo scoglio.
    Ma intuiva il bimbo che qualcosa di insolito era in quel paesaggio.
    Non riusciva però a capire.
    Fu il grande silenzio che dominava quella regione a svelare il mistero.
    Per quanto vi ponesse la massima attenzione, infatti, Oro si accorse che su quella spiaggia non esistevano rumori; il mare pur muovendosi, le onde pur frangendosi contro la riva, non emettevano alcun suono; muti anche i passi del bimbo, come pure i sassi scagliati nell’acqua.
    Vide apparire la morte.  
    Comparve nell’aria, giunta da uno dei suoi tanti viaggi; la macchia nera, prima informe, prese a poco a poco le sembianze di lei; dritta si stagliò di fronte al mare.
    Non scorse il bimbo; passeggiò come stanca, preoccupata, l’andatura era lenta, incerta; ogni tanto, fermandosi, volgeva lo sguardo intorno.  
    Fu in occasione di una di queste soste che i suoi occhi incontrarono sullo scoglio lo sguardo di Oro.
    Fu un sussulto per la nera signora, una visita straordinaria quella di lui, unica da quando esisteva la vita.
    Un’agitazione incontrollabile s’impadronì di lei; corse incontro al bimbo quasi furente, dopo un primo momento di meraviglia.  
    Ma Oro conosceva bene la morte.
    Si drizzò sullo scoglio e venne la nera signora a lui con passo lento, smorzato, gli occhi fattisi supplicanti.
    «Sono venuto per alleviare la tua pena; » incominciò Oro «sappi   infatti che sulla Terra, dopo quel tuo gesto memorabile, ora vi è un luogo dove regna l’amore tra gli uomini. »  
    «So di non essere amata nel mondo, al contrario di te, che tutti rimpiangono. »  
    Mostrò al bimbo, in un’apparizione che ricoprì tutto il cielo, gli innumerevoli spazi dell’universo e le molte vite del cui destino era strumento terribile.  
    «Da qui controllo tutta la vita del creato e vengo a conoscenza, per impulso di Dio, dell’essere che deve tornare a Lui. »  
    Camminarono insieme per un lungo tratto in riva al mare.  
    «Non è brutto morire, come tutti credono, e tu » disse la morte «dovresti insegnare anche questo agli uomini perché, anziché odiarmi, mi amino. Credi che non abbia anch’io bisogno di amore? »    
    Guardava il bimbo negli occhi così intensamente che Oro ne rimase molto turbato; si sentì in colpa verso di lei che, creduta inflessibile e fredda, in realtà trascorreva la sua eternità nel continuo dolore.  
    In quel luogo non scendeva mai la sera; Oro se ne accorse, e poté osservare che dove regna la morte, regna sempre anche la luce.

Dio stava passeggiando nell’universo quando scorse Oro in compagnia della morte.  
    Un vortice di vento si formò intorno ai due; un fremito percorse quello spazio infinito quando comparve il Creatore del mondo.
    «Mio Signore! » esclamò il bimbo.  
    Si   posero davanti al mare e Dio mostrò loro la perfezione della sua opera.
    Videro, abbracciandole in un solo sguardo come fossero a poca distanza – invece molto lontane – città stellari, pianeti, comete; masse eteree si muovevano per enormi spazi; densità nere, dentro le quali si aprivano voragini di luce, vagavano fra più mondi.  
    Dio sorrideva, contemplando lo stupore del bimbo.
    La morte intanto si era allontanata per un altro dei suoi tristi viaggi. In silenzio si sciolse nell’aria. Oro non si accorse nemmeno della sua partenza. Continuò da solo a camminare con Dio lungo la spiaggia; capiva che il suo lavoro sulla Terra era gradito, tenuto in gran conto; e non avrebbe mai avuto fine. La sua eternità avrebbe accompagnato ormai per sempre la vita degli uomini.
    «Vorrei tanto visitare l’universo » chiese.
    Dio sembrò non ascoltarlo; fermatosi, indicò invece, poco distante, la Terra; l’azzurra sfera brillava più degli altri mondi, pareva gemma rara, splendente.  
    Dio la guardava compiaciuto e Oro capì che un grande amore lo legava agli uomini; capì che non c’era istante della vita in cui Egli non fosse presente tra loro.
    Passeggiarono per l’universo; il bimbo non finiva di stupirsi delle bellezze che si aprivano al passaggio del loro Creatore.
    Ricordava ciò che aveva già visto nei precedenti viaggi e pensava quanto ora fosse lontano da quei mondi; la sua mente, pur avvezza ai grandi   spazi, vibrava al contatto di quelle ulteriori vastità.  
    Dio indicò un punto sulla Terra dove il male stava per scacciare il bene.
    «Ora va; » disse «riporta l’amore tra gli uomini; di’ loro che non ci sarà mai gioia nel mio cuore se anche un solo uomo negherà amore al suo prossimo. »  
    «Vorrei restare » balbettò appena il bimbo.
    Ma Dio lo baciò e, sorridendo, lo depose sulla Terra.


Letto 3846 volte.


4 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 2 Gennaio 2008 @ 17:53

    Una favola bellissima, Bart. Spero che veramente sia tutto così.
    Auguri di un felice 2008.
    Carlo

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 2 Gennaio 2008 @ 20:41

    Buon Anno anche a te, Carlo, e ai tuoi cari.
    Ti ricordo con tanto affetto.

  3. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Gennaio 2008 @ 22:23

    Ancora una favola tenera e sostanziosa, ad un tempo, dove traspaiono tutta l’umanità e tutta la fede dell’autore. Anche nella suprema minaccia vi è la certezza dell’amore e di un credo, che fa bello e prezioso il mondo, nonostante tutto. Si impone un senso profondo di fresca saggezza e di dolce bontà, a fecondare le zolle del tempo.
    Parole dense di poeticità sciolgono le immagini ed i pensieri, che si muovono delicatamente tra la realtà, il sogno ed il mistero, con un appunto di stupore ed una tensione suggestiva, a sottolineare la sensibilità d’animo dell’autore stesso
    Gian Gabriele Benedetti

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 2 Gennaio 2008 @ 23:33

    Ciao, Gian Gabriele, Grazie.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart