Federico Geremicca. Tocca a lui28 Settembre 2013 L’ho scritto. Tutti passeranno di lì, davanti all’immagine sacra di Napolitano e si faranno il segno della croce. Escono fuori dalla tana come i topi. Scrive Geremicca, stamani: “Che qualcosa si fosse incrinato nella proverbiale pazienza del Capo dello Stato…†Nessuno che si sia ancora reso conto che chi ha costruito il raffinato ma cinico ordito è stato proprio lui, il venerabile innalzato ad immagine sacra. Si fatica a capire che tutte le colpe di Berlusconi rinvenute nella sua vita privata e pubblica non sono altro che gli strumenti individuati come gli unici in grado di raggiungere il risultato. Non sentirete mai confessare da un antiberlusconiano che Berlusconi deve essere fatto fuori poiché continua ad essere il maggiore ostacolo alla conquista del potere della “gioiosa macchina da guerraâ€. Chi tra gli stupidi editorialisti si aspettasse di raccogliere una confessione in tal senso, farebbe meglio a cambiare mestiere. Le colpe di Berlusconi (offerte ad abundantiam, come si offre la gola al carnefice) sono state l’occasione insperata per abbatterlo. Naturalmente, prima che entrasse in politica era stato nominato Cavaliere per meriti legati al suo importante lavoro di imprenditore. Nessuno che si fosse preoccupato di indagare, prima di attribuirgli un riconoscimento ufficiale che porta la firma dello Stato italiano. Alle bisce del giornalismo-latrina un tale repentino cambiamento sembra normale e di ordinaria amministrazione, e non domandano il perché. Approfondire comporterebbe uno spreco di tempo e un rischio per la loro professione, ove si dimostrassero troppo zelanti. La ricerca della verità è un lusso che non possono permettersi. Eppure basterebbe un semplice e lineare ragionamento per ripulire il filo della storia dalle tante incrostazioni di cui è stato ricoperto. Lì per lì la manovra che vi era sottesa mi sfuggì, finché Occhetto  non mise in piedi la sua “gioiosa macchina da guerraâ€, e apparve chiaro anche allo scemo del villaggio che tra tutti i partiti della prima Repubblica ne era stato risparmiato uno solo, il Pci. Una tale faccia tosta, come sapete, fu premiata dal Pci che alle elezioni che seguirono la caduta del brevissimo primo governo Berlusconi (in seguito allo strumentale avviso di garanzia, poi scoperto infondato, recapitato  al premier mentre presiedeva a Napoli un convegno internazionale) con un seggio blindato nell’area rossa che più rossa non si può fiorentina. Il resto è più che noto: il Cavaliere, in quel momento tanto nobile e con il marchio di garanzia dello Stato, scese in campo e per la “gioiosa macchina da guerra†cominciarono i guai. La batosta del 1994 fu riassorbita dopo pochi mesi, grazie all’alleato Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, che insediò al posto del primo governo Berlusconi, e senza passare dalle urne, il governo chewing gum di Lamberto Dini, che aprì la strada  al governo Prodi. La sinistra arrivò così al potere, e tirò un sospiro di sollievo. Credeva di poterlo mantenere, ma le guerre intestine si fecero feroci e così si ebbe l’alternanza al governo tra centrosinistra e centrodestra, ed oggi sappiamo che nei vent’anni berlusconiani, il centrodestra e il centrosinistra si sono spartiti in modo paritario il potere (il centrodestra, come ho già riferito, ha governato appena 83 giorni più del centrosinistra). Era di tutta evidenza che, pur essendo riusciti ad andare al governo, l’operazione Mani Pulite era riuscita a metà . La “gioiosa macchina da guerraâ€, aveva perso lungo la strada buona parte dei suoi carri armati e dei suoi cannoni. Ciò che le era restato non era sufficiente a rendere definitiva la sua conquista. Il nemico era troppo forte. Addirittura accadde che nel 2008 i cittadini (pecore senza intelligenza secondo Eugenio Scalfari, il profeta e nume tutelare del centrosinistra) premiarono il centrodestra con una tale maggioranza che si rivelava la seconda per importanza dopo quella del 1948. Si temette una ritirata come quella austriaca della prima guerra mondiale. Alla mente si presentarono le parole scritte nel bollettino della vittoria del 4 novembre 1918 firmate dal generale Armando Diaz: “L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. Quelle ultime tre righe erano terribili per gli ex Pci. Si temeva fossero profetiche. Qualcuno scoprì il nuovo cavallo di Troia in Gianfranco Fini. Addirittura la situazione era migliore di quella che si presentò ai greci. Non occorreva perdere tempo a costruire il cavallo, poiché Fini era già dentro il centrodestra, ne era figura di spicco, e in più era addirittura presidente della camera, la terza carica dello Stato. Una vera e propria manna caduta dal cielo. L’uomo aveva il suo tallone d’Achille: l’ambizione e la vanità . Sarebbe stato facile arruolarlo con promesse allettanti. Fini si sarebbe giustificato alla maniera di Antonio Di Pietro quando disse che non era stato capace di ricostruire il percorso che la borsa da un miliardo aveva fatto dal momento che era entrata nella sede del Pci e aveva preso la via dell’ascensore. Cominciò ad approfittare della sua importante carica istituzionale per dire che il Pdl, di cui faceva parte, aveva smarrita la retta via e non era un partito democratico ma assoluto. Si levarono critiche dal centrodestra, poiché un presidente della camera non poteva entrare nell’agone politico con dichiarazioni ostili ad una parte. Invocarono l’intervento di Napolitano, ma questi fu ostinatamente sordo alle ragioni del centrodestra. Eppure nella costituzione sta scritto chiaramente che le massime cariche istituzionali devono rimanere imparziali ed evitare di schierarsi in favore di una parte politica. Ma Napolitano teneva più all’obiettivo che era sotteso alle esternazioni di Fini piuttosto che al rispetto della costituzione. E tacque. Il centrodestra da quel momento è stato sottoposto ad assalti feroci, diretti e indiretti (tra questi ultimi: il lavorio intorno a personaggi arrendevoli come Quagliariello, Cicchitto, Giovannardi, Lupi, e qualche altro: non mancherà molto per conoscere la lista completa dei traditori alla Fini, i quali saranno poi spazzati via dall’elettorato, come è accaduto all’ex presidente della camera). Eppure la giunta avrebbe ben potuto raccogliere la richiesta del centrodestra di sottoporre alla valutazione della corte costituzionale il tema della retroattività contenuto in uno dei decreti attuativi della Legge Severino, evitando così una probabile crisi di governo ed istituzionale. La richiesta non era forse di buon senso? Di fronte alle perplessità espresse anche da inappuntabili giuristi perché rifiutare un parere della consulta? Queste le loro recondite risposte: no, prima Berlusconi viene cacciato dal senato, prima scomparirà dalla scena politica, e prima finirà nel tritatutto di altre sentenze di condanna che l’alleata magistratura (quella che avviò il “golpe†con Mani Pulite) sta preparando per seppellire definitivamente il leader del centrodestra. Dare un po’ di respiro a Berlusconi accogliendo l’istanza del Pdl di richiedere un parere alla consulta, sarebbe troppo pericoloso. L’uomo ha dimostrato di avere sette vite come i gatti ed è da sciocchi rimandare a domani ciò che si può ottenere oggi. La giustizia? La democrazia? Sono solo l’oppio dei popoli, così come Marx sentenziò per la religione. Qualcuno obietta: eppure basterebbe aspettare il 19 ottobre quando arriverà la sentenza della corte di appello di Milano sulla durata della interdizione dai pubblici uffici, e quindi sulla sua incandidabilità , per vederlo scacciato dalla vita politica almeno per tre anni, sufficienti a consolidarci sugli scranni che contano. Risposta: siamo sicuri? Non potrebbe Berlusconi opporsi alla sentenza avviando di nuovo un lungo iter processuale? Non è possibile! E chi lo dice? Meglio – così sta ragionando il Pd – prendere l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani. Si viola la costituzione? Si umiliano la dignità e i poteri del parlamento? E chi se ne frega. L’obiettivo era ed è quello di eliminare Berlusconi. Ci siamo arrivati. L’importante è di non avere alcuna pietà . Vi domanderete a questo punto se quanto ho scritto sia una storia romanzata. No, è la storia di un golpe. Alle bisce e ai giornaloni-latrina domando: Ma davvero avete il coraggio di passare sotto silenzio la cena scoperta da “il Fatto Quotidiano” e rilanciata da “il Giornale” con un articolo appropriato di protesta di Paolo Guzzanti, e da “Dagospia“, tra Napolitano (sì il garante dell’imparzialità e della costituzione), Eugenio Scalfari (l’antiberlusconiano per eccellenza), Enrico Letta e Mario Dragi, avvenuta indovinate in casa di chi? Ma di Eugenio Scalfari of course. Letto 1965 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by zarina — 28 Settembre 2013 @ 19:51
Mi pare  sia Sansonetti che Polito abbiano,  non molto tempo fa, rivelato di accordi tra i giornaloni sulla linea da seguire ai tempi di mani pulite .  La storia si ripete, del resto  i personaggi del circuito mediatico dopo venti anni  sono sempre gli stessi , hanno solo qualche capello bianco in più. Hanno interesse a mantenere lo status quo, che gli garantisce i finanziamenti  pubblici, senza i quali  c’è il rischio che chiudano i battenti.
E a proposito di finaziamento pubblico, domanda maliziosa: se il PD, nonostante il finanziamento pubblico previsto per legge è costretto a licenziare parte dei suoi dipendenti  chiedendo persino la cassa integrazione (!) come avrà fatto a  suo tempo il PCI, poi PDS, poi DS, a mantenere tutto il suo mega apparato ?
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 28 Settembre 2013 @ 22:47
Lo chiediamo ai gerarchi della vecchia Unione Sovietica? LÃ sanno tutto, ma anche da noi…