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Fumetti: Yellow Kid – Buster Brown

5 Gennaio 2013

[da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]

L’AUTORE

RICHARD FELTON OUTCAULT – Nato a Lancaster (Ohio) nel 1863, si iscrive ai corsi dell’Accademia di Belle Arti di Cincinnati ap ­pena quindicenne. Allievo promettente per doti naturali e disciplina di studio, deve però atten ­dere parecchi anni prima di sottrarsi all’ano ­nimato. L’occasione gli è fornita da un compa ­gno di scuola, il quale, amico di Thomas A. Edison, invia all’inventore una raccolta di suoi disegni. Edison, convinto delle notevoli possi ­bilità del giovane disegnatore, lo convoca a New York e, successivamente, lo invia a sue spese per un anno a Parigi (1888). Tornato negli States, Outcault deve ancora superare un difficile periodo prima di iniziare a collaborare a The Judge e Life. Nel 1895 gli si aprono le pagine di The World. Creato Yellow Kid, il 18 ottobre 1896 abbandona però l’edi ­tore Joseph Pulitzer per passare, con il suo eroe, alle dipendenze di William Randolph Hearst (sul The World le storie di Yellow Kid proseguono, con esito inferiore, a firma di George B. Luks). Dopo aver ideato (1901) Lil Mose, un simpatico negretto che ha però breve vita, Outcault crea Buster Brown (1902), un eroe di larghissima popolarità e di vasta diffusione nei consumi. Sette anni più tardi, ormai al mas ­simo della fama, l’artista decide di troncare la sua carriera (Buster, tuttavia, proseguirà ad ap ­parire fino alla prima guerra mondiale) e fonda â— unitamente al figlio Richard Felton jr. â—la Outcault Advertising Agency con sede a Chicago. Muore nel 1928.

I PERSONAGGI    

YELLOW KID – La data ufficiale di nascita dei fumetti è un punto fermo tuttora da stabilire. Se, infatti, sarebbe lecito accreditare il 1892, allorché sull’Examiner di San Francisco comin ­ciano ad apparire le storie di James Swinnerton (quelle di The Little Bears and Tigers), motivi altrettanto validi stanno a favore del 1895, quando Richard Felton Outcault debutta su The World con le sue grandi tavole infoltite di ra-gazzini cenciosi e ribelli, o ancora del 1896, quando lo stesso firma una tavola a colori inti ­tolata The Great Dog Show in M’Googan’s Avenue.

Scartando la prima ipotesi (le piccole vicende disegnate da Swinnerton non si staccano con sufficiente autonomia dagli schemi figurativi del passato), sembra assennato assumere il 7 luglio 1895 quale start dell’immediata « preisto ­ria » dei comics e il 16 febbraio 1896 quale effettivo punto d’avvio di un’arte popolare che nello spazio di qualche decennio diverrà uno dei fondamentali media della comunicazione (almeno per la estremamente composita comu ­nità statunitense). Il fenomeno, nel 1895, non evidenzia una peculiarità di linguaggio tale da poter affermare l’avvenuto taglio del cordone « illustrativo » e, quindi, la nascita di una nuova forma « narrativa ». Le prime tavole di Outcault rappresentano un momento di passaggio non ancora un approdo definitivo. Dovranno passare alcuni mesi prima che questi impietosi spac ­cati possano essere collocati, e a ragione, alla base dei fumetti.

È appunto in questo periodo che i suoi car ­telloni figurati si vanno definendo con maggiore proprietà: si accentua di volta in volta la di ­stanza che li separa dalla tradizione, un ine ­dito dinamismo accende la composizione, i personaggi trascurano a grado a grado le forme stereotipe, le battute s’infiltrano sempre più nel ­l’inquadratura, le scritte si espandono e il rap ­porto disegno-scrittura comincia ad assumere una connotazione fino allora sconosciuta. Il 16 febbraio 1896, con l’introduzione del co ­lore, il formicaio sottoproletario di Outcault si sottrae definitivamente alla sudditanza della sa ­tira disegnata. Outcault, senza dubbio, rivive e ingloba (all’interno di una personale conce ­zione visuale) tutti gli stimoli, intrecciandoli in un tessuto indiscutibilmente suo, segnato da una convinzione comunicativa che lo differenzia â— e nella sostanza â— dai tanti precedenti. Che cosa dunque rappresentano le sue tavole? Anzitutto esse sono lo specchio ironico e perversamente deformato di un universo mal ­vagio ed equivoco che abbraccia folle di ra ­gazzetti, neri e bianchi, pressati in breve spa ­zio, chiusi tra i fondali di una miserevole archi ­tettura popolare, i quali, con i loro scherzi e i loro giochi, trascrivono la condizione avvilita del ghetto cui appartengono. Gli adulti, per lo più, fanno da contorno: uomini e donne s’affac ­ciano da finestre e poggioli, mai però parte ­cipando direttamente all’azione; testimoni piut ­tosto che interpreti, essi svolgono una funzione coreutica nella povera rappresentazione. Un mese più tardi, il 15 marzo 1896, lo sce ­nario si scontorna più precisamente: il luogo deputato assume un nome, Hogan’s Alley (il cortile di Hogan), le situazioni s’incernierano più strettamente attorno alla singolare corte dei miracoli del XX secolo, il centro motore si focalizza in Yellow Kid, un ragazzetto dalla fisio ­nomia vagamente orientale, cui è affidato il peso di un irrecusabile richiamo. Con le grandi orecchie a chiudere un cranio perfettamente liscio, un solo dente in bocca, gli occhi piccoli e pungenti e un sorriso per metà timido e per metà provocatorio, l’eroe guarda dritto in faccia il lettore con l’aria dì volerlo direttamente coinvolgere nell’azione. Le scritte che riempiono la sua camiciola colorata di giallo sono di ulteriore sollecitazione pro ­prio per quanto si staccano dalle molte che agitano l’inquadratura. Ma il monello, punto nodale d’ogni vicenda, non si confonde con gli altri personaggi: fa di tutto per «tenersi fuori », per risultare estraneo: un osservatore-guida isolato dalla brutale umanità che s’af ­folla nel cortile. Chi sia questa gente è facile dirlo: un miscuglio di immigrati e di diseredati. Tra di essi non esiste alcuna solidarietà o comu ­nicazione. Che poi i veri protagonisti siano sem ­pre i giovani, cioè i figli di un sottoproletariato d’ogni razza, che vive d’espedienti e non si è affatto familiarizzato con la lingua d’adozione (tutte le scritte delle tavole sono un curioso impasto di strafalcioni e di significative distor ­sioni dell’inglese), non modifica le considera ­zioni fatte. Allegria e spensieratezza non tra ­pelano mai dai giochi di questi nati «vecchi »: partecipino a uno spettacolo, vadano al mare, giochino a tennis o festeggino una ricorrenza, il timbro delle immagini riverbera unicamente una desolata stressante solitudine. Un isola ­mento che tenta di risarcirsi attraverso la cat ­tiveria dei gesti e la brutalità dei rapporti. Spesso alcuni animali « commentano » l’azione (di preferenza una capretta e un pappagallo) e altri ne sono partecipi (cani e gatti di solito). A essi Outcault riserva un ruolo tutto partico ­lare, rifiutandosi di utilizzarli quali semplici ele ­menti di un composito décor popolaresco. Ne è prova Tige, il bulldog apparso nel 1897 nelle tavole di Yellow Kid e poi passato in quelle di Buster Brown, quale spalla « parlante » del nuovo personaggio presentato dall’Herald il 27 aprile 1902.

BUSTER BROWN – Protagonista di una tavola inizialmente intitolata Buster Brown’s Bad Bar-gain, Buster è anch’egli un monello, ma appar ­tiene alla buona società e veste come il piccolo Fountleroy. Di bellissimo aspetto â— quasi fem ­minile, a differenza di tutti i pestiferi ragazzini dei comics â— con due bottoni per occhi e un casco dorato di capelli, il giovanetto si muove irrispettoso tra gente rispettosa. Le sue buone maniere, l’eleganza di portamento, la disinvol ­tura « elitistica » non farebbero presumere mai la sua radicata (e radicale) irriverenza. Eppure, è più perverso e dispettoso di Yellow Kid: per come stravolge le regole della sua classe, per la carica eversiva con cui si colloca tra i ben ­pensanti, per l’ironia con la quale accetta di essere â— a un tempo â— prototipo ed eccezione di un mondo chiuso da confini ristretti, bloc ­cato in forme codine, soltanto percorso dal riguardo conformistico.

Se, nel disegno, Outcault potrebbe sembrare toccato da un certo manierismo, la violenza con cui si rivolge contro ambienti e personaggi che appartengono al suo stesso habitat (e al suo ceto), scarica le immagini d’ogni possibile equivoco. Ogni incontro di Buster con parenti e amici (spesso al ritorno dei suoi lunghi viaggi per il mondo) brilla per la causticità con cui il personaggio è contrapposto a un modo di vivere anonimo e routiniero, per la prontezza dei suoi commenti (le « morali » che conclu ­dono le tavole) e per la spreoccupazione con cui il ragazzino si muove tra gente che non dubita minimamente dei propri « diritti » e nep ­pure intravede la possibilità di venire conte ­stata.

Senza dubbio, le gags che l’artista dispone lungo gli errabondi itinerari di Buster e Tige non risultano di eccezionale risalto, né pos ­seggono una particolare vivacità. Outcault non si preoccupa granché di questi nessi, gli preme piuttosto il ritratto di una certa fascia della società americana, e lo dimostra senza ambi ­guità o ipocrite deviazioni. È per questa aperta premura e per l’onestà con cui le resta fedele che Outcault merita di essere stimato un pre ­zioso cronista del suo tempo. Una « voce » controcorrente, priva di riguardi o mezzi toni.


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Bart