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Grillo e Monti pari sono

4 Gennaio 2013

Con l’aggravante che Mario Monti è il presidente del consiglio in carica che dovrebbe badare al disbrigo della ordinaria attività di governo ed in particolare all’attuazione delle decisioni già assunte dal parlamento. In più la sua carica avrebbe dovuto consigliargli di mantenere una dignitosa terzietà nella contesa elettorale nella quale egli non si trova implicato direttamente. Invece assistiamo ogni giorno alla trasformazione di un Monti in loden in un Monti in montgomery, scatenato nel rinnovare i vizi più antichi di ogni nostra campagna elettorale.

Tra Beppe Grillo e Mario Monti c’è solo la differenza di linguaggio, più diretta e popolana quella del comico genovese, più raffinata, con freddure di marca inglese, quella del bocconiano.
Ma la sostanza è la medesima. Gli avversari sono tutti degli incapaci. Ma solo gli avversari.

Così il professore, dopo aver radunato una accozzaglia di vecchi  legionari che combatteranno al suo posto, è passato a dare ordini ai partiti suoi concorrenti affinché ripuliscano le loro fila da personaggi non graditi e rendano così la competizione più consona a sostenere la sfida nei suoi confronti.

Una volta, al tempo dei duelli, il nobile si rifiutava di battersi con un semplice cavaliere, e si dichiarava disposto invece a trovarsi di fronte ad un suo sostituto di sangue blu.
Monti vagheggia una società di stampo medievale, in cui la modernità che oggi ci avvolge tempestosamente, sia ricondotta al principio inviolabile della distinzione di sangue: c’è quello nobile e c’è quello plebeo. Ed è solo il sangue plebeo che deve coltivare la terra e dare la maggior parte dei suoi frutti al signore che un giorno sì e un giorno no dà le sue feste nel castello avito.

L’insulto (e:  qui, qui) di ieri all’ex ministro Renato Brunetta è di quelli che rivelano una tale formazione dell’uomo Monti, capace solo di spregiare ed umiliare chi considera fuori dalla sua schiatta.
Non vale che Brunetta abbia ragione a criticare il governo e Monti abbia torto. Monti si ostina a praticare quell’insegnamento di Mao secondo il quale se si insiste a divulgare la menzogna essa sarà presto creduta per verità. Mao poteva permetterselo giacché gli oppositori lo temevano e a contrastarlo rischiavano la vita, ma Monti non vive in Cina, bensì in Italia, dove, sebbene la democrazia sia fortemente sofferente, ancora non è arrivata alla cecità e alla sordità.

Tutte le osservazioni indirizzate da Brunetta al governo Monti non solo sono corrette ma trovano l’avallo anche nei numeri di vari organismi tanto nazionali che internazionali.
Nei 13 mesi del governo Monti tutti i dati econometrici sono peggiorati, e di molto, dal Pil al debito pubblico, alla disoccupazione lancinante, all’inflazione giunta al 3%, il più elevato dal 2008. La spesa pubblica non ha interrotto la sua corsa, i privilegi della casta sono rimasti intatti, così pure i costi della politica e degli apparati dello Stato.

Non c’è un solo indicatore che possa parlare a favore del governo Monti. Anche lo spread è contro Monti (e contro Napolitano) avendo il suo percorso dimostrato che il saliscendi non dipende dalle scelte montiane ma da fattori internazionali che agiscono sull’Italia solo quando vi è uno specifico interesse. Ove esso manchi l’attenzione è rivolta altrove. Esempio: come ha dimostrato Renato Brunetta, il quale già all’indomani delle elezioni del 2008 vinte da Berlusconi denunciò (era il settembre 2009) che si stava preparando un colpo di Stato, l’impennata dello spread nell’estate del 2011 fu dovuta ad una massiccia vendita pilotata dei titoli italiani da parte della Germania, seguita poi dalla Francia. Non ve n’era motivo, poiché i fondamentali erano tutti positivi, eppure la vendita fu congegnata e in misura tale che lo spread salì alle stelle ottenendo il vero risultato che l’operazione si era proposto: la caduta dell’inviso governo Berlusconi. Durante il governo Monti, lo spread, per varie settimane rimasto a livello altissimo, ha cominciato a calare dal momento in cui il governatore della Bce Mario Draghi ha minacciato i poteri speculativi di ogni specie, politici e finanziari, avvertendo che la Bce sarebbe intervenuta senza limiti a stroncare qualsiasi intento speculativo.

Come i dati stanno dimostrando, la risolutezza di Draghi, e non certo le devastanti politiche del governo Monti, hanno sconfitto le manovre sullo spread. Basti riflettere che lo spread continua a mantenersi basso nonostante che in Italia ci sia la crisi di governo e si preannunci la vittoria dell’accoppiata Pd-Sel, ovvero di una coalizione di cui una delle componenti è dichiaratamente antieuropea.

Dunque non solo Monti si rifugia nella menzogna sperando di farla passare per verità, ma si permette di utilizzare la sua carica di presidente del consiglio per insultare a destra e a manca, impicciandosi di cose che non lo riguardano.
Nella contesa elettorale, in cui è entrato a gamba tesa, pur non abbandonando il seggio senatoriale né la carica istituzionale (un nuovo Fini?), Monti sta dimostrando tutti i suoi limiti anche di uomo e di politico, dopo aver dimostrato quelli di economista.

Se non condividessi la tesi di quelli che sostengono che Mario Monti ci è stato imposto dall’esterno, mi domando dove Napolitano abbia trovato in questo personaggio grigio e dotato di una vanità spudorata quale può albergare nella mente degli incapaci, quei titoli di merito solo in presenza dei quali un cittadino può essere onorato della carica di senatore a vita.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart