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Il «dottor » Giannino lascia. Inventate pure le due lauree

20 Febbraio 2013

di Andrea Cuomo
(da “il Giornale”, 20 febbraio 2013)

Roma. Fermare il declino di Oscar Giannino pare impossibile. Malgrado l’estroso giornalista abbia trascorso il day after del Titanic della sua credibilità a scusarsi, minimizzare, spiegare, ondeggiare tra la notoria sicumera e un tratto di umiltà; malgrado tutto ciò la percezione del capitombolo a un passo dal traguardo di quella che doveva essere una delle più frizzanti novità nelle urne del 24 febbraio è catastrofica.

Dopo il master presso la University of Chicago Booth School of Business vantato sui curricula online e in un’intervista a Repubblica tv e risultato inesistente, si è scoperto che anche le due lauree (in Giurisprudenza e in Economia) timbrate in rete da Giannino sono fittizie. L’ammissione indiretta arriva da lui stesso. «Mi sono state attribuite online lauree e master a Chicago. Sono cose messe lì da internet, non ho queste due lauree, il mio gravissimo errore è stato non essermene accorto ».

Una caporetto. Giannino ha puntato tutto su due parole: trasparenza e meritocrazia. E le ha tradite in maniera puerile entrambe. Ha messo all’incasso la sua fama di acuto economista che ora si scopre fondata su una burla da sedicenne che tarocca la pagella. E così Fare per fermare il declino oggi processerà il suo leader. Giannino si è infatti detto disponibile a fare un passo indietro se la direzione del partito glielo chiederà. «Se la mia credibilità totale offusca quella di Fare, la mia credibilità si separa da Fare. Sono disposto a sparire nel nulla – promette lui -. E tanto voglio che la trasparenza sia un impegno per tutti che mi presenterò dicendo che se sarò eletto, se voi siete d’accordo, rinuncio al seggio ». Di sicuro il nuovo partito perde già i pezzi. Dopo Luigi Zingales, l’economista cofondatore del movimento, che ha salutato lunedì, ieri si rincorrevano voci su un possibile scioglimento del comitato dei garanti.
Bisognerà vedere quanto il partito con la freccia in alto (ma con l’umore molto in basso) crederà alle spiegazioni che ieri per tutto il giorno Giannino ha fornito. Primo: «Ho scoperto poi che su Wikipedia c’era una discussione in corso da tempo ». Possibile che nessuno dei suoi collaboratori desse ogni tanto un’occhiata alla più cliccata enciclopedia online? Due: «Per equivoco mi è stato attribuito un titolo che non ho ». Ma da chi? E perché alimentare l’equivoco? Tre: «Anche il curriculum sbagliato sul sito dell’istituto Bruno Leoni è dovuto a un giovane stagista che ha messo dentro quanto trovato su Wikipedia ». Di nuovo: com’è possibile che nessuno se ne sia accorto? E poi, troppo facile dar la colpa a un anonimo pivello.

Quattro: «A Chicago ho preso lezioni private di inglese, ma per dimostrarlo dovrei trovare le ricevute dell’insegnante… ». Come mirror climbing (arrampicata sugli specchi per chi non ha potuto studiare inglese in Illinois) niente male. Cinque: «Questa è la migliore dimostrazione della necessità di abolire il valore legale del titolo di studio ». Ma sì, buttiamola a ridere.
Giannino comunque non si arrende. Anzi, nel giorno della vergogna arriva spavaldo a dare i numeri: «Siamo vicini all’obiettivo del 4 per cento alla Camera e dell’8 in alcune Regioni che ci consentirebbe di entrare al Senato ». Peccato che nelle stesse ore il sondaggista Renato Mannheimer collochi il Fare all’1,5 per cento e comunque a «cifre minimali difficilmente rilevabili ».
E poi c’è Zingales. «Non procedo per illazioni, non so perché ha detto questa cosa a quattro giorni dalle elezioni. Certo mi colpisce molto questa aggressione a quattro giorni da un amico. È un grande regalo ai nostri oppositori e una grande mancanza di rispetto a un’intera organizzazione. Ma spero ancora che ci ripensi ». Lui, il professore che ha scatenato la bufera, non sembra però in vena di retromarce: «Non voglio speculare su questa vicenda, che è molto triste – commenta da Chicago – Come ho già spiegato chiaramente nella lettera, mi sono dimesso perché una bugia in tv rompe il legame di fiducia tra rappresentanti politici e cittadini ». Adieu.


Giannino verso le dimissioni
di Domenico Ferrara
(da “il Giornale”, 20 febbraio 2013)

È il giorno della verità per Oscar Giannino. Come ha annunciato ieri lo stesso leader di Fare per fermare il declino, oggi la direzione del movimento avrà sul tavolo le sue dimissioni.
E dovrà decidere se respingerle, confermando e consolidando la leadership del giornalista, o se accettarle.

Intanto, secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal sito Dagospia, ieri Giannino, davanti a più di mille sostenitori accorsi al teatro Orione di Roma, avrebbe urlato: “Io me ne vado”.
Le dimissioni dell’economista Luigi Zingales e la sua accusa relativa al master falso di Chicago restano un colpo ferale per Fare per Fermare il Declino. E nonostante molti sostenitori continuino a credere nel progetto e lo stesso Zingales cerchi di minimizzare (“Non voglio speculare su questa vicenda, che è molto triste”), la ferita inferta al partito è grande. Tanto che i sondaggisti hanno già cominciato a interrogarsi sulla direzione che prenderanno i voti dei delusi da Giannino.

Ma al di là delle previsioni elettorali, ci sono altri due documenti che inficiano la credibilità del candidato premier.
Non solo il master a Chicago, non solo le due (finte) lauree in giurisprudenza ed economia. Il vero punto è che nonostante Giannino abbia sempre dichiarato di non aver “mai speso titoli o credenziali che non ho per candidarmi o ottenere cariche, incarichi, pubblicamente o privatamente retribuiti”, è indubbio che di questo famigerato master alla Chicago Booth School of Business si è vantato spesso. Oltre al video di Repubblica del 5 febbraio 2012 e a quello registrato da DìLucca.tv (“Zingales insegna a Chicago Booth, dove io ho preso il Master in Corporate and Public Finance…”, ci sono state altre occasioni di millantato titolo.

In un’intervista del 1 dicembre 2012, mandata in onda ieri da La Zanzara, Giannino sosteneva chiaramente di aver ottenuto quel titolo di studio. Tornando indietro nel tempo, inoltre, si scopre che a Rapallo, il 27 settembre 2008 al convegno dell’Associazione San Michele Valore Impresa, il leader di Fare per Fermare il Declino parlava ancora del master di Chicago, citando anche una lezione tenuta con un professore.

Insomma, Oscar Giannino viene travolto dalle sue stesse balle. O, come lui preferisce chiamarle, omissioni di controllo. Ma è mai possibile che il giornalista non si sia mai accorto che i curricula e le biografie che circolavano in rete e nelle varie associazioni e università in cui insegna contenessero questi “refusi”? E perché vantarsene pure in pubblico svariate volte?


Tu quoque, Oscar Giannino
di Fabio Sabatini
(da “il Fatto Quotidiano”, 19 febbraio 2013)

Oscar Giannino è il fondatore, insieme a un gruppo di economisti seri e rigorosi, di un partito che fa del merito e della trasparenza due dei suoi principali cavalli di battaglia. Dovrebbe quindi avere ben chiaro che modificare in modo un po’ puerile il proprio curriculum aggiungendovi un master mai conseguito all’Università di Chicago, in barba a ogni considerazione legata al merito e alla trasparenza, non costituisce affatto un piccolo peccato veniale. Si tratta invece di una macchia importante sulla credibilità politica del leader di un partito.

Vediamo perché. Anzitutto, nonostante le ripetute e un po’ goffe ritrattazioni del giorno dopo, il dolo sembra proprio esserci stato. Nel curriculum online sul sito dell’Istituto Bruno Leoni, centro di ricerca cui Giannino ha legato buona parte della sua reputazione di giornalista esperto di economia, anche grazie alla redazione del suo Chicago Blog, fino a ieri si leggeva chiaramente che “Oscar Giannino è laureato in giurisprudenza ed economia e ha conseguito il diploma in Corporate Finance e Public Finance presso la University of Chicago Booth School of Business” (lo stesso, prestigioso, ateneo in cui Luigi Zingales è professore ordinario di Entrepreneurship and Finance). Due lauree e un master insomma.

Tale versione del cv è stata online per molto tempo – prima di essere frettolosamente cancellata dopo la dichiarazione di Zingales – ed è improbabile che Giannino, o chiunque a lui vicino, non l’abbia mai notata. Anche perché è stata ripresa da diversi altri siti, giornalistici, economici e politici, al punto che l’immagine pubblica di Giannino veniva, fino a ieri, generalmente associata anche ai suoi studi a Chicago, tempio dell’economia neoclassica e liberista. Associazione del tutto naturale, visto che il tratto più distintivo della figura pubblica e politica di Giannino sono le sue competenze economiche e le posizioni molto nette contro l’intervento pubblico nell’economia, e che il suo blog si chiama proprio “Chicago Blog”. Del resto, anche la posizione di “Senior Fellow” presso l’Istituto Bruno Leoni ha un sapore decisamente accademico.

Non meraviglia quindi che il leader di Fermare il Declino abbia esplicitamente dichiarato in televisione di aver conseguito il famigerato master a Chicago. Probabilmente era consapevole che “gli studi a Chicago” fanno parte della sua figura pubblica e che fosse conveniente assecondare l’equivoco.

Il dolo è confermato anche dalla reiterazione della bugia nel tempo: nel dicembre 2012, in un auditorium, Giannino ha pubblicamente confermato quanto scritto nel suo curriculum online, dichiarando testualmente di aver conseguito “il master in Corporate and Public Finance alla Chicago Booth”, si può vedere al minuto 30.35 di questo video.

È altrettanto naturale e facilmente comprensibile che Luigi Zingales, una volta conosciuta la verità, non abbia potuto tenere un comportamento omertoso e complice, visto il rischio di subire a sua volta un grave danno alla reputazione. Accusare Zingales di intelligence col nemico è semplicemente ridicolo. L’economista dell’Università di Chicago si è comportato nell’unico modo possibile e di certo non ci ha guadagnato nulla, anzi.

La linea difensiva di Giannino a mio parere ha aggravato la situazione. Inizialmente, il leader di Fid ha negato di aver millantato studi a Chicago, proprio mentre in rete stava diventando virale il video di un’intervista a Repubblica in cui diceva senza ombra di equivoci di aver conseguito il master. Giannino ha quindi reso noto di aver effettivamente trascorso un periodo di tempo a Chicago, ma per studiare l’inglese e senza frequentare alcun corso universitario. Poi, ha affermato di non aver mai controllato il suo cv in rete sul sito dell’Istituto Bruno Leoni, forse redatto da un ignoto stagista che avrebbe inventato di sana pianta le sue credenziali accademiche (un’invenzione insolitamente particolare e circostanziata). Ciò significa che non avrebbe mai controllato nemmeno tutti gli altri suoi cv presenti in rete, quale per esempio quello del Festival Internazionale del Giornalismo, che unanimemente gli attribuivano il master (e due lauree). Né ha mai sentito l’esigenza di rettificare ogni volta che, nella presentazione a un talk show, gli si attribuivano fantomatici studi a Chicago.

Vi sembra credibile? A me no. Anzi mi pare un insulto all’intelligenza dei militanti e simpatizzanti di Fermare il Declino, tra i quali peraltro ci sono tante persone che studi economici li hanno affrontati per davvero, a costo di grandi sacrifici. Vale la pena notare che, nelle dichiarazioni del giorno dopo, Giannino ha precisato di non avere alcun titolo accademico. Sembra di poterne dedurre (ma non ci sono riscontri oggettivi, né interpretazioni autentiche da parte del diretto interessato) che anche le due lauree non sono mai state conseguite.

Su Facebook, molti militanti di Fid hanno comprensibilmente tentato di ridimensionare la vicenda. Michele Boldrin, economista di chiara e meritata fama internazionale, ha scritto provocatoriamente sulla sua bacheca: “Poi ci sono i baroncelli italiani, quelli omertosi con se stessi ed i loro colleghi ad ogni concorso, che scoprono d’avere una coscienza e chiedono “fuori il Cv”. Ottima idea: tirate fuori il vostro!”. Versione accademica dell’evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (mi permetto di copiare lo status qui perché Boldrin lo ha reso pubblico, cioè visibile a tutti, amici e non).

Non è una buona strategia. Qui non si tratta di fare una gara a chi ha il cv migliore e la carriera più trasparente. Personalmente sono molto interessato a conoscere il vero cv dei candidati premier, specie di quelli che professano trasparenza e merito, proprio perché non sono un barone e mi sono impegnato in battaglie pubbliche per la trasparenza e il merito nella mia istituzione, l’università (per inciso, rispondo all’invito di Boldrin e mostro il mio cv, spero dignitoso ancorché infinitamente più modesto del suo. Aggiungo che i cv di tutti gli accademici onesti sono già pubblici, visto l’obbligo di renderli disponibili sui siti dei rispettivi atenei).

Il problema è la credibilità. Se uno mente in pubblico sulle proprie credenziali, può mentire su tutto. Come può allora un elettore fidarsi di lui? Non so se Giannino debba dimettersi, questo dipende dalla sensibilità sua e, a questo punto, soprattutto da quella dei suoi rigorosi compagni di viaggio. E mi disturba che a chiedere le dimissioni di Giannino sia oggi uno dei più grandi mentitori pubblici della storia d’Italia, uno che ha imposto al Parlamento di sottoscrivere che Ruby fosse la nipote di Mubarak, insieme a tante altre menzogne. Ma sono sicuro che cavalcare l’argomento del “così fan tutti” o fingere che si sia trattato di un banale equivoco non sia una soluzione che aiuta Fermare il Declino, né (e questo è ciò che più mi sta a cuore) a promuovere una cultura della trasparenza e del merito in Italia.


Qui sui titoli accademici di Monti.


La carta falsa di Monti
di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 20 febbraio 2013)

Ci hanno tolto anche i sondaggi e ora ai giornalisti tocca inventare percentuali in calo o in crescita per sostenere le proprie opinioni circa i probabili risultati elettorali. Oddio, quando si tratta di inventare, la categoria è a proprio agio; però la fantasia non basta. Cosicché il cronista e il commentatore, per convincersi di avere le idee chiare da riferire ai lettori, si arrangiano: organizzano in proprio artigianali indagini demoscopiche, ascoltando amici, colleghi, tassisti, avventori di bar, perfino familiari. Elaborano i dati confusamente raccolti e, infine, scrivono articoli spacciando i propri desideri per ponderate previsioni.
Blog, siti vari e social network, poi, aggiungono al bla bla dilagante notizie e riflessioni all’insegna del pressappochismo. E il quadro complessivo delle ipotesi sull’esito delle consultazioni diventa ogni giorno sempre più surreale. Ho letto e sentito pure questa: quello di Beppe Grillo sarà il primo partito. Addirittura? Sì, perché il Movimento 5 stelle aumenta dello 0,5 per cento al dì. Quindi, calcoli alla mano, domenica e lunedì prossimi sarà in vetta alla classifica, davanti al Pd e al Pdl. Sogno o son desto? Forse sono vittima di un incubo.
Altra informazione onirica sfuggita al controllo del senso comune: Mario Monti col suo centrino scentrato e pendente a sinistra non andrà oltre il 6 per cento; l’Udc di Pier Ferdinando Casini è in via di estinzione e il Fli di Gianfranco Fini è già un fantasma, un pallido ricordo di ciò che fu Alleanza nazionale. Tutti questi signori faticheranno a entrare in Parlamento e almeno uno di essi si sarà sforzato invano, rimarrà fuori. Di esagerazione in esagerazione, si dichiara che il Sel di Nichi Vendola avrebbe dimezzato il patrimonio dei consensi e non servirebbe a Pier Luigi Bersani per mettere insieme una sia pur scalcinata maggioranza. In compenso, i rivoluzionari in toga e pantofole di Antonio Ingroia, avvezzi a spiccare mandati di arresto, avrebbero perfino spiccato il volo, pronti a irrompere in massa nell’aula sorda e grigia. Coloro che si sono distinti nel dare addosso alla casta si appresterebbero cioè a farne parte non per abolirne i privilegi, ma allo scopo di estenderli a sé medesimi, perfezionandoli e rendendoli eterni.
Chiacchiere? Sicuro. Influenzano o no l’opinione pubblica? Sul tema ferve un dibattito. Al quale ha dato un sobrio contributo (contraddittorio) il premier agli sgoccioli, il Professore bocconiano. Che ha detto senza battere ciglio: i cittadini non sono sciocchi, bensì intelligenti, e non si lasciano ingannare dai cialtroni. Chi sono i cialtroni? Ovvio, i berluscones e il loro capo. E ti pareva…
Non pago, il premier uscente ha precisato: non è lecito far credere alla gente che si possano realizzare progetti irrealizzabili. Obiezione: ma se la gente non è scema perché dovrebbe bere frottole? Soprattutto, perché dovrebbe votare uno che, dopo aver aumentato le tasse con maniacale impegno, adesso, solo perché è in gara per conquistare cadreghe, giura sulla necessità di ridurre la pressione fiscale? Indovina indovinello: chi è il cialtronello? Coraggio, amici lettori, dite la vostra che io (non) dico la mia.
Nei quartieri alti, stando ai pettegolezzi demoscopici che galoppano di bocca in bocca, la tentazione di scegliere Oscar Giannino sarebbe notevole. Il leader di Fare per fermare il declino piace perché si è dato una missione umanitaria: provocare in Lombardia e a Milano la sconfitta di Silvio Berlusconi, inviso alla borghesia col birignao. La corsa di Oscar però, sul più bello, è stata intralciata dalla questione dei titoli di studio, che interessano specialmente a chi non ne ha. E pensare che le pergamene accademiche per un buon liberale non dovrebbero avere valore legale: gli uomini non si giudicano dalle lauree e dai master appesi in casa, ma da quello che sanno fare in ufficio. Cito un caso significativo (ce ne sarebbero a bizzeffe): Elio Vittorini non terminò la terza ragioneria, lavorò a lungo come correttore di bozze alla Nazione, eppure ha influito sulla letteratura più di tanti dottori sdottoreggianti.
Non sarà Giannino a battere il Cavaliere? Non c’è problema. Si sta scaldando i muscoli uno che si pone lo stesso obiettivo: Gabriele Albertini, al quale è venuta voglia di soccorrere Umberto Ambrosoli, candidato della sinistra per la presidenza della Regione Lombardia. Praticamente tutti aspirano a mandare al tappeto il leader del Pdl che, invece, proclama di aver sorpassato i bersaniani. Tanti nemici, tanto onore, diceva la Buonanima. Sarà ancora vero? Non è escluso. Mi capita spesso di scambiare due parole con persone che conosco o incontro. Naturalmente, nella presente congiuntura, il tema delle conversazioni è scontato: le urne. Ciascuno butta lì, a modo suo, la stessa frase: non so per chi votare, sono disorientato, deluso, non mi fido di nessuno, che nausea la politica.
Ce ne fosse uno, uno soltanto, che annunci di preferire il Cavaliere, nonostante tutto. Buon segno per il Pdl. Che va sempre più assomigliando alla Democrazia cristiana del tempo che fu: non trovavi un cane che confessasse di votarla e, a spoglio avvenuto, i democristiani avevano la maggioranza relativa. Se il relativismo vive ancora, sta a vedere che premierà proprio Berlusconi, l’uomo da stracciare a ogni costo? Ciò che potrebbe succedere al seggio è molto simile, nella mia immaginazione, a quello che accadeva trent’anni orsono: l’elettore entra in cabina, si guarda attorno, osserva la scheda e, rassicurato dal fatto che il suffragio è segreto, traccia la croce sul simbolo maledetto del Pdl. Sollevato, posa la matita copiativa e fa il gesto (liberatorio) dell’ombrello.


L’Ue vuole aiutare Monti, qui.


Il comizio abusivo di Prodi Così ha violato le norme Onu
di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
(da “il Giornale”, 20 febbraio 2013)

Per capire come mai negli uffici Onu stia montan ­do l’irritazione per la sor ­tita politica dell’inviato Onu nel Sahel, Romano Prodi, oc ­corre risalire sul palco in piazza Duomo a Milano, domenica, e riavvolgere il nastro del comi ­zio.

Che Bersani definisce «a sorpresa ». «Prodi – spiegava ie ­ri il segretario Pd- è arrivato dal ­l’Africa e gli è venuta voglia di di ­re “state uniti”. Ho capito che è un incoraggiamento, ha detto “vado su a dire qualcosa, poi tor ­no a fare il mio lavoro” ».

Ma il problema è proprio quello, il suo lavoro. Poco conci ­liabile con l’intervento politico alla manifestazione milanese pro Ambrosoli e Bersani: l’uo ­mo arrivato dall’Africa, dai co ­mizi ormai dovrebbe, suo mal ­grado, astenersi. Non lo dice la cattiva stampa. Lo impongono le regole dettate dalle Nazioni Unite per gli inca ­ricati internazionali. Quelli co ­me Prodi, quindi, che il 9 otto ­bre scorso Ban Ki- moon ha no ­minato inviato speciale nel Sahel. In questa veste, col suo comizio milanese, Prodi ha in ­franto i dettami del documento Onu (ST/SGB/2002/13)che im ­pone il codice di condotta per funzionari e incaricati. In parti ­colare il paragrafo 44, secondo il quale «è necessario per i fun ­zionari internazionali esercita ­re discrezione nel proprio sup ­porto a una campagna o a un partito politico », e chi ha un in ­carico come quello di Prodi non dovrebbe «accettare o sol ­lecitare finanziamenti, scrive ­re articoli, fare discorsi pubbli ­ci o rendere dichiarazioni alla stampa ». Fare discorsi pubbli ­ci. Sembra così evidente che l’accorato comizio prodiano non sia propriamente in linea con quando richiesto al suo sta ­tus di inviato delle Nazioni Uni ­te.

Anche il paragrafo 1.2F, per dirne un altro, invita gli incari ­cati a «evitare ogni azione e, in particolare, ogni tipo di dichia ­razione pubblica che potrebbe ripercuotersi negativamente sul loro status, o sull’integrità, indipendenza e imparzialità che sono richieste da quello sta ­tus ». Il che, ovviamente, non vuol dire che Prodi non debba votare, o che il suo cuore non debba battere per il Pd. Solo che potrebbe- dovrebbe- aste ­nersi dal salire su un palco per plaudere alla «serietà » di Bersa ­ni, dicendogli che «ci porterai tra una settimana alla vittoria ». Di certo, non c’è ambiguità sul contenuto politico dell’inter ­vento dell’ex numero uno del ­l’Ulivo. Che già in un’intervista pubblicata domenica sul Sole 24 Ore s’era rimesso i panni da leader, difendendo l’«alleato » Vendola e criticando gli ultimi mesi di governo dell’«avversa ­rio » Monti. Poi rieccolo sul pal ­co, a sponsorizzare Ambrosoli e ricordare con sobria terzietà che «nelle elezioni si gioca il no ­stro futuro », che «la squadra re ­sterà unita », perché «abbiamo imparato la lezione », e perché «la squadra è fatta da uomini di ­versi dal passato ». Tranne lui, che Onu o no, sembra essere an ­cora nella rosa di questa squa ­dra.

Ma al Professore bolognese non è venuto in mente che le in ­terviste alla stampa, le dichiara ­zioni pubbliche, i comizi, in ­somma la partecipazione atti ­va all’ultima fase della campa ­gna elettorale del Pd, per quan ­to gradite a Bersani potessero confliggere con il suo nuovo in ­carico, con «l’indipendenza e l’imparzialità » che le Nazioni Unite richiedono ossessiva ­mente nel citato codice di com ­portamento? Verrebbe da pen ­sare che no, il dubbio non l’ab ­bia sfiorato. Poi però basta guar ­dare il sito web del professore, dove il suo faccione sorridente campeggia circondato dai ves ­silli dell’Onu e dell’Ue, per capi ­re che quelle regole del suo nuo ­vo «datore di lavoro » Prodi le co ­nosce.

Il 9 febbraio, per esem ­pio, pubblica un post dal titolo eloquente («Il mio incarico Onu è la mia unica priorità e un modo per servire il mio Paese e l’Europa ») per stigmatizzare il «chiacchiericcio irrispettoso » che lo associa al Quirinale. Irri ­spettoso perché, spiega Prodi, l’«incarico gravoso presso l’Onu per il Sahel » è «l’unica mia priorità dopo l’uscita dalla politica nazionale », tanto da «smentire nel modo più catego ­rico ogni notizia o chiacchiera » che attribuisca all’ex premier «interessi diversi »da quelli del ­l’Onu. Anche il comizio di 8 giorni dopo, dunque, è da smentire.Forse è solo un’alluci ­nazione collettiva.


Vendola a pranzo con il giudicde che l’ha assolto
di Sergio Rame
(da “il Giornale”, 20 febbraio 2013)

La fotografia che imbarazza Nichi Vendola esiste. Si tratta dello scatto che inchioda il governatore della Puglia seduto allo stesso tavolo del giudice barese che lo ha assolto.

Lo scoop sul numero di domani di Panorama conferma quanto scritto nei giorni scorsi dallo stesso settimanale e che aveva spinto il leader di Sel a far fioccare querele. Adesso, però, la foto dimostrerebbe come il gip Susanna De Felice, pur frequentando assiduamente la sorella (Patrizia Vendola) di un indagato (Nichi Vendola), non abbia sentito alcun bisogno di astenersi dal giudicarlo.

Lo scorso 31 ottobre il governatore della Puglia era stato assolto dal giudice monocratico del tribunale di Bari Susanna De Felice dall’accusa di abuso di ufficio in un’inchiesta sulla sanità. A mostrare la foto a Panorama è stata una degli invitati al party, dove erano presenti una ventina di persone in tutto. “La donna ha spiegato che la fotografia risale all’aprile 2006 – spiega il settimanale – è stata scattata in occasione di un pranzo organizzato per festeggiare i 40 anni di Paola Memola, commercialista barese, cugina di Vendola e sua amica”. La festa si svolse in un ristorante sul mare di Savelletri di Fasano (in provincia di Brindisi). “Nella foto si vede una tavolata – scrive, ancora, Panorama – destra, in primo piano, spicca Nichi Vendola, vicino al compagno Ed Testa. Seduta un posto più in là c’è Susanna De Felice”.

Secondo quanto riportato dal settimanale, alla cena erano presenti altri magistrati: Gianrico Carofiglio, ex pubblico ministero barese e oggi parlamentare del Pd; sua moglie Francesca Pirrelli, anche lei pm a Bari; il pm barese Teresa Iodice e il giudice del Tribunale civile di Trani Emma Manzionna. “La testimone non ha voluto cedere lo scatto a Panorama e ha motivato così la sua decisione – ha concluso Panorama – pubblicarlo adesso, a pochi giorni dalle elezioni, sarebbe dirompente: è un’immagine dove si vede un’amicizia, una familiarità. Non posso renderla pubblica per ragioni affettive e ideologiche. Sono molto amica di Vendola e sono andata a votare per lui anche alle primarie”.


Bersani apre il mercato dei deputati
di Maurizio Belpietro
(da “Libero”, 20 febbraio 2013)

Nella legislatura che si sta concludendo quasi duecento onorevoli hanno tradito il partito che li aveva portati in Parlamento, passando ad un altro spesso di idee contrastanti rispetto al pri ­mo. Niente di nuovo osserverà qualcuno. Il fe ­nomeno dei voltagabbana è sempre esistito e sempre esisterà, anche perché la Costituzione non prevede per deputati e senatori alcun vin ­colo di mandato e questi interpretano il proprio ruolo sentendosi vincolati solo agli interessi loro, cioè al proprio tornaconto perso ­nale. Perciò saltano da un gruppo all’altro con la stessa abilità di Tarzan e cambiando bandiera con la stessa rapidità con cui sosti ­tuiscono la camicia.

Ma nonostante gli op ­portunisti non siano una prerogativa degli ultimi cinque anni, è difficile non notare che il fenomeno recente ­mente ha assunto  dimensioni endemiche. Due parla ­mentari su dieci che si trasferiscono da un gruppo ad un altro, da uno schiera ­mento ad uno opposto, dando vita a nuove e diverse maggioranze di gover ­no rispetto a quelle decise dagli elettori, sono anche per un sistema politico bal ­lerino come il nostro una transumanza eccezionale, che nel passato non ha precedenti e induce ad un’amara con ­siderazione. Ovvero che l’unico partito davvero in crescita in questi anni è sta ­to quello dei voltagabbana.

Qualcuno a questo punto potrà dun ­que rallegrarsi all’idea del prossimo scioglimento delle Camere, ritenendo che le nuove elezioni servano a spaz ­zare via anche un campionario assai vasto di traditori in doppiopetto. Pur ­troppo temiamo che non sarà così e che il prossimo Parlamento vedrà altri e più clamorosi salti della quaglia. Già, perché eliminare chi si offre al miglior acquirente, potrebbe portare alla sosti ­tuzione del politico di affidabilità incer ­ta con uno di inaffidabilità totale. Cac ­ciare uno che ha fatto fagotto, per so ­stituirlo con uno nuovo, non garantisce insomma da altre e più brucianti frega ­ture.

Facciamo questa premessa un po’ pessimistica, perché la legislatura che si affaccia offre da questo punto di vista più di un motivo di preoccupazione. Come tutti sanno, il risultato del 24-25 febbraio potrebbe essere poco netto, nel senso che se si crede ai sondaggi potrebbero esserci più vincitori. Ad esempio Bersani e la sinistra alla Ca ­mera e Berlusconi e il centrodestra al Senato. Così fosse bisognerebbe pren ­dere atto del voto degli italiani e dell’impossibilità di governare con for ­ze diametralmente opposte, dopo di che tornare alle urne, correggendo nel caso la legge elettorale per impedire un altro stallo. Questa sarebbe la decisione di buon senso o comunque quella che rispetterebbe meglio le indicazioni de ­gli elettori.

Tuttavia, visto l’alto tasso di volta- gabbana presente in Parlamento, non escludiamo che invece qualcuno esco ­giti una terza via, ovvero cerchi di far passare sotto altre bandiere gli onore ­voli eletti con schieramenti contrastan ­ti. La nostra è una preoccupazione non peregrina in quanto a dar retta a certi discorsi che provengono da sinistra e anche dal centro di Mario Monti, la compravendita di deputati e senatori non sarebbe da escludere. Non avendo voti propri, sia Bersani che l’attuale presidente del Consiglio potrebbero cercare di conquistarli successivamen ­te, non più rivolgendosi agli elettori, ma direttamente agli eletti.

I presupposti di una strategia politica che mira a puntellare ciò che non sta in piedi sono stati enunciati nei giorni scorsi da eminenti esponenti della sini ­stra e dell’ala montiana. Nel primo ca ­so si tratta dello stesso segretario del Pd, il quale si è fatto sfuggire una frase rivolta ai futuri parlamentari grillini. Essendo persone nuove, di provenien ­za varia ma comunque di sinistra, non intruppati in un partito tradizionale, Bersani sarebbe già pronto a metterci gli occhi oltre che le mani. Il senso è chiaro. Se servisse recuperare qualche onorevole, quello è il bacino in cui il se ­gretario del Partito democratico an ­drebbe a pescare. Il premier, che a si ­nistra non può sperare di fare il pieno perché l’area è già presidiata da Vendo ­la e Pier Luigi, i voltagabbana li vorreb ­be invece andare a conquistare nel centrodestra. Come è noto, qualcuno pronto a passare armi e bagagli con Ca ­sini e il professore nel Pdl c’era e solo la ridiscesa in campo del Cavaliere ha fer ­mato l’esodo. Tuttavia, dopo il 24-25 febbraio, le grandi manovre potrebbe ­ro ricominciare.

Insomma, prima ancora di votare, la fregatura è in agguato. E i traditori già pronti. C’è un solo modo per evitare che tutto ciò accada. Serve un voto che sia netto e non incerto, che renda inu ­tile il voltafaccia di chi è pronto a ven ­dersi. Come è risaputo, se non c’è mer ­cato, non c’è vendita.


Letto 3180 volte.


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Bart