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La responsabilità di Napolitano

7 Aprile 2013

Nei miei oltre 70 anni di vita non ho mai visto una situazione così inquietante e drammatica del dopo voto.

Ai tempi della Dc e del Pci i governi, per via del sistema proporzionale, si formavano dopo aver conosciuto il risultato elettorale, ma si faceva abbastanza presto a mettersi d’accordo. Escluso il Msi, considerato fuori dall’arco costituzionale, e il Pci, che a quel tempo era strettamente dipendente dall’Urss e praticamente un partito antioccidentale, gli altri partiti, i socialdemocratici, i liberali, e i repubblicani, ai quali si aggiunsero più tardi i socialisti, avevano programmi abbastanza simili, e soprattutto non covavano gli odi viscerali contro gli avversari che caratterizzano la politica dei nostri giorni. Un accordo si concludeva in tempi accettabili. Era meglio la prima repubblica? Per carità!

I cittadini spesso si trovavano davanti un governo che dei programmi avanzati in campagna elettorale aveva fatto un purporri. Non contava un bel nulla ciò che i partiti avevano promesso e i governi si sentivano autorizzati a fare di tutto, anche il contrario di ciò per cui si erano impegnati. La loro caratteristica era l’assoluta indifferenza rispetto alle scelte dei cittadini.

La qual cosa sembra ritornare oggi, come una malattia mai definitivamente estirpata. Quelli che furono i miasmi della prima repubblica, non appena se ne sono ricostituite le condizioni, sono riapparsi nella loro antica forza devastatrice.
Ad agevolarne il ritorno questa volta è l’odio viscerale che attraversa la politica, in cui l’avversario non è più considerato un competitore, ma un nemico da abbattere con tutti i mezzi.

Di tale malattia, credo che subisca il contagio perfino il nostro capo di Stato, il quale proprio nella prima repubblica ha mosso i primi passi e ne patisce ancora oggi la formazione.
Dico questo poiché mi resta difficile capire (a differenza di Scalfari) lo stallo in cui ci ritroviamo. Ho letto tante interpretazioni, le quali sono fiorite appunto per l’eccezionalità di ciò che sta accadendo, che ha posto interrogativi a molti commentatori.

Ma se mettiamo da parte la congerie di supposizioni e cerchiamo di porci la sola domanda che conta: quale dovesse essere la decisione utile al Paese, non c’è che da dare una sola risposta, questa: Napolitano doveva sgombrare il campo dalla sua presenza, anticipando le dimissioni e dando il via all’immediata elezione del suo successore, il quale – come è giusto che sia – sarebbe stato nelle condizioni di avviare nel pieno dei suoi poteri la legislatura nascente.

Si dice che sia stato Draghi a suggerire al capo dello Stato di evitare questa soluzione per non allarmare i mercati. Se le cose stanno così, Draghi ha sbagliato ed ha sbagliato il capo di Stato a dargli ascolto.
Infatti, una volta verificata la determinazione ostinata di Bersani a costituire un impossibile governo di minoranza raccogliendo i voti di volta in volta su ciascun provvedimento, Napolitano avrebbe dovuto chiamare a sé i due presidenti delle camere e le rappresentanze dei partiti e manifestare loro l’intenzione di dimettersi anzitempo. Da ciò sarebbero derivate o l’una o l’altra di queste possibilità:

1 – si sarebbe formato un governo;

2 –oppure i presidenti delle camere avrebbero anticipato i tempi per l’elezione del nuovo capo di Stato, in modo da sintonizzare la data delle dimissioni di Napolitano con quella dell’elezione del suo successore.

In questo secondo caso, il nuovo capo di Stato avrebbe avuto i pieni poteri che, a causa del semestre bianco, Napolitano non ha, e quindi avrebbe potuto minacciare anche lo scioglimento delle camere in caso di lungaggini sui tempi per la formazione del governo.

L’essere rimasto in carica ha creato una situazione di confusione istituzionale, il cui effetto più grave è che ogni decisione è bloccata fino all’elezione del nuovo capo dello Stato.
Si è arrivati al paradosso, e per la prima volta, che sarà l’elezione del capo dello Stato a far decidere ai partiti se si potrà o non si potrà costituire il nuovo governo.

E allora, a maggior ragione, perché non nominare subito all’indomani del fallimento di Bersani, il nuovo capo di Stato e consentire perciò di formare il governo, di cui l’Italia   ha urgente bisogno?
E’ mia convinzione che siamo in presenza di un’operazione di cattiva politica che non ha precedenti per gravità nemmeno nei lunghi anni della prima repubblica. Gli stessi partiti appaiono profondamenti feriti dalla lunga attesa, e non ci sarebbe da meravigliarsi se si producessero delle scissioni che andrebbero a confondere ancora di più il quadro politico già magmatico del nostro Paese.

Peraltro corrono voci che Napolitano non aspetterà il 15 maggio per dimettersi, ma lo farà non appena sarà stato eletto il suo successore.
E dunque perché non agire prima?

 


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