LETTERATURA: Biondillo, Bucciarelli, Morchio, Negro…
26 Gennaio 2009
… intervistati da Marino Magliani Â
Tanti anni che scrivo e sono ancora solo. Ricordo i miei primi racconti, i primi romanzi annegati nel Mar del Nord. Cose che, come diceva uno scrittore delle mie parti, non valevano l’acquavite per conservarli. Forse era lì che dovevo imparare a salvare i personaggi, tenerli con me, come si conserva un’amicizia. Niente, non ho portato con me nessuno, non ho salvato nessuno, non c’é un personaggio di un mio libro che sia riuscito, come fanno quei roditori che sembrano alati, a saltare da un albero all’altro. Invece, si sa, ci sono autori che riescono a far felici i propri lettori regalando loro ciclicamente lo stesso personaggio.
Anch’io sono uno di quei lettori. Â Attendo di conoscere ad esempio altre storie dell’ispettore Maria Dolores Vergani di Elisabetta Bucciarelli, ( Mursia e Alberto Perdisa editore), e dell’ispettore Michele Ferraro di Gianni Biondillo, ( Guanda ), del detective Bacci Pagano inventato da Bruno Morchio ( Garzanti e Frilli ) e del commissario Scichilone di Roberto Negro ( Frilli ).
A questi autori ho posto una domanda, la stessa per tutti, e gentilmente mi hanno risposto.
Sei mai stato/a tentato/a qualche volta di mollare in una cunetta il tuo personaggio, di dire basta, voglio raccontare senza più Lui o Lei, senza più gabbie, più manette narrative?
“L’ho vista e mi ha colpita. – racconta Elisabetta Bucciarelli – La sua apparente e fastidiosa normalità .  Quei capelli lisci. La pelle chiara.  Vestita come un uomo. Intelligente e pulita. Incapace di concedersi se non per sentimenti profondi.  Non so se davvero reale o la somma di più persone conosciute.  Da quel giorno sono rimasta rapita e intrappolata da lei, Maria Dolores Vergani. Ho iniziato a conoscerla con un racconto, poi un altro.
Quindi il primo romanzo, il secondo, il terzo e ancora racconti.  Un’ossessione. Lei si muove, vive, pensa, agisce e intanto cambia, si modifica, cresce. Ricorda e dimentica.  Fa progetti. Sta in piedi da sola. Ora conosco il suo passato, i suoi dolori. Intuisco i suoi desideri, cerco di scoprire i pensieri più nascosti. Sono riuscita, nonostante le sue resistenze, a farle incontrare un uomo e a mantenere l’amicizia con una donna. L’ho guardata risolvere casi e non capirci niente. Fare cose che io non farei mai. L’ho anche odiata. Perché non riusciva a essere sincera con se stessa, perché tradiva le mie aspettative. Non era forte come volevo, sicura di sé, centrale nelle vicende. Rimaneva lì, in disparte.  Ferma, ingombrante. Sì, ho anche pensato di farla fuori. Più volte.  L’ho messa in difficoltà . Nel prossimo romanzo per esempio. Ma lei mi ha fatto cambiare idea. E’ rimasta ancora. Mi ha stupita. E’ una delle poche persone che riesce a farlo. Non ha nulla di scontato.  Quindi è necessaria. In questo momento (e chissà per quanto) non posso fare a meno di raccontare ancora il mondo attraverso i suoi occhi.”
Gianni Biondillo: “A dir la verità , con il romanzo che uscirà quest’ anno sono ormai undici i volumi che ho pubblicato e solo tre vedono come protagonista Michele Ferraro.  Questo per dirti che il problema della serialità per me è un nonproblema.  Ogni storia richiede una lingua, una forma di narrazione, un protagonista. Se il protagonista è Ferraro ben venga, altrimenti la cosa né mi tocca né mi turba. In fondo ogni scrittore non fa che scrivere delle proprie ossessioni: mettere al centro dell’attenzione lo stesso personaggio seriale o cambiare protagonista ogni volta, ma continuando a parlare delle proprie ossessive passioni, è, gratta gratta, la stessa identica cosa. Ci sono fior fiore di autori che pur non possedendo un personaggio seriale non fanno altro che scrivere sempre lo stesso libro. Tra l’altro, molto spesso, Ferraro è più spettatore che protagonista delle vicende che narro.
E qual è, quindi, la mia ossessione?  Forse è, più che l’ispettore Michele Ferraro, lo scenario dove lui vive: quindi Milano, le trasformazioni socioantropologiche di una grande città , le mutazioni del territorio, le nuove immigrazioni, identiche a quelle di due generazioni fa, con le loro speranze, le loro piccole vite dignitose e le continue traversie che devono sopportare. È raccontare l’umano, oggi, in questa Italia che cambia così repentinamente che quasi occorre fissarla su carta affinché non se ne perda la memoria. E “fare memoria” è l’attitudine principale delle mie due autentiche passioni: l’architettura e la letteratura.”
Roberto Negro: “Il rischio di scrivere di un personaggio che possiamo definire “seriale”, è quello di non poter più decidere se abbandonarlo o meno. Spesso, sono gli stessi lettori a chiederti di continuare a farlo vivere nei tuoi racconti.
Nel mio caso, Scichilone è ormai entrato a far parte del quotidiano, con il rischio concreto di farmi vivere due vite parallele: la mia e la sua. Mi accorgo che gli aneddoti narrati a volte sono ispirati da fatti della mia vita.
D’altronde non credo esistano alternative. Non si può raccontare di un personaggio seriale, senza calarti nel personaggio.
Per rispondere alla tua domanda, direi che non ho mai pensato di abbandonare Scichilone, almeno sino a quando i miei lettori vorranno farlo vivere.”
Bruno Morchio: “Eccome sono stato tentato! Al punto che, da questa estate, sto lavorando a un romanzo che non solo non racconta di Bacci Pagano, ma esce decisamente dalle coordinate noir (per quanto il noir abbia rappresentato per molti, me incluso, il modo per uscire dalla gabbia del giallo).
“Sto lavorando” significa prendere appunti, raccogliere documentazione, fare scalette e abbozzi di personaggi e situazioni narrative. In realtà ho scritto una ventina di pagine e non sono riuscito ad andare oltre.
Ma, nello stesso tempo, sto pensando a una nuova avventura del mio personaggio, questa volta più complessa e impegnativa.
Non so quale dei due libri, alla fine, uscirà fuori, spero entrambi.  Ma resta vero che staccarmi da Bacci Pagano mi risulta difficile, non solo per ragioni “di mercato, e neanche solo perché scrivere di lui dà scorrevolezza al lavoro, ma per una sorta di attaccamento affettivo, qualcosa che potrebbe assomigliare a una dipendenza Forse mi succede perché il personaggio “vive” nella mente degli altri, i suoi lettori, e non è più soltanto “mio”. In effetti, nessuno mi chiede di scrivere un nuovo libro, tutti aspettano la prossima avventura di Bacci Pagano; e quante volte, presentato a uno sconosciuto, vedo la sua faccia rimanere impassibile finché il trait d’union non si decide a precisare: Sai chi è? L’autore di Bacci Pagano! Solo allora il mio interlocutore “mi riconosce” e spalanca gli occhi e un largo sorriso. Â
(dal “Corriere Nazionale”)
Letto 2079 volte.