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LETTERATURA: Domenico Managò: “Nostos” – TSG Edizioni

16 Dicembre 2012

di Francesco Improta
(dal “Corriere Nazionale“)

Dopo aver frequentato per molti anni il mondo dell’editoria – attualmente è contitolare di una piccola ma prestigiosa casa editrice Philobiblon Edizioni – e dopo aver prodotto alcune cose degne di nota in campo musicale e teatrale, a testimonianza di una innegabile versatilità creativa, Domenico Managò esordisce nella narrativa con un romanzo dal titolo impegnativo, eloquente ed evocativo Nostos. Impegnativo perché richiama immediata ­mente alla memoria il poema omerico (Odissea) e molte altre opere di scrittori antichi e moderni, come Pavese, Vittorini, Kavafis; eloquente perché esplicita il sentimento che è alla base del libro: l’attaccamento alla propria terra e alle proprie radici, tanto più vivo in chi come Managò da tempo ne vive lontano; evocativo perché rimanda al motivo del viaggio, che senza il ritorno (nostos) non avrebbe neppure ragione di essere e si ridurrebbe a un semplice spostamento da un luogo all’altro. Managò è ancorato alla sua terra, la Calabria, e per l’uomo amalgamato alla terra c’è una promessa di immortalità come dice Francesco Biamonti in Le parole, la notte.

Ambientato nel 1784, all’indomani del terribile terremoto di Reggio e Messina che distrusse buona parte della Calabria meridionale, segnando tragicamente uomini e cose, e alla vigilia di grandi rivolgimenti politici e sociali, il romanzo racconta il viaggio prima e la permanenza poi nelle zone terremotate e in particolare a Seminara del giovane giureconsulto Alfonso Maria di Campomarino. Difficile, a mio avviso, dare una de ­finizione del libro. Non è un romanzo storico anche se accanto a fatti partoriti dall’immaginazione dell’autore vi sono riferimenti a fatti real ­mente accaduti e anche se non mancano, oltre a quelli inventati, per ­sonaggi realmente esistiti. Non è, a dispetto della ricca e puntuale docu ­mentazione sociale, economica e culturale, un saggio antropologico, e neppure un reportage di viaggio sebbene Alfonso Maria di Campomarino, il protagonista, raccolga minuziosamente in quinterni appunti e osser ­vazioni di ciò che vede ed ascolta. Io credo che si tratti soprattutto di un atto d’amore nei confronti della sua terra e dei suoi abitanti, delle loro abitudini e tradizioni e soprattutto del loro dialetto cui l’autore rende un doveroso omaggio. Managò, con tenerezza infinita, sfiora case, alberi, oggetti del vivere quotidiano e accarezza le parole, dense, lente spesso ridondanti di quell’idioma che ne rispecchia, come tutti i dialetti del resto che non siano imbastarditi, la forma mentis e le profondità dell’animo. Non meraviglia, quindi, che siano inserite, amalgamate perfettamente nella tra ­ma, canzoni, filastrocche, poesie e cantilene, di cui in calce l’autore dà puntuale traduzione oltre a fornirci un congruo e ragionato glossario. Il dialetto, oltre ad aderire alla pelle, al respiro e all’anima di chi lo parla, offre mezzi, possibilità e risorse sconosciute alla lingua, in quanto dispone di un’immediatezza e una concretezza non reperibili nella lingua ufficiale, consentendoci di cogliere tutta la complessità del reale. Nella parte con ­clusiva che si svolge a più di quaranta anni di distanza dal viaggio in Calabria ed è ambientata a Napoli, non diversamente dal prologo, quasi a voler incorniciare il corpus centrale che può essere definito, come felice ­mente sostiene nel risvolto di copertina Antonio Panizzi un Bildungsro ­man, perché è lì che avviene la formazione morale e sentimentale del pro ­tagonista, nella parte conclusiva, dicevamo, Alfonso Maria di Campo ­marino, giunto alla soglia degli ottanta anni, si abbandona ad alcune ma ­linconiche riflessioni sulla labilità della vita e sulla fugacità del tempo sco ­modando – e non poteva essere diversamente vista l’ideologia di fondo – Platone, Plotino, Agostino, Cervantes.

La scrittura di Managò procede per accumulo e per montaggio di materiali di diversa provenienza – non è un caso che la figura retorica più frequente sia l’enumerazione – e si appoggia su un periodare agile ed armonioso, elegante e raffinato.
L’unico difetto è, a mio avviso, l’eccesso di erudizione che alla fine, trat ­tandosi pur sempre di un romanzo, risulta ingombrante e talvolta stuc ­chevole.


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1 commento

  1. Commento by nemo — 20 Dicembre 2012 @ 11:15

    Bella, approfondita recensione che mi ha fatto ‘venir voglia’ di leggere il libro.

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart