LETTERATURA: I MAESTRI: Alvaro: ieri e «Domani »29 Maggio 2018 di Geno Pampaloni Rifiorisce l’interesse per Corrado Alvaro. L’editore Bompiani, continuando la pubblicazione degli inediti, ci offre un romanzo incom piuto: Domani (pp. 212, li re 1500). E in questi ultimi mesi si sono potuti leggere (dopo il bel libro del Balduino, Mursia, 1965) ben quattro contributi critici, opera di giovani o giovanis simi. Ludovico Alessandrini (ed. Boria) ha scritto il li bro meno problematico e più divulgativo, che è peraltro un profilo efficace e molto leggibile. Senza eccessive pretese di approfondimento, riassume bene l’immagine dello scrittore e può util mente servire come introdu zione all’opera alvariana. Maria Ida Tancredi pone invece con vigorosa chiarez za i termini del problema critico. Il suo libro, che esce in questi giorni da Vallec chi in una collana della fa coltà di Magistero di Firen ze, è frutto di uno storicismo di solide radici com’è pro prio della scuola da cui de riva. In sostanza, ella dice, la critica ha sinora còlto nell’Alvaro « l’uomo della crisi », ha individuato le sue contraddizioni, spesso emble matiche di un momento im portante della nostra cultu ra tra naturalismo e deca dentismo, ma non ci ha dato ancora analisi approfondite « sul piano stilistico-culturale »; si è guardato di più al suo contributo sociale, o alla « conformazione psico intellettuale » dell’uomo Al varo che alla sua verità poe tica. Vincenzo Paladino (ed. Le Monnier) parte da una sot tolineatura troppo netta del contesto meridionale e cala brese in cui situare lo scrit tore (la Calabria come « ca tegoria etica », la gente del Sud come « negritudine »); ma arriva per questa via tra dizionale a una definizione suggestiva e unitaria del suo « pessimismo ». La consueta dialettica tra l’Alvaro paesa no e quello « europeo » acqui sta per lui « il senso di un itinerario mondano come una immigrazione fallita »; nel suo viaggio « da uno stato di originaria innocenza in seno alla natura al risveglio ama ro e deludente nella storia » tutta l’opera dello scrittore si configura come « la storia di una caduta ». A questa stessa conclusio ne, che ci sembra il dato più interessante della critica re cente, arriva Domenico Cara (ed. La Nuova Italia), che dei quattro è il prosatore più denso e risentito ma anche il più faticoso. Nel Cara una vena moralistica s’incrocia con una vera natura critica, e forse gli impedisce di ap profondirla. Non sono poche le osservazioni, lasciate ca dere quasi di passaggio nella foga del discorso (Alvaro â— « lo scrittore dei libri incom piuti e imperfetti »; la sua «mimesi lirica »; la «malin conia poetica » adoperata «antiromanticamente »; « il suo linguaggio procede per rapi menti aforistici, malinconici », ecc.) che appaiono illuminanti. Ma la posizione del Cara si rivela la più fragile ideo logicamente, e forse proprio per un’intima, controversa e non del tutto chiarita affinità con il suo autore. Non accet ta la liquidazione suggerita dai critici marxisti di un Alvaro espressione e compli ce, almeno per debolezza, di una civiltà borghese vinta dalla storia. E tuttavia, poi ché non arriva a riconoscere al pessimismo alvariano (co me fa il Paladino) un valore disperato, testimoniale, reli gioso e perciò liberatore, e poiché non si fonda (come fa la Tancredi) sulla convin zione di una autonoma espres sività culturale e morale del la ricerca letteraria, il mon do del suo scrittore gli ap pare affascinante e incom piuto, inquietante e non ri solutivo. E il suo stesso la voro critico si conclude, co me egli lo definisce con ter mine rivelatore, in « elegia ». * E’ chiaro a questo punto che Domani, nel quadro di un dibattito critico così strin gente, non è libro capace di aggiungere molto e denuncia di essere fortemente «data to ». Fu scritto dal ’33 al ’34; l’autore lo rilesse nel ’53 e lo trovò vitale ma non ebbe modo o voglia di riprenderlo. E’ tutt’altro che indegno o futile, dirò a scanso di equi voci. Dopo un inizio incerto dominato dall’estetismo, la storia della giovinetta Susan na sedotta dal bellimbusto acquista toni autentici. E al meno tre sono i motivi schiet tamente alvariani che vi si intrecciano: 1) «la solitudi ne del sesso », cioè la condi zione al tempo stesso indifesa e autosufficiente della ragaz za che si avvia timida e or gogliosa d’indipendenza verso la vita; 2) la «lunga via per diventare donna », cioè la se rie dei fatti segreti e gelosi, indecifrabili e sempre allu sivi che entrano misteriosa mente nella sua esperienza; 3) lo «sciuparsi di tutto », cioè il vivere visto come cor ruzione fatale, inganno ine vitabile, perdita d’innocen za, « storia di una caduta ». Ma si tratta di un libro chiaramente incompiuto e da rivedere. Benché il Fratelli dica, nella sua nota infor mativa, che « conserva qual cosa della freschezza d’umo re de L’uomo nel labirinto » (che però è di oltre dieci an ni prima), mi permetterei di dubitare non già che meri tasse la pubblicazione ma la presentazione come libro au tonomo e « di consumo ». E’ inutile ripetere qui quali sia no le benemerenze di Valen tino Bompiani anche come editore dell’Alvaro. Ma, pas sato ormai tanto tempo dalla morte dello scrittore, sarebbe utile dare pubblica definizio ne al piano degli inediti (let tere, scelta di articoli, ecc.) che mancano al corpus com pleto delle opere, e accelerar ne in modo organico il com pimento. Lo meritano non soltanto la statura dello scrittore Al varo, ma anche la sua dram matica, intensa e nobilissima figura di testimone del nostro tempo, che persino i giovani in un clima così mutato continuano, con nostra gioia, a rispettare e riconoscere.
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